Il cerchio intorno alla preda

Serie: Il solo modo che conosco


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ... buttando un occhio di quando in quando alla finestra e ai contorni spioventi dei tetti che sotto un azzurro striato di bianco si facevano ambasciatori dei desideri della città.

Come la sera precedente, ho lasciato Greta a riposare e sono andato in centro a piedi.

La differenza col giorno prima è stata aver indossato la camicia, in alternativa alla polo a righe. Avrei fatto anche a meno di portarle entrambe, ma alla fine ho pensato che così avrei potuto raccontarmi di essermi sempre cambiato rispetto alla sera prima. E la vocina che mi bisbiglia all’orecchio insinuando che sono uno zozzone: muta.

Un’altra differenza è stata che stavolta sapevo già dove andare a mangiare. Avevo prenotato quel ristorante mesi addietro, cercando in rete in una delle mie parentesi preparatorie, trovando un locale storico in centro nella MarktPlatz. Un edificio in legno dalle facciate porpora che in un’esplosione di creatività hanno chiamato Rotes Haus (Casa Rossa).

Per arrivarci, dall’albergo il navigatore suggeriva di tirare dritto lungo la strada dalla quale ero arrivato, svoltare a sinistra ed entrare nella zona pedonale. Ma come soluzione mi è parsa riduttiva.

Così, attraversato il ponte sul fiume che unisce un lungo viale alberato alla zona centrale della città, ho abbandonato la retta via e ho seguito un tratto del greto trasformato in un piccolo parco, tra i cui alberi risulta piacevole passeggiare senza particolare motivo; confidando che se tutte le strade portano a Dornbirn, non sarà poi così difficile raggiungere la piazza del mercato.

Le striature bianche che avevo visto in cielo dalla finestra della camera si erano trasformate in nuvoloni solitari e gonfi che correvano veloci, sospinti da un vento più forte in quota che a terra, proiettando ombre circoscritte e rilasciando sporadici, minuscoli scrosci, talmente contenuti da suscitare più tenerezza che apprensione, quasi benvenuti mentre rinfrescavano l’aria.

Come spesso mi succede, ho associato quella temperatura e il verde intorno a momenti della mia infanzia che so di aver vissuto pur non ricordandoli, sogni di pomeriggi settembrini sulle alture alle spalle dei posti in cui sono cresciuto.

Quando infine lo stomaco ha perso la pazienza ed ha iniziato a reclamare il rispetto del patto siglato la mattina, ho imboccato la prima deviazione disponibile e l’ho seguita fino a ritrovarmi ai margini della zona pedonale, nella quale ho fatto ingresso camminando fra le sue strade lastricate, tra buone e cattive intenzioni.

In questo aggirare la meta come si accerchia una preda si nasconde la mia tendenza a procrastinare le cose, nel bene e nel male. Me la porto dietro da sempre.

A volte consiste nel non voler affrontare una situazione. Altre invece è il piacere di arrivare alle cose per gradi, assaporarle lentamente, così da non consumarle e farle finire ancor prima di accorgermi di averle iniziate. Come quando compravo un videogioco e la prima cosa che facevo era leggerne il libretto delle istruzioni dalla prima all’ultima pagina, con la descrizione del contesto, i personaggi, le armi.

A volte invece è tutt’e due le cose, come in questo momento in cui so che appena la serata finisce sarà già domani, e raggiungere Tübingen mi metterà ancora di fronte ad un momento fatto di contrasti che si mescolano fra loro, tra il piacere genuino di trovarmi lì e la necessità istintiva di trovare una chiave che apra alla mia presenza in quel posto, quasi ci fosse un obiettivo da raggiungere.

Sono arrivato alla MarktPlatz senza incontrare né grossi ostacoli né molta gente per strada, in quel sabato sera tutti già riversi in una piazza ampia, piacevole, dall’impronta tipicamente germanica, circondata da edifici più o meno risalenti dove il legno si unisce ai mattoni intonacati e alle facciate dalle insegne dipinte.

Nonostante le persone assiepate fuori dal ristorante, ho atteso solo pochi minuti prima che un cameriere mi facesse accomodare ad un tavolo fuori. Vista la storicità del locale avrei preferito mangiare all’interno e per un attimo, mentre seguivo il cameriere, mi sono illuso che potesse essere così; ma mi è stato presto chiaro che il dentro fosse riservato alle famiglie elitarie della Dornbirn bene, ed ho accettato di buon grado il posto che il gestore del locale e la mia condizione sociale mi avevano assegnato.

Non ho voluto nemmeno consultare il menù, troppa la paura di ritrovarmi tra le mani una versione in italiano che rovinasse l’atmosfera.

