
Il corridoio
Il cadavere era accasciato in un angolo della stanza. La carne era straziata da numerose piccole ferite circolari dalle quali non usciva sangue. Ogni taglio era circondato da un alone bluastro fosforescente. Gli occhi erano stati estirpati uno dopo l’altro e un orrendo pus azzurrino colava dalle orbite vuote. Mentre esaminavamo il corpo, ci rendemmo conto che il veleno azzurro pareva quasi muoversi, come se fosse stato dotato di vita propria. Pulsava mentre scendeva lungo le pieghe del corpo martoriato, riunendosi in una sola pozzanghera sul pavimento lastricato.
Ian mi guardò, indeciso sul da farsi.
«Secondo te è morto?»
«Certo che è morto, deficiente.» Ian non spiccava certamente per la sua mente brillante. A volte però la sua stupidità si rivelava una preziosa alleata: era uno che aveva il coraggio di gettarsi nelle imprese più pericolose, dato che non ne sapeva valutarne i rischi. Era il motivo per il quale mi aveva seguito anche quella volta.
«Forza, scansiamolo.» Io e Tessa afferrammo il cadavere per i lembi dei pantaloni stracciati, trascinandolo di peso verso una rientranza nel muro, all’uscita del corridoio di pietra. Lei sussultò quando la testa si staccò dal collo, rotolando con un suono sordo dall’altra parte della stanza. La melma bluastra continuava a brillare e pulsare, ma aveva smesso di fuoriuscire dagli orifizi. Sembrava che le varie molecole si attraessero a vicenda, come in un fluido magnetico. Solo che questo, ora riunito in un ammasso viscoso, stava palesemente strisciando verso i miei scarponi.
Afferrai saldamente la torcia elettrica e feci cenno ai miei compagni di seguirmi.
I corridoi del tempio sembravano tutti uguali, come in un labirinto, con l’unica differenza che continuavano sempre nella stessa direzione. Ogni due o trecento metri si apriva una stanza, oltre la quale ricominciava un nuovo corridoio che si inoltrava sempre più in profondità.
In realtà non eravamo nemmeno sicuri che quello fosse un tempio. Avevamo deciso di considerarlo tale per la presenza di statue in pietra e originali altari rituali nei quali ci eravamo imbattuti durante le sei ore di esplorazione. Eravamo entrati alle due del pomeriggio, scoprendo il passaggio tra le rocce nei pressi di Ichupampa, in Cile.
Un rumore secco, di un oggetto caduto a terra, risuonò dietro di noi.
Misi la mano in tasca ed estrassi il palmare. Stando al GPS, in quel momento ci trovavamo sotto Time Square, a New York, ma lo ritenni alquanto improbabile.
«George, sono stanco.» Ian si lamentava sempre come un bambino, il ché non era d’aiuto. Quella volta però ero d’accordo con lui. Erano ore che camminavamo in un dedalo di corridoi senza giungere da nessuna parte e tutto ciò che avevamo incontrato erano vecchie statue ammuffite e un cadavere ammorbato.
«Cinque minuti di pausa» ordinai, togliendomi lo zaino dalle spalle. Mi lasciai cadere sulla nuda roccia, respirando a fondo. L’aria pesante mi dava un fastidio tremendo. Credetti che se avessi passato ancora molto tempo sottoterra avrei cominciato a decompormi anch’io. «Forse è il caso di tornare indietro» ammisi.
D’improvviso, sentimmo di nuovo il rumore di qualcosa che cadeva a terra, proveniente ora dalle profondità di fronte a noi.
Tessa si guardò attorno: lo spazio era limitato e le luci elettriche illuminavano a sufficienza. Si sentiva affaticata e preoccupata. Cosa ci faceva lì? Avrebbe fatto meglio a rimanere a casa, tra i suoi libri. Sarebbe potuta stare a giocare con la sua cagnolina e a mangiare patatine di fronte alla TV invece di scarpinare per cunicoli umidi e dimenticati da Dio.
«George» si lamentò a un certo punto Ian, con lo sguardo perso nel buio.
«Che c’è?»
«Secondo me siamo già passati di qua.»
«Ma non dire scemenze.» Mi slacciai gli scarponi e mi massaggiai i piedi doloranti.
«A me sembra che siamo proprio passati di qui, prima.»
«Ian per favore, la situazione è già abbastanza difficile anche senza i tuoi continui lamenti.»
«George» mi interruppe Tessa, toccandomi una spalla. «Ha ragione. Guarda.» Indicò una serie di simboli sulla parete, simili a geroglifici. «Ci siamo fermati circa due ore fa a leggerli.» La voce di Tessa era atona e orribilmente preoccupata.
