Il Diavolo fa le pendole (2/2) – Oscillazioni

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Un vecchio orologio a pendolo con una strana melodia.

Con delicatezza fece compiere una rotazione completa alla lancetta dei minuti. Nulla. Continuò ancora finché la lancetta delle ore concluse anch’essa il suo giro.

Sentì uno scatto metallico: l’orologio riprese a diffondere la sua melodia.

La stessa scala, gli stessi tredici rintocchi, lo stesso intervallo dissonante.

Provò ancora a telefonare. Nessuna risposta.

Ricominciò a spostare manualmente la lancetta dei minuti. Tlick. L’orologio suonò dopo sei giri completi. Incomprensibile. Continuò per riportare le lancette sull’ora giusta.

Tlick. Questa volta udì lo scatto metallico e la melodia dopo tre ore. Non aveva alcuna logica.

Tlick. Un’ora e mezza.

Tlick. Quarantacinque minuti.

Tlick. Ventidue minuti e un po’.

Tlick…

Tlick…

Tlick…

La situazione stava diventando assurda: ad ogni spostamento minimo della lancetta dei minuti l’orologio emetteva quel suono metallico e la melodia ripartiva da capo. Rimise a posto l’ora e chiuse lo sportello del quadrante: l’orologio ormai non smetteva più di suonare. Ad ogni oscillazione del pendolo di ottone lucido si udiva il Tlick metallico che attivava la suoneria, che non faceva in tempo a partire perché azzerata dall’oscillazione successiva. I rintocchi delle ore non smettevano più di proporre le due note dissonanti. Decise che ne aveva abbastanza.

Aprì lo sportello grande e fermò l’oscillazione del pendolo. L’orologio emise un gemito quasi umano finché tenne ferma l’asta di legno che sosteneva il disco di ottone lucido. Appena la lasciò riprese a muoversi, più velocemente, come per recuperare il tempo perduto.

La luce nella stanza calò all’improvviso, come se una nuvola avesse oscurato il sole ormai basso sull’orizzonte. Poi tornò la luce. Poi andò via e ritornò. Andò via e ritornò ancora. Come se nuvole velocissime e molto vicine tra loro coprissero e liberassero il disco solare.

Nuvole dense, nere, pesanti… pensò.

I rintocchi continuavano, inesorabili, dissonanti. Ad ogni oscillazione del pendolo adesso si potevano contare almeno sei Tlick metallici.

Decise di sganciare i pesi. Fermò il movimento del pendolo e sentì ancora il lamento. Appoggiò i pesi a terra, con cautela.

Per un attimo ci fu silenzio. E buio.

Tlick…

Si girò di scatto verso l’orologio. La luce era tornata, ancora una volta le nuvole avevano scoperto il sole. Pensò che presto si sarebbe scatenato un temporale. Vide qualcosa che prima non aveva notato osservando l’oscillazione del pendolo di ottone: quando questo per un attimo si fermava prima di invertire la direzione del movimento rifletteva il suo sguardo. Era come specchiarsi per un istante in una superficie deformante. Si avvicinò per guardare meglio.

Tlick…

A sinistra vide gli occhi.

Tlick…

A destra vide altri occhi.

Poi vide ancora occhi a sinistra e a destra, innumerevoli volte. Ma sempre occhi diversi.

Non ebbe neppure il tempo per spaventarsi che tutto ripartì con feroce velocità il suono e le variazioni di luce erano ormai una vibrazione velocissima. Fece appena in tempo a realizzare a cosa fosse dovuto quel passaggio tra la luce e il buio che si alternavano molte volte al secondo. Poi svenne.

Non sono nuvole, pensò. Il giorno e la notte… il giorno e la notte.

– – –

Aprì gli occhi con fatica. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso.

CazzoDevo aver battuto forte la testa quando sono caduto a terra.

Davanti a lui il mondo oscillava a sinistra e a destra, senza tregua. L’unico modo per fermare quel movimento era tenere gli occhi chiusi. Altrimenti era certo che avrebbe vomitato in pochi secondi.

Devo trovare il modo di chiedere aiuto.

Voci.

«Ragazzi… questo è fantastico!» esclamò una voce femminile. «Guardate che meraviglia questo vecchio orologio a pendolo.»

… endolo-o-o, ripetè il riverbero.

«C’è anche un tavolo, ma è ridotto male. Legno marcio, pieno di tarme.»

«Mi spiegate perché l’orologio è in funzione?» domandò una voce maschile. «Sembra che qui non entri nessuno da anni.»

«Beh, qualcuno lo avrà caricato, anche se non so come abbia fatto senza smuovere tutte quella polvere e quelle ragnatele» rispose un’altra voce.

