Il CCPCDUA

Serie: Senza Battito


Una banale visita di controllo in ospedale costringerà Patrizio a vivere un'avventura, stringere una amicizia e farsi domande. Tutte cose che avrebbe volentieri evitato.

L’uomo rideva, e nel farlo mostrava una ragnatela di rughe che non ci si sarebbe aspettati, ma che comunque non riusciva a invecchiarlo. Questo perché aveva gli occhi azzurri brillanti e vividi, non opachi come sono spesso gli occhi dei vecchi, e perché la sua risata era purissima, non una traccia di malinconia. Patrizio lo avrebbe preso a schiaffi.

«Ma la smetta, di ridere, la smetta!» diceva in preda all’ansia, ma l’uomo rideva. A Patrizio mancava il fiato, si sentiva irrequieto nelle braccia e nelle gambe, le quali erano comunque inutili. Erano in un ospedale, e quell’uomo stava per morire.

Ormai era certo. Era orripilante ed era certo.

L’incubo era iniziato due giorni prima. Patrizio era stato ricoverato per dei controlli. Il suo cuore era un po’ traballante e ogni anno si ripeteva questo rituale. Spiacevole, tedioso, niente di più. Sarebbe rimasto qualche giorno ad annoiarsi in reparto prima di tornare alla solita vita. Divideva la stanza con Armando. 

La prima volta che lo vide indovinò che fosse più vecchio di lui, ma non avrebbe saputo dire di quanto. Non sembrava malato. Non aveva l’aria preoccupata o rassegnata del malato, l’odore del malato, o la mestizia del malato. Eppure, era il caso clinico più clamoroso degli ultimi anni. Era con queste esatte parole che l’aveva presentato l’infermiera. 

«L’uomo con cui starà in stanza è il caso clinico più clamoroso degli ultimi anni, ma non si preoccupi, niente di contagioso» disse, scoprendo un sorriso storto e anch’esso per niente contagioso.

Patrizio iniziò a sistemare le sue cose e inavvertitamente lanciò un’occhiata al suo vicino, che lo fissava insistentemente.

«Posso fare qualcosa per lei?» L’uomo strinse gli occhi, indispettito.

«Non mi ha chiesto qual è la mia condizione. Che razza di impertinente.»

Patrizio rimase inebetito per un secondo, poi si ricordò di avere un carattere particolarmente irritabile, e si irritò.

«Non ho capito, lei si è offeso perché io sono stato educato e non mi sono fatto i cazzi suoi?»

«Ma lei lo sa» continuò il vecchio, guardandolo di sotto in su «che ieri è venuto un primario dal Giappone per conoscermi?»

«E quindi?»

«Io sono un caso raro! Vengono studenti di medicina a fare la tesi su di me!»

«Lei è malato di mente, malato di mente sul serio» sbottò Patrizio.

«Ah, magari lo fossi. Le malattie mentali non ci provano nemmeno a curarle. Ma questa caro mio» proseguì, più a beneficio del soffitto che del suo interlocutore «questa ci proveranno in tutti modi a curarla. Non me la scanso. E lei non ha neanche la creanza di chiedermi un selfie!» 

Tornò a guardare indispettito Patrizio, che non voleva, non voleva proprio prendersela con un evidente disagiato mentale, ma aveva avuto una brutta settimana e non aveva intenzione di sentire i deliri di un vecchio pazzo.

«Mi ascolti bene, non me ne frega un accidenti della sua condizione, ho già da pensare alla mia, quindi stia zitto e veda di non farmi incazzare, che non mi va proprio.»

«Lei ha un brutto carattere.»

Era ormai chiaro che sarebbe stata un’altra brutta settimana.

La sera consumarono il pasto in silenzio. Il CCPCDUA assaporava deliziato la pasta al sugo scotta, mentre Patrizio guardava con orrore due mollicce patate novelle, immerse nella loro stessa condensa, per poi capire, con rinnovato disgusto, che si trattava delle due metà di una mela cotta. Proprio mentre il suo cervello cercava di ricostruire il procedimento che aveva portato quella povera mela ad assomigliare a una patata raggrinzita, si sentirono dei rumori e delle urla provenire dal corridoio. CCPCDUA allungò il collo per vedere che succedeva, mentre Patrizio, sovrappensiero, si limitò a dire ad alta voce: «Sedatavo

«Oh, anch’io adoro quel film!» Patrizio si girò a guardarlo. Lo strano vicino di letto era trasfigurato di gioia. Sospettò che non vedesse l’ora di trovare un argomento di conversazione. Ne fu infastidito e intenerito a un tempo, e si sorprese di aver avuto un pensiero così empatico nei confronti di uno sconosciuto.

«Comunque mi chiamo Armando.»

«Piacere, Patrizio.»

E chiacchierarono di film per un po’. La tensione della mattina sembrava allentata, ma Patrizio non aveva l’abitudine di lasciar perdere una discussione, caratteristica comune in chi crede di aver sempre ragione, quindi tornò sull’argomento.

«Sono contento che si vada d’accordo adesso. Stamattina era piuttosto risentito con me, e non credo di aver capito perché.»

«Be’, noi celebrità siamo vanitose, sa com’è. Ci rimaniamo male quando veniamo ignorate.» 

