Il freddo tocco del marmo

Alla base di tutte le paure risiede l’inconscio, ciò che non può pervenire alle nostre menti né possiamo vedere o credere: la paura del diverso, l’aracnofobia, addirittura la hippopotomonstrosesquipedaliofobia, sono timori che nascono dal non sapere di cosa si tratti, del mistero avvolto attorno ad essi. Sono ciò che non riusciamo a spiegare.
Anche la paura della morte fa parte di questa lunga ed interminabile lista.
Nonostante tutte le fantasticherie che le religioni si sono inventate per rendere sopportabile questa inevitabile fine terrena, nessuno è mai tornato indietro per raccontarci cosa abbia visto al momento del trapasso.
E se dopo non ci fosse che il nulla? La nostra esistenza si concluderebbe in un cumulo di cenere e spenti ricordi. Io, però, vi dico – e vi giuro- che qualcosa c’è. 
Allora preferiste il niente a questa interminabile pena.

Mi ritrovai un giorno a vagare nel cimitero più armonioso e caotico che i miei occhi avessero mai visto. File di cappelle accostavano il vialetto principale che portava ad una deliziosa vista a precipizio sul mare. La soffice melodia della brezza marittima accompagnava i flebili passi sulla dura e fredda pietra posata sulla nuda terra.
Giravo e mi inoltravo in cunicoli sempre più stretti, tra sepolcri costruiti centinaia di secoli or sono e croci disgraziate conficcate nell’umido suolo, fino a che non mi ritrovai in un ampio cortiletto di soffice marmo bianco, così accecante alla vista che mi parve di essere nell’Eden. Un pozzo dai ricordi lontani si stagliava nel centro del piccolo atrio.
Mi sembrò miracoloso giungere in un posto così ameno.
Il
silenzio regnava, finché un colpo secco rimbombò nell’aria.
Il sangue si gelò ed ogni mia membra si fermò nell’istante in cui udì il suono. Ogni cellula era congelata fin dentro al suo nucleo.
Un altro ed un altro in un susseguirsi regolare.
Mi voltai da ogni parte senza scorger nulla se non candide tombe; e poi intuì: non poteva che provenire da una di esse.
Un coraggio allora mai conosciuto nacque dentro di me, così mi diressi nella direzione del rumore.
Tum. Tum: un battito cardiaco…e io continuavo ad avvicinarmi.
Mi fermai davanti ad una colonna di interminabili loculi dai quali proveniva il tocco.
“19 Gennaio 1816” recitava la data di morte impressa a ferree lettere su una di esse.
Un altro tonfo sfiorò le mie orecchie.
Un pensiero cupo raggelò la mia mente così potentemente che quasi svenni: e se l’anima di quel pover’uomo fosse rimasta intrappolata lì da sempre? 
È questo il crudele destino che ci spetta al termine della nostra esistenza?

Un assolo di batteria circondò la mia presenza: suoni irregolari, ritmati, pugni sulle bianche pareti che provenivano dall’interno. Le anime scalpitavano per fuggire…o per portarmi al rifugio con loro?
Il panico si impossessò della mia persona, le gambe cominciarono a pensare al posto della testa e in men di un istante mi ritrovai al di fuori dei cancelli spettrali, che non varcai mai più.

Fino ad ora. Fin dall’istante in cui il mio stanco corpo giacque in una bara, rinchiusa in uno dei marmorei loculi da cui non c’è via di uscita.

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Discussioni

  1. Si parla di orrori e del sel senso di costrizione, tipico del soffocare o dell’annegare, simile all’impotenza urlata di una persona tumulata viva. Essere un’anima intrappolata, sopraffatta dalla claustrofobia, questo si che fa tremare. Grazie Marina per questa storia, che avrei preferito leggere in un altro momento, ma certamente non ora, poco prima di andare a letto.