
IL CAOS
FINE
La parola vibrò come un’eco funebre nel silenzio abbattutosi sulla mente.
Il Caos, quel groviglio magmatico che da oltre quindici anni lo attanagliava, era ormai domato, soppiantato dalla muta e nebbiosa landa del rigore.
Ogni immagine, ogni figurazione – pellegrina o stanziale – trovava ora un destino all’interno della pagina: un tappeto multiforme di gesti, parole, intenzioni, collocati nell’esatta sequenza di cause ed effetti.
Lo scrittore s’abbandonò sullo schienale della sedia, le mani in grembo, le dita ancora colanti di creazione, come quelle di un dio.
La stanza pareva un muscolo pulsante, come se il romanzo sprigionasse un’energia densa e invadente che infestava l’aria.
Il Caos non s’era quietato, s’era solo trasferito. La sua carne, adesso, era l’Opera.
Non un’opera qualunque, ma l’Opera. L’unica possibile. La definitiva.
Ogni altra storia, ogni altro frutto dell’espressione umana, gli parvero d’improvviso inconsistenti, come bramiti al cospetto d’un ruggito.
Qualunque trama era nulla in confronto a quella Trama; qualunque personaggio si eclissava di fronte ai suoi Personaggi; ogni frase mai composta, persino i silenzi — tutto era già inglobato, distillato, trasceso tra le righe del romanzo.
Non restava niente da aggiungere. Niente da creare. L’Arte si annullava nella perfezione.
Un brivido lo invase. «Sono diventato Prometeo», mormorò. Non per aver donato il fuoco, ma per averlo spento.
Il petto gli si gonfiò d’orgoglio e di terrore, come se avesse appena udito le trombe del Giudizio e il Giudice fosse lui.
Ciascuna parola scritta lo osservava, lo giudicava: parole travalicanti il linguaggio, torri del silenzio erette sotto ai cadaveri della narrativa a venire. E ora? Pensò.
La mente prese a vagare, un fiume di tenebra che scorreva tra paure grottesche. Se questo libro venisse pubblicato… immaginò biblioteche abbandonate, classici dimenticati, autori rosi d’invidia per non essere stati i primi a partorire quelle pagine. Un’umanità intera, privata della capacità di raccontarsi, di trovare conforto nella finzione, defraudata persino dell’impulso di emulazione. Sarebbero diventati animali muti, gli uomini, con gli occhi persi nel vuoto di un mondo senza storie.
Le mani gli tremavano: non voleva essere ricordato come il boia dell’immaginazione.
Eppure, una parte di lui — quella più sordida e ridicola — si esaltava. «Sono il più grande», si disse, e l’effetto fu al contempo dolce e disgustoso. La grandezza era un peso che schiacciava, e lui ne era al centro, come un buco nero nel cuore di una galassia morente.
«Cosa ne sarà di me? Di tutto!»
Poi arrivò il pensiero più oscuro, quello che gli fece soffocare un gemito. E se fossi uno strumento? Se quell’Opera non fosse stata davvero sua? Se gli fosse stata dettata da qualcosa di superiore, qualcosa di ostile?
Il libro poteva essere un’arma: non tanto la fine della narrativa, quanto l’epilogo dell’umanità.
Il mio nome, maledetto nei secoli… No! Non lo avrebbe permesso! Si alzò di scatto – la sedia stridette sul pavimento – le mani afferrarono il dattiloscritto, la carta era sorprendentemente pesante, come se contenesse davvero quel che dell’Uomo restava da dire e da pensare. Il testamento dell’Immaginazione.
Non esitò: gettò il libro nel cestino, tra i rifiuti della giornata: bucce di mela, una tazza incrinata, bollette strappate; poi accese un fiammifero e lo tenne in bilico fra le dita.
Il romanzo perfetto. Il libro che ogni lettore sogna di leggere. La storia che soddisfa ogni desiderio, ogni aspettativa; che concilia la critica, il pubblico, gli intellettuali. Tutti lo loderanno per sempre.
In pochi mesi il romanzo raggiungerà i miei lettori, poi la notizia si diffonderà: fioccheranno articoli, interviste, recensioni.
