Il desiderio di sognare

Serie: L'eredità di Giacomo


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Piero riferisce quel poco che sa di Giacomo e Thomas comincia a sistemare qualche tassello.

Tornato a casa lasciai spenti televisore e computer e accesi lo stereo. Tolsi dalla borsa i miei pochi dischi e misi sul piatto Vitalogy dei Pearl Jam alzando il volume quasi al massimo, così da sentirlo anche in bagno. Dopo la doccia rigenerante tornai in camera, accesi il computer e scrissi una mail a Graziano per aggiornarlo e per fargli presente che non doveva crucciarsi per la liquidazione, che poteva tranquillamente pagarmela un po’ alla volta, gli ribadii la mia amicizia, la inviai e poi spensi. Erano solo le ventidue e trenta, per la terza volta tentai di terminare la prefazione di Calvino alle poesie di Montale ma anche in questa occasione non ci riuscii: chiusi il libro, spensi la luce e lasciai liberi i miei pensieri.

Avvertii il desiderio di sognare e mi addormentai quasi subito.

La bambina fece una rapida comparsa: correva in un prato primaverile, un piccolo mazzolino di fiori nella mano destra, verso una giovane donna che, seduta sull’erba, rideva felice. Non sentivo la voce ma, nel sogno, provai a interpretare il labiale: Attenta a non cadere…, il nome, alla fine della frase, non lo compresi. Come sempre la scena si ripeteva più volte sempre identica e, nelle repliche prestai maggiore attenzione per capire il nome della bimba e mi convinsi fosse Elisa. In un’altra sequenza l’uomo con i pantaloni alla zuava era seduto a un tavolo di legno, all’aperto, e sorseggiava una birra. Lo sfondo di alte montagne mi suggerì che si trovasse all’esterno di un rifugio in quota.

Quando mi svegliai, poco dopo le sette, ero riposato e sereno. Scesi in cucina a preparare il caffè e, nell’attesa che la moka facesse il suo lavoro, annotai le scene sognate con tutti i minimi particolari a cui avevo prestato attenzione. Bevendo il caffè fissai sulla carta alcune mie considerazioni. Valutai che la mia mente funzionava bene, dato che le ‘anomalie’ erano ristrette alla sfera onirica, anzi, avevo constatato che fumare solo tabacco e non esagerare nel bere mi aveva restituito una lucidità e prontezza di pensiero che mi ero scordato di possedere. Mi appariva abbastanza chiaro che Giacomo, presumendo che il punto di vista nelle scene fosse il suo, volesse comunicarmi qualcosa e, sebbene ciò che sognavo non mi spaventasse, la possibilità che un defunto volesse stabilire un contatto con me mi inquietava parecchio e, soprattutto, non mi erano chiare le sue motivazioni e quale fosse il mio ruolo in questa strana storia. Le poche informazioni avute da Piero mi avevano dato due conferme: che le cose nuove presenti in casa erano state appositamente acquistate per me e che la clausola che mi voleva presente per una settimana in maggio era in linea con le sue consuetudini e, prima o poi, ne avrei compreso il motivo. Accanto a queste certezze c’era la rassicurante testimonianza di Piero che garantiva la bontà d’animo di Giacomo. Ma perché non mi aveva contattato da vivo anziché da morto? La preparazione del piano, compresi acquisti e disposizioni testamentarie, non l’aveva di certo fatta il giorno prima di morire.

Una voce interiore, che non so se fosse della mente o dell’anima, suggerì che potevo lasciare tutto e tornare a Bologna, alla mia vita precedente, ma fu zittita da un’imprecazione molto scurrile.

Decisi che era tempo di distrarsi e conoscere la valle, così scesi da Piero per avere consigli su escursioni che potessero essere adatte a me, aspirante abitante dei monti senza alcuna esperienza.

Mi regalò un libro sul quale erano indicati itinerari, tempi di percorrenza e difficoltà.

«Per oggi ti consiglio di seguire la strada in salita, al Breg Adventure Park devia a sinistra: se tieni un buon passo in un’ora e mezza arrivi a Malga Arnò, ti piacerà. Passa a farmi sapere com’è andata, quando rientri.»

Lo ringraziai, passai da casa, mi vestii da montagna e, infilati gli scarponi, mi avviai baldanzoso.

Dopo due ore di dura ascesa, in mezzo a un’abetaia che mi nascondeva i monti, giunsi a una vasta conca di pascoli e, alzando lo sguardo, rimasi incantato da ciò che vidi: le alte montagne rocciose, i boschi, verdi quelli baciati dal sole e ancora coperti di neve quelli in ombra, i ruscelli impetuosi e le cascate che formavano, catturarono i miei occhi e mi diedero un’emozione fortissima. La stanchezza era tanta ma il premio ricevuto me la fece dimenticare: grazie Piero, pensai. Mi fermai a scattare decine di fotografie e ignorai il desiderio di farmi una sigaretta per non profanare la magia di quel posto, poi, quasi di malavoglia, mi girai e tornai sui miei passi.