Ne ho tolte un po’, pensò. Ma adesso aiutatemi. Ho bisogno di voi. Non riesco ad aprire gli occhi. Sto male.

«Comunque è bellissimo. Sapete cosa penso? Se lo lasciamo qui andrà di sicuro distrutto. Cosa ne pensate?» disse la voce femminile avvicinandosi e pulendo con la mano il vetro per guardare il pendolo di ottone lucido.

«È un movimento ipnotico. Affascinante.»

… scinante-e-e.

Perché non mi aiutate? Aprì gli occhi sperando di resistere ai conati di vomito.

Il mondo continuava a oscillare. Di fronte a lui, vicinissimo, il palmo di una mano femminile stava pulendo il vetro dalla polvere e dalle ragnatele. Quando la mano si abbassò si trovò di fronte un viso che lo osservava muovendosi a sinistra e a destra, di continuo, senza pausa. Dietro, alcune persone che seguivano lo stesso movimento ondeggiante, lento, regolare, così come tutto il resto del suo campo visivo. Resistette per pochi istanti prima di dover stringere forte le palpebre per cancellare quella visione.

«Guardate il disco di ottone del pendolo» disse la voce femminile. «Riflette il mio sguardo quando raggiunge l’apice. Però non sembrano i miei occhi…»

ei occhi-i-i.

Perché non mi aiuti? Perché oscilla tutto? Pensò.

L’orologio iniziò a suonare.

Serie: L'angoscia e l'ignoto


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Durante la lettura mi sono sentita immersa in una sorta di atmosfera lattiginosa, densa, palpabile. Davvero intensa l’emozione che le descrizioni trasmettono e che ansia tutti quegli occhi e le altrettante persone intrappolate da uno scorrere malsano del tempo.
    Molto bella l’immagine delle nuvole che si susseguono rapide e che non scandiscono una situazione climatica, quanto piuttosto il susseguirsi sconsiderato dei giorni.
    Questo episodio è un fiore all’occhiello per l’intera serie.

  2. Ho come il sospetto che i nuovi arrivati non riusciranno a portare via l’orologio, come non ci è mai riuscito nessuno prima di loro. C è stato un momento in cui mi si sono sovrapposte due immagini, i mutamenti repentini luce-buio, giorno-notte e l9 sbattere delle palpebre di mille occhi…la sensazione è stata proprio quella di essere “risucchiata” .
    Ho notato lo stile crescere, dal primo racconto, e trovare una dimensione che ormai è tua, un marchio che ti distingue. Io voto per il cartaceo 😉

    1. Ciao Irene. C’è una scena di un vecchio film horror che mi aveva colpito. Non ricordo il film, quindi di certo non è niente di che. Il pendolo di un orologio oscillava per poi fermarsi improvvisamente sospeso su uno dei due lati. Immagini che “a volte ritornano” e possono dare ispirazione. Poi, come ho detto a Gabriele, in studio ho un orologio a pendolo che non smette più di suonare quando attivo la suoneria… Avevo gli ingredienti e ho provato a metterli insieme.
      Grazie per la lettura e per la fiducia… 🙂

  3. Questa secondo parte del racconto mi è piaciuta moltissimo. Mi hai subito fatto pensare a Edgar Allan Poe, che tra l’altro è il mio autore preferito. Si sente l’ispirazione, nelle atmosfere tese, nel simbolo ossessivo dell’orologio e nella discesa progressiva nell’incubo. Ma la cosa che apprezzo di più è che, pur richiamando quel mondo, mantieni una tua voce personale, più asciutta e moderna.
    Bello!

    1. Ciao Mariano. Grazie. Sono passati molti anni da quando ho letto i racconti di Poe. Probabilmente quelle fantastiche atmosfere sono rimaste dentro di me a fermentare.
      Il simbolo dell’orologio effettivamente è molto potente: il ritmo, lo scorrere del tempo, praticamente una manna per la psicoanalisi 🙂

  4. Caspita, potente l’idea che sta dietro a questo testo. Un vecchio orologio che cattura e imprigiona dentro di sé chi cerca di portarselo via; i tratti di originalità dei tuoi lavori mi stupiscono in continuazione. Tutta era preannunciato da quei numerosi occhi, tutti diversi, che il protagonista osserva, e questo “presagio” è stato ben calibrato per non svelare troppo.

    1. Ho una pendola in studio. Era nel salotto dei miei genitori tanti anni fa. Funziona, ma se attivo la suoneria non smette più di ripetere la melodia del Big Ben, finché non si scarica. Ossessionante. Ecco la genesi del racconto.
      Ho anche un vecchio pianoforte… Chissà.
      Grazie Gabriele.