Ciascuna parola contenutavi sarà soppesata, analizzata, dissezionata con una passione mai vista prima; e così, anche i più restii si rassegneranno a leggerlo. Non esisterà più spazio per il dubbio, per la critica o per il gusto personale: il romanzo verrà definito “perfetto”. Nessuna opinione potrà mai scalfirne la fama.
Frasi, parole, capitoli: tutto avrà una sconvolgente, matematica armonia.
Il mondo griderà al miracolo. Il pubblico mi amerà, mi venererà, anche se non ci sarà più nulla che io potrò dargli. Il mio nome diverrà sinonimo di perfezione quando il mio genio starà già eclissando, e il desiderio di scrivere sarà ormai una vecchia cicatrice innocua.
Ben presto un’inquietudine crescerà negli animi tormentati degli intellettuali: timidamente qualcuno ammetterà l’impossibilità di assemblare o concepire qualsiasi altro testo. Ogni nuova storia sembrerà banale, insignificante. Niente più sfide né terre di conquista: qualunque nuova idea sarà una copia sbiadita del mio romanzo perfetto.
Nei giorni a seguire, nessuno leggerà altro. Le storie che un tempo avevano solleticato la curiosità, la creatività, il desiderio di evasione, sembreranno irrilevanti.
La letteratura cesserà di essere un viaggio da intraprendere, divenendo una meta già raggiunta, un punto d’arrivo che non susciterà più interrogativi. La civiltà, insieme alla scrittura, si fermerà, impantanata nell’anedonia. Assuefatta.
Se un’espressione non farà parte del romanzo perfetto, allora apparirà fuori luogo, estranea, asemica.
Gli scrittori più giovani si troveranno a fissare la pagina bianca, privati della possibilità di evolversi: non vi sarà più posto per loro. Il piacere liturgico della lettura svanirà e, con esso, anche quello della scrittura.
Alla fine, il romanzo perfetto avrà ucciso ogni desiderio.
E il suo autore? Che ne sarà del suo autore? Che ne sarà di me!? Forse il mio nome diverrà solo un sussurro, una leggenda, come quella di chi ha raggiunto la vetta unicamente per scoprire che lassù non vi regna altro che solitudine. In quella solitudine rimarrò invischiato, lontano dagli uomini, contemplando il mio romanzo perfetto, nel tentativo di superarlo, ma incapace di cambiarne anche una semplice virgola…
L’uomo guardò le fiamme divorare la sua creazione, mentre qualcosa dentro di lui si spezzava con un dolore sordo.
Sentiva di aver ucciso un figlio. Più di un figlio: un pensiero. Il Pensiero dietro al Pensiero.
Eppure, osservando le pagine chiudersi su se stesse, come fiori neri sbocciati in reverse, provò anche un sollievo tremendo: l’umanità era salva. Almeno per un po’.
Il suo stomaco mandò un lungo squittio: quel marasma di emozioni gli aveva messo fame.
Con piglio da eroe epico – distrutto, appagato, ridicolo – lo scrittore tornò a sedersi alla scrivania: dentro all’ombra ballerina della fiamma trattenne un moto di gioia all’idea che presto avrebbe fissato tutto ciò in una narrazione innocua, perifrastica, collaterale, e che – grazie a Dio – il Caos sarebbe tornato.
Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Umoristico / Grottesco
Tutti gli scrittori, o aspiranti tali, provano questo in piccola parte. Quando un’idea inizia a prendere forma è il caos. Si mette ordine nella moltitudine di pensieri, che a catena, si dipanano da quella prima intuizione, è la storia prende forma. Adoro questa sensazione. Non riesco a goderne allungo, ma a differenza del protagonista della storia non lo brucio, lo lascio maturare dentro un cassetto. Complimenti, una lettura molto immersiva,👏👏👏
Ciao Tiziana! Grazie mille per la lettura e per il bellissimo commento!🙏🏻
Credo che questo racconto sia una specie di summa delle tue ‘manie’, intese come peculiarità di scrittore, nell’eccezione più positiva del termine. Un linguaggio rococò e una lunghissima iperbole che culmina non in un punto preciso, bensì in svariati. Ogni volta pensi che si sia raggiunto il limite massimo, eppure non è così, perché tu sei pronto ancora e ancora a superarlo. Un po’ come trattenere il fiato fino alla fine, fino a quella frase ‘l’umanità era salva’. A quel punto, sei pronto e maestro nello smontare tutto quello che avevi creato, una sorta di castello di carta vivo, forse, solamente nella testa dell’eroe: ‘Il suo stomaco mandò un lungo squittio: quel marasma di emozioni gli aveva messo fame’. Un finale più ‘degno’ di questo non lo potevi trovare. E ancora ‘Con piglio da eroe epico – distrutto, appagato, ridicolo’, che sembra quasi di vederlo, di immaginarlo, pronto a scombussolare di nuovo l’umanità intera. Perfetto, direi, dal punto di vista della costruzione. Originale nella storia e davvero curioso. Ancora, almeno per me, necessario il vocabolario alla mano. Ma dimmi, come le pensi? 🙂
Ciao Cristiana! Grazie mille per la lettura!🙏🏻 Penso che anche stavolta tu ci abbia visto giusto😂 È un racconto genuinamente mio. Le tematiche sono quelle che, volente o nolente, emergono sempre: metanarrativa, proiezione, autobiografia mascherata, specularità, critica sociale, narrazione inaffidabile, autosabotaggio. Sono contento che il finale renda bene questa idea di sabotaggio del meccanismo narrativo. Più che altro perché voglio che chi legge sappia che sono sempre attento alla sua reazione🤣 è come se fossi perennemente in un angolino della storia a guardare il lettore e a dargli qualche gomitata, ogni tanto. Non sono proprio in grado di essere un narratore invisibile, ma credo che anche questo faccia parte di una mia insicurezza nella vita reale, qualcosa tipo un bisogno di essere protagonista almeno delle storie che racconto, pur non figurandovi mai😅
Sai che credo che questa cosa di te che hai svelato alla fine, sia un po’ la caratteristica di ogni scrittore? Difficile, a mio avviso, trovare nella nostra categoria delle prime donne nella vita. Così, mettiamo sempre una parte di noi in ciò che scriviamo, per poter essere eroi, capitani, amanti, anime, e molto altro, almeno per qualche riga 🙂
Ciao Nicholas, mi ha colpito l’immensa modestia di questo autore, fortuna che ha deciso di sacrificare il suo genio per amore dell’umanità. 😂
Bravissimo e originale anche stavolta!
Ciao Melania! Grazie mille per la lettura!🙏🏻 Sapevo che avresti apprezzato il lato ironico della storia😂 Alla fine anche l’autore è una persona come le altre, nonostante tutti gli atti eroici che potrà compiere nella sua vita🤣
Tra delirio di onnipotenza e paura di distruggere l’immaginazione umana, il protagonista compie un gesto estremo per salvare l’umanità. Ironico, se ci penso. Alla fine anche il caos ha un ordine preciso nella nostra mente che ci da conforto e la paura di perderlo può impanicare. Davvero molto bello!
Ciao Rachele! Grazie mille per la lettura🙏🏻 Esatto: è un racconto ironico sui sogni e le illusioni di qualunque scrittore😊 La paura di perdere l’ispirazione e il desiderio un po’ ridicolo che la propria creazione sia la definitiva, quella di fronte a cui il mondo intero dovrebbe inginocchiarsi🤗
Complimenti, un’idea molto originale. Come sempre, scritta benissimo. Bravo!
Ciao Nicola! Ti ringrazio tantissimo!🙏🏻
Ciao, Nicholas. Il tuo racconto è molto accattivante, originale e ben congegnato, aperto a molti fronti interpretativi e simbolici. Bellissimo lo squarcio mitologico e la costante corrente visionaria dove si annida il demone della creatività con i suoi affluenti. Un saluto.
Ciao Luigi! Grazie mille per la lettura!🙏🏻
Che meraviglia… Sei un grande, inutile aggiungere altro!
Ciao Arianna! Grazie mille per la lettura e per il bellissimo commento🙏🏻🤗