«Non ti ci mettere anche tu» dissi, alzandomi in piedi per guardare i simboli. «Da quando abbiamo imboccato il corridoio non ci sono state deviazioni. È solo un caso…» Allungando la mano per ripulire la parete dalla sporcizia mi bloccai alla vista di un’impronta. Era evidentemente una manata, data di fretta per rendere leggibili gli pseudo-geroglifici, da sinistra a destra. Provai a scansare l’idea, ma quella sembrava proprio la manata che avevo dato alla parete un paio d’ore prima.
«Te l’ho detto che ci siamo già passati» commentò Ian, sorridendo come un’ebete.
Tessa si alzò di scatto.
«Che diavolo sta succedendo?» bisbigliai, senza distogliere lo sguardo dalla parete.
«Guarda.» Tessa aveva gli occhi pervasi dall’incubo: una chiazza azzurrognola, fluorescente e melmosa brillava a una cinquantina di metri da noi, nel buio del corridoio. Si stava avvicinando.
«Muovi le chiappe Ian, proseguiamo» dissi con un nodo alla gola. Rapidamente mi infilai gli scarponi.
Dapprima ci muovemmo a passo lento, poi rapido e infine di corsa: il panico ci stava assalendo. Corremmo tanto da farci mancare il fiato, fino a raggiungere una nuova stanza. Entrammo senza titubare e puntammo attorno le torce, pervasi da uno stato d’ansia che ancora non riuscivamo a comprendere a fondo. Quello che si presentò ai nostri occhi mi attanagliò il cuore come una morsa dentata.
C’era un cadavere, accasciato in un angolo della stanza e la carne era straziata da numerose piccole ferite circolari dalle quali non usciva sangue. Le orbite erano vuote e un pus azzurrino colava all’esterno, quasi muovendosi di moto proprio. Pulsava mentre scendeva lungo le pieghe del cadavere, riunendosi in una pozzanghera sul pavimento lastricato.
Ian mi guardò, indeciso sul da farsi.
«Secondo te è morto?»
Dalla smorfia che fece Tessa ero sicuro di essere sbiancato.
Provai il desiderio di cavarmi gli occhi e lasciare che la purulenta melma fluorescente mi risalisse lungo la gamba.
Poi Tessa parlò.
«Forza scansiamolo.»
Rimasto a bocca aperta distolsi lo sguardo. Contemporaneamente, il suono dell’oggetto caduto rimbombò alle nostre spalle e di fronte a noi, nel profondo dell’oscurità.
Guardai il cadavere: la testa gli si sarebbe staccata al minimo strattone.
Risposi a Tessa con l’unica parola che mi venne in mente.
«Merda.»
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Molto ben scritto. Il labirinto lineare si accompagna ad una ripetitività degli eventi che dà la sensazione di essere diretti inesorabilmente verso una direzione da cui non vi è ritorno, mentre si fa strada il timore di non avere scampo. Bello anche il tema di un mondo sotterraneo terrificante parallelo alla civiltà ordinaria e distratta presente (forse) in superficie. Bravo Fabio, mi è piaciuto molto.
Che dire… felicissimo che sia piaciuto! E il tema del mondo sotterraneo, o nascosto oltre il velo del comunemente percettibile, è un tema che mi è caro. Il suo sviluppo è ormai, dopo anni, diventato davvero labirintico!
È stato interessante leggerlo. Hai saputo tenete l attenzione, dovute principalmente da parole usate bene… La fine mi è piaciuta avvicinandosi molto al mio precedente racconto… Chissà se si sono salvati Ian e Tessa!!
Magari lo scopriremo, prima o poi. Amo considerare tutto ciò che scrivo parte di unico mondo e, ogni tanto, inserire un Easter Egg con riferimenti ad altre cose che ho scritto. Ma se una seconda spedizione trovasse cadaveri freschi nel corridoio…
Un mio lavoro che ha diversi anni ormai e non è mai stato pubblicato in nessuna delle mie raccolte. Ha una struttura semplice e lineare, che può essere un bene per un testo un po’ macabro (anche se spesso mi diverto a essere molto più contorto). Se riesce a mantenere la tensione, che dire: l’esplorazione ha avuto successo!
Un racconto molto interessante e devo dire scritto bene, mi piace come descrivi tutti quei particolari -diciamolo- un pò schifosi e fai in modo che però si incastrino bene e senza scivoloni nel racconto, anche i dialoghi rendono lo stato della situazione e mi piace la tensione che hai creato, bravo!