Il pollo ruspante 

Serie: Uomini


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«Papà, cos’è un pollo ruspante?»

La voce del bambino arriva dal sedile posteriore. Sta succhiando il bastoncino di un ghiacciolo ormai sciolto, le dita appiccicose che lasciano tracce sui vetri dell’auto. La sorella dorme accanto a lui, la testa reclinata contro il finestrino, i capelli scuri incollati alla guancia.

Stringo il volante, gli occhi fissi sull’asfalto che corre dritto tra le barriere d’acciaio. La radio gracchia una pubblicità di frigoriferi con lo sconto a tasso zero.

«Un pollo…» comincio, lasciando la frase sospesa. «Un pollo che vive libero, non chiuso nelle gabbie.»

Dal retro non arriva risposta. Forse si accontenta. Forse no. Poi la sua voce torna, curiosa: «Libero come noi?»

Sento un colpo nello stomaco. Libero come noi. Le parole mi restano addosso, più pesanti di quanto dovrebbero.

Abbasso appena la velocità, senza farmi notare. Non voglio che l’auto dietro pensi che stia cedendo. «Noi… siamo più complicati» mormoro.

Mia moglie, seduta accanto a me, accenna un sorriso che conosco bene: quello delle cene con i vicini, delle visite ai lotti di villette, dei volantini di cucine componibili. È un sorriso che finge intesa ma nasconde stanchezza.

«Ma allora perché non lo mangiamo mai il pollo ruspante?» insiste mio figlio. «Perché sempre quello del supermercato?»

Scoppio in una risata forzata. «Perché costa caro.»

Il bambino tace, eppure lo specchietto retrovisore mi rimanda i suoi occhi grandi, attenti, che non mollano. Gli stessi occhi che mi fissano quando racconto storie di quando ero ragazzo. Occhi che cercano verità, non scuse.

Il paesaggio fuori è una sequenza monotona di capannoni e cartelloni pubblicitari. “Sogna in grande”, recita uno, con la foto di un SUV lucido. “Vivi meglio”, dice un altro, accanto al volto sorridente di una famiglia perfetta. Ogni insegna sembra gridarmi addosso, coprendo il mormorio del bambino.

Mi torna in mente mio padre. Aveva mani nodose e spaccate, la schiena curva di terra e fatica. Non avrebbe mai avuto bisogno di definizioni: mi portava nel cortile, indicava il pollaio e diceva: «Guarda, quello corre libero. Quello è ruspante.» Nessun dubbio, nessuna parola superflua. Solo la realtà nuda, davanti agli occhi.

Io invece sono qui, in un’auto a rate, imbottigliato in un traffico che sa di benzina e clacson, a riempire i silenzi con frasi che non sanno di niente.

«Papà?» insiste mio figlio. «Io da grande voglio essere ruspante. Posso?»

Il cuore mi si stringe. Mi verrebbe da dirgli: no, non puoi, perché la libertà costa troppo e nessuno ce la regala. Mi verrebbe da confessare che viviamo chiusi in gabbie invisibili, fatte di bollette, di mutui, di pubblicità che ci inseguono persino nei sogni. Ma non posso scaricargli addosso tutto questo.

Guardo la strada, le mani che sudano sul volante. «Sì», dico infine. «Se lo vuoi davvero, puoi.»

Mia moglie mi lancia un’occhiata rapida, sorpresa. Sa che sto mentendo, o forse sperando.

Dietro, mio figlio sorride. È un sorriso grande, intatto. Per un istante mi sembra che il rumore dei camion si spenga, che i cartelloni si svuotino, che l’autostrada stessa si trasformi in un campo aperto. In quel lampo credo davvero alla mia bugia.

La sera, a casa, la domanda del bambino torna a girarmi in testa. Siamo seduti a tavola, la televisione accesa su un quiz, le stoviglie allineate come soldati. Sul piatto c’è pollo confezionato, pelle lucida, carne pallida.

«Questo non è ruspante, vero?» chiede mio figlio, infilzando un pezzo con la forchetta.

Scuoto la testa. «No.»

«Allora non è libero?»

Ingoio un boccone troppo grande, mi brucia in gola. Non so che dire. Lui mastica piano, con l’aria seria. La sorellina intanto ride per qualcosa visto sullo schermo, ignara.

La televisione passa a uno spot: bambini biondi corrono in un prato, una madre sorride mentre apre un frigorifero pieno di prodotti colorati. Il pollo ruspante è lì, dorato, con l’etichetta bio e un prezzo che luccica.

Mio figlio guarda lo schermo, poi me. «È quello? Quello vero?»

