Il carrista
1945
Fiamme e metallo, non sembrava esserci soluzione di continuità, ovunque era lo stesso spettacolo. Tranne la terra della puszta arsa dal fuoco in cui tutto era cenere tranne i piccoli intervalli dove c’erano dei cadaveri che, irrigiditi dalla morte, stavano lì come una sorta di tronchi dai rami – i rami: le braccia – i quali puntavano al cielo.
Ernst Barkmann osservava tutto dalla cima della torretta del suo panzer. Via radio, con le cuffie, sentiva ogni comunicazione, dalla trasmissione degli ordini a qualla delle coordinate radiogoniometriche.
Scuoteva la testa.
Anche se lui, in ogni angolo d’Europa, aveva potuto osservare quegli spettacoli oltre che assistere agli eventi che provocavano quelle atrocità come causare la morte e l’annientamento di nemici e mezzi blindati.
Io sono un asso dei corpi corazzati, si ricordò.
Mentre pensava, il panzer che comandava si stava dirigendo verso il prossimo carnaio.
Ecco, appunto, giusto davanti a lui c’era quello che sembrava un plotone di T34/76, le stelle rosse, i cingoli larghi. Ernst preferiva i cari vecchi panzer, anche se da quando aveva incominciato la sua scalata alla gerarchia degli eroi dello Heer c’erano state tante trasformazioni e riorganizzazioni.
Ai suoi ordini, la torretta brandeggiò e, un colpo dopo l’altro, il cannone KwK distrusse i T34/76. Poteva darsi che gli equipaggi sovietici neppure si erano accorti dell’arrivo del panzer di Ernst, forse si erano aspettati l’arrivo di più mezzi corazzati, non uno solo, figurarsi un solitario con l’intenzione di sfidarli.
Sottovalutano ancora noi tedeschi, giudicò Ernst.
Il panzer continuò ad avanzare, a muoversi, schiacciando rottami di metallo e rottami di carne, finché Ernst si accorse che, fra i relitti che aveva contribuito a che diventassero tali pochi minuti prima, si sentiva un uggiolio. I T34/76 bruciavano, poche fiamme, più nubi di fumo oleoso, eppure doveva esserci un superstite.
Ernst bloccò la marcia del panzer che comandava, raccolse l’MP40 e smontò dalla torretta per andare a verificare cosa fosse, intanto le MG del suo carro armato l’avrebbero coperto.
Ernst si fece vicino al sepolcro infuocato da cui gli erano giunti alle orecchie quei versi e rimpianse di non aver con sé una maschera antigas. Agli equipaggi dei carri non erano state assegnate; ora che la Germania stava perdendo la guerra, figurarsi.
Frugando con gli occhi tra le lamiere, Ernst rimase di sasso. Dopo un istante, superò lo stupore e, l’MP40 a tracolla, recuperò da quella trappola un essere indifeso che, solo grazie alla fortuna, non si era fatto nulla – ma con l’estendersi delle fiamme, non avrebbe continuato a essere così fortunato.
Un cucciolo di cane. Un cagnolino. Forse la mascotte del plotone corazzato russo.
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Il baratro inizia con la perdita dell’umanità.
Quel cagnolino è il Salvatore, non il contrario
Forse il cagnolino avrà arrestato l’avanzamento di Ernst e lo ha salvato. Bravo, Kenji.
Grazie! Felice della tua rapida lettura