Lo disse con dignitosa ed estrema serietà. Poi lo guardò con una luce quasi birichina e un sorriso che non sarebbe stato fuori luogo sul volto di un ragazzino pronto a rubare delle caramelle: «Allora…»

Armando prese e si sedette sul letto di Patrizio, gli afferrò una mano e se la mise sul petto, guardandolo pieno di aspettative, in attesa di una reazione esterrefatta.

«Non sento niente…» rispose l’altro, incerto.

«Esatto» e scoppiò a ridere.

«Non capisco… »

«Il cuore, stupido!» disse con uno scatto di insofferenza «non mi batte, ormai da anni! Il mio medico di base è andato in terapia» aggiunse ridacchiando, «povero scemo. Non si sente allo stetoscopio e nemmeno all’elettrocardiogramma, tutte le macchinette che fanno bip bip restano mute quando stanno attaccate a me. Io» continuò, abbassando la voce e avvicinandosi a lui, «sono morto e non me ne sono accorto!»

Armando scoppiò a ridere fino alle lacrime e si trascinò sul proprio letto, lasciando Patrizio, costernato, nel suo.

L’indomani mattina, senza aver fatto colazione e con l’odore di corsia ospedaliera che gli tormentava le narici, Patrizio iniziò la sua giornata di avanti e indietro da un reparto all’altro, su e giù tra i piani, a farsi fare buchi, a farsi auscultare, osservare, prelevare o inserire qualcosa nel corpo, trotterellando sempre dietro a una suora pinguiniforme che lo guidava come un Virgilio tra i dannati. 

Avanti e indietro. 

Ovunque un lamento, una lamentela, una lamentatio. 

Su e giù. 

Con quell’odore sterile e allo stesso tempo sporco, fisiologico, che lo appestava.

Avanti e indietro, su e giù.

Patrizio era così inebetito che finì per inciampare nella sacca di drenaggio di una povera donna con la faccia mesta che sostava davanti al reparto di oncologia, ma lui neanche ci fece caso. Era ipnotizzato dal velo di suor Paola, il cui movimento ondulatorio faceva riaffiorare in Patrizio ricordi sopiti della scuola cattolica, delle ore passate a sentire il ronzio di un pretino che parlava della Bibbia, della mensa abbondante ma perennemente scipita, delle foto di paesaggi stucchevolmente belli, arricchiti da citazioni evangeliche.

In questo stato ipnotico ritornò nel suo letto. La stanza era vuota. Prese il telefono e si infilò tra le coperte dure e sterili. Sua madre scriveva, scriveva, avrebbero dovuto mettere un limite di caratteri su qualunque programma di messaging, pensava Patrizio, come stai, chiedeva lei, e seguivano aneddoti e commenti riguardanti la salute sua e di persone che chi le conosceva. Così era sua madre, dio com’era logorroica, e più lei scriveva più Patrizio si riscopriva ermetico. Inviò un semplice “ok”, che non si capiva a quale domanda rispondesse, e lui si immaginava la vecchia a scartabellarsi e a scrivere per tutta la sera un messaggio ancora più affastellato di sillabe, nel quale avrebbe chiesto spiegazioni e fornito un ulteriore sostegno che lui non aveva mai chiesto.

Fece qualche giro sui social. La sua ex si era sposata. Buon per lei. Una donnetta debole, quanto piangeva per una qualunque sciocchezza, ma era una brava ragazza e aveva disperato bisogno di un uomo nella sua vita.

Le notizie del giorno non offrivano spunti particolari. In qualche remoto paese nel quale Patrizio non sarebbe andato neanche a pagarlo, c’era qualche guerra o qualche rivolta, un politico aveva rubato qualcosa, un mafioso ne aveva ucciso un altro, questa era strana, un uomo era morto d’infarto subito dopo aver fatto un controllo dal cardiologo. Questa era bella, pensa se capita a me, chi lo dice a mia madre? Scriverà una lettera indignata al medico curante della lunghezza di svariati equatori. Che stupido organo il cuore, quanti problemi, fin dai tempi della scuola. Ma davvero quell’uomo gli aveva detto che il suo cuore non batteva più?

Patrizio si girò distrattamente verso il letto accanto al suo e si accorse con sorpresa che Armando era tornato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò senza far rumore. 

Davvero gli aveva detto che il suo cuore non batteva più? Che sciocchezza. 

Perché è ricoverato qui e non a psichiatria però?

Mise la mano sul petto del vecchio addormentato. Respirava regolarmente, il suo petto andava su e giù, come da manuale. Ma non si sentiva il cuore. Ovviamente doveva battergli, ma Patrizio non lo sentiva.

Che sciocchezza. Ma poi a me che me ne frega di quest’uomo?

E andò a dormire.

Serie: Senza Battito


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Umoristico / Grottesco

Discussioni

  1. Complimenti per questo inizio serie molto interessante e originale. Tra l’altro scrivi veramente bene e senza ripetizioni o ridondanze. Mi è piaciuta molto l’immagine della suora e di quel su e giù che, credo, sia capitato a tutti di fare.

    1. Sei davvero molto gentile ❤️ sì, penso che purtroppo i via vai tra i corridoi d’ospedale siano un’esperienza universale… Spero che il seguito ti piaccia, grazie ancora del tuo commento!