«Wiener Schnitzel e una Weizen, per entrambi la versione più grande che avete, grazie.»

Mentre assaporavo il primo sorso di birra, in attesa della carne sotto un cielo nuovamente sereno e prossimo al tramonto, ho provato quel retro-piacere vagamente meschino nell’osservare la piazza gremita di gente e una folla di autoctoni che avrebbero voluto essere seduti lì dov’ero seduto io ma, ahimé, non avevano prenotato con mesi d’anticipo.

Per tutta la serata, mentre il cameriere passava ogni tanto dalle mie parti chiedendomi «Alles in ordnung, Herr Roberto? – Tutto bene?», davanti al mio tavolo è rimasto seduto un uomo enorme. Somigliava ai gangster italoamericani così come vengono rappresentati nei film, pantaloni scuri e camicia altrettanto, aperta sul petto, una collanina d’oro che penzolava. Potevo vedergli il profilo ed un collo gigantesco, che sulla nuca formava tante pieghe come le hanno i cani Shar Pei. È stato trattato con insolita deferenza da tutto il personale e per il tempo in cui sono rimasto seduto non ha mangiato nulla. In compenso, si è scolato una bottiglia intera di rosso fumando una sigaretta dietro l’altra, fissando alternativamente il telefono e la piazza, la piazza e il telefono, tanto che per un attimo ho creduto fosse un sicario in attesa del via libera per tirare fuori la pistola e ammazzare qualcuno.

Al termine della cena sono rimasto ancora un po’ lì in quella piazza. Mi sono preso un’altra birra e sono andato a sedermi sui gradini di un colonnato. Assieme ad un mucchio di sconosciuti, ho guardato qualche azione di una partita di calcio attraverso lo schermo di una tv piazzata lì in mezzo. Giocavano Nonmiricordochi contro Nonmiricordonemmenoloro, un incontro avvincente che mi ha tenuto incollato ai gradini giusto il tempo di svuotare il bicchiere. Poi, con un simbolico inchino una volta in piedi, ho salutato tutti e me ne sono andato.

Non ho letto di omicidi in città per quella notte.

Serie: Il solo modo che conosco


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. C è una riflessione che mi accompagna dal primo episodio: invidio il tuo modo di viaggiare. Devo assolutamente impararlo. Io di solito mi muovo in preda all’ansia: dove sono, arriveero in tempo, avranno un piatto di pasta come dico io, speriamo che in hotel ci sia l’aria condizionata…tu invece ci stai mostrando un modo di viaggiare che coincie esattamente con l’espressione “non importa la meta, l’importante è godersi il viaggio”. Bellissimo.

    1. Grazie Irene, hai avuto proprio un bel pensiero. In effetti quello che cerco sempre di fare è di non crearmi delle aspettative ma prendere quello che viene e vedere se c’è da ricavarne qualcosa. Grazie di essere sempre qui.

  2. Dunque, “Wiener Schnitzel e una Weizen”: la Weizen deve essere la birra, mentre Wiener Shnitzel cosa sarebbe esattamente? Hai parlato di carne, ma è un piatto tipico?

  3. “ome quando compravo un videogioco e la prima cosa che facevo era leggerne il libretto delle istruzioni dalla prima all’ultima pagina, con la descrizione del contesto, i personaggi, le armi.”
    A me capitata con i fumetti: prima mi guardo tutti i disegni, dopo leggo la storia. Una patologia rara😂 😂

    1. Oppure lucidare la stagnola che ricopre lo yogurt e scavare nel bordo superiore del vasetto per levargli la parte addensata prima di affondarci il cucchiaino dentro. Te ne potrei dire mille di cose del genere che faccio io.

  4. Grazie per aver soddisfatto almeno in parte la mia curiosità su quel tipo😂magari aspettava una donna, chissà.
    Tra descrizioni vivide e bellissime e la tua ironia, si ha davvero l’impressione di assistere in prima persona a ciò che racconti. Complimenti come sempre!

  5. Ci sono tante persone che si precludono dei viaggi perchè dovrebbero affrontarli da sole. Come se non avere compagnia non valesse l’avventura.
    Questa serie dovrebbe essere letta anche da loro, per ricordare che anche i viaggi in solitaria valgono la pena di essere vissuti.

  6. Grazie per la bella serata e la cena a base di cotoletta (o pardon: Wiener Schnitzel…) e birra. Come sempre gradevoli le tue ambientazioni, mentre la moto si riposa :). Spero bene che il tipo enorme non fosse un killer, dopo essersi scolato una bottiglia di rosso… Ciao, alla prossima tappa