Non erano neanche le tredici quando entrai nel ristorante e, vista l’ora, trovai opportuno fermarmi a mangiare. Piero, indaffarato a servire i numerosi clienti, mi indicò con un cenno dove prendere posto.

«Pasta al sugo di lepre?» mi chiese senza neanche fermarsi.

«Ottimo!» gli gridai di rimando.

Mentre stavo finendo il primo venne a chiedermi se mi andasse bene un po’ di grigliata mista e due patate al forno e io confermai.

«Fra un po’ la sala si svuota, qua la gente lavora, non va mica a spasso come te. Poi, mentre riordino mi racconti.»

Per una ventina di minuti fu occupato alla cassa a fare conti e ricevute, usciti gli ultimi clienti iniziò a ripulire la sala e, arrivato vicino a me, chiese:

«Allora, piaciuto il posto?»

«Dire che è bello è poco, sono stato in India e in Giamaica ma raramente i miei occhi sono stati felici come oggi. Devo proprio ringraziarti!»

Finii di pranzare e, come mia consuetudine, preferii bere il caffè al banco del bar. Quando Piero terminò di rassettare scambiammo due parole sulla mia gita e gli fece piacere che avessi apprezzato sia la fatica del salire che la bellezza di ciò che avevo visto. Mi descrisse itinerari altrettanto belli e ribadì che, una volta che mi avesse ritenuto pronto, mi avrebbe fatto salire sulla cima del Cop e che lì avrei compreso la grandezza dell’andare per monti.

Pagato, come sempre poco, e salutato, tornai impaziente a casa. 

Serie: L'eredità di Giacomo


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Caro Giuseppe, eccomi arrivata anche io fino a qui. Devo dire che, come sempre, leggerti è un’esperienza immersiva, lenta, la stessa, forse, che Piero sperimenta guardando le montagne. Hai questo modo di scrivere molto scenografico che prende per mano il lettore e non tralascia nulla. Dalla scelta dei dischi da ascoltare, ai piatti da degustare, perfino il montaggio delle TV. C’è poi tutto l’amore per le tue montagne che si sente, riga per riga. Mi piace come stai gestendo l’evoluzione del personaggio: il suo cambio di look, ma soprattutto la maggiore presa di coscienza di sé che lo sta facendo maturare e lo guida in scelte maggiormente consapevoli. Purtroppo per lui, il tag che il nostro caro autore ha indicato e quei sogni a dir poco inquietanti, non promettono niente di buono. Bravissimo Giuseppe e un abbraccio.

    1. Ciao Cristiana. Mi da più piacere leggere il tuo commento, lucido e attento come sempre, che rileggere il mio episodio che non è assolutamente horror come avrei voluto. Alla fine ne esce una storiella di formazione che andava bene in narrativa. Questo capita quando si affronta, con presunzione, un genere che si conosce poco: ci si impantana e si fanno salti mortali per uscirne dignitosamente. Un abbraccio 🌹

      1. Io credo che questa storia abbia delle ottime potenzialità per soddisfare il tuo intento iniziale. La solitudine delle montagne, il fatto che tutto sia troppo e facilmente alla portata di mano, l’oste che mi sembra troppo accondiscendente, quel sogno ricorrente a dir poco inquietante. Certo che te la devi giocare bene, ma credo che tu ti possa prendere tutto il tempo che vuoi. La storia verrà da sè. In bocca al lupo 🙂

  2. Che sia horror o no, il racconto ti sta venendo comunque molto bene. Questa storia del contatto attraverso i sogni mette curiosità.

  3. Decisamente intrigante. Mi è piaciuta “la moka che fa il suo lavoro”, il defunto Ciacomo che vuole comunicare attraverso i sogni, l’abetaia che nasconde i monti. Ottimo ritmo e scrittura figurativa: ho visto il verde dei pascoli. Bello, attendo la prossima.

    1. Grazie Maria Luisa. Volevo cimentarmi con l’horror ma non ho la cattiveria necessaria quindi, al massimo, riesco a procurare leggera inquietudine. Credo che il problema sia il mio scetticismo nel soprannaturale, non credendoci non riesco a rappresentarlo. Cercherò di chiudere velocemente e dignitosamente questa serie, che voleva essere un racconto breve, e tornerò alle mie visioni di futuri alternativi che sono più nelle mie corde.