Annuisco senza forza.

E capisco che non gli sto insegnando nulla, che sto solo replicando gli stessi gesti automatici che ho imparato anch’io. Comprare, consumare, sorridere. Come se la vita fosse già scritta nei volantini delle offerte.

La domenica decido di portarli fuori, lontano dai cartelloni e dalle villette in costruzione. Guidiamo fino a un paese di collina, dove il tempo sembra rallentare.

Troviamo un agriturismo. Nel cortile ci sono animali veri: conigli, maiali, galline. I bambini corrono tra la polvere, gridano, ridono.

«Papà, guarda!» Mio figlio indica un pollaio aperto. Alcuni polli scorrazzano nell’erba, beccano il terreno, si rincorrono. «Sono ruspanti?»

Sorrido, finalmente sicuro. «Sì.»

Li osserviamo insieme. Non sono belli: le piume spettinate, le zampe sporche, il becco affilato. Ma hanno un’energia che non si può comprare in un supermercato.

Il bambino ride, batte le mani, corre lungo il recinto. Io lo seguo con lo sguardo. Dentro di me, qualcosa si muove: un ricordo di infanzia, un odore di paglia e sole.

Mia moglie si avvicina, posa una mano leggera sul mio braccio. Non dice nulla. I suoi occhi, però, per la prima volta da tempo, sembrano meno stanchi.

Ripenso a quell’autostrada, ai cartelloni che urlavano. Ripenso al sorriso di mio figlio quando gli ho detto che poteva essere ruspante. E adesso, qui, mi accorgo che forse non era una bugia.

Forse la libertà non è un sogno impossibile, ma uno spazio piccolo, conquistato un passo alla volta. Un gesto, una scelta, uno sguardo diverso.

Mio figlio corre ancora, la sorella lo segue ridendo. Io respiro l’aria densa di terra e fieno. E per la prima volta da anni mi sento meno gabbia e un po’ più campo aperto.

La sera, tornando verso casa, il bambino mi si addormenta accanto. Prima di chiudere gli occhi sussurra: «Papà, io da grande sarò ruspante.»

Lo guardo nello specchietto. Il suo sorriso si spegne piano, trasformandosi in respiro.

Sorrido mentre stringo il volante e schiaccio l’acceleratore. Forse, chissà, potrei provarci anch’io.

Serie: Uomini


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Discussioni

  1. Finalmente leggo qualcosa che lascia il segno, anche se potrei dire che nessun pollo ruspante viene pubblicizzato in tivù ma vabbè, ‘sciamo stà. Nel complesso è un argomento toccante, ma niente che non sia già stato trito e ritrito da chiunque, un po’ come i polli bianchicci del supermercato.

  2. È davvero molto bello, toccante e sincero questo tuo racconto che sembra venire da un ‘dentro’ che spinge per uscire fuori. Se non ricordo male, hai già trattato il tema padre-figlio, con la medesima delicatezza e sentimento.
    Le parole sono misurate, i periodi più articolati rispetto a come solitamente piace scrivere a te, forse perché, in questo caso, il tema necessitava di maggiori riflessioni.
    Credo, fra i tuoi, uno dei miei racconti preferiti.

    1. Grazie Cristiana. In effetti la mia scrittura sta cambiando. Sto facendo la revisione del romanzo che sta partecipando al torneo e con l’aiuto di una coach sto cercando di migliorare la qualità della scrittura. Spesso mi perdo nei cliché. Adesso prenderò a lavorare sui dialoghi (il mio punto debole). Mi dirai leggendo le nuove cose che pubblicherò. Grazie ancora per aver letto.

  3. La libertà la respiro in montagna, soprattutto da solo. So che è una libertà condizionata, so che dopo l’ubriacatura di spazi aperti e assenza di orari dovrò rientrare nei ranghi, ma mi illudo sempre di portarmene un po’ nel quotidiano, almeno come idea, come ricordo ancestrale da vagheggiare con un buon bicchiere di porto e il sorriso standard per gli amici. Mi piace come ne hai parlato, a me ricorda una canzone di Guccini (L’isola non trovata).

  4. È bello che il bambino abbia un sogno, un desiderio; sovente oggi capita che questa cosa non accada. Tuttavia, a lui per ora non è dato di sapere di essere nato nel pollaio, neanche male, visto che c’è pure chi nasce in batteria… Il papà ne è consapevole (già frustrato evidentemente), e forse anche la mamma… (non ho ben inquadrato la sua figura). “Forse la libertà non è un sogno impossibile, ma uno spazio piccolo…” mi ricorda una canzone di Ligabue dove “chi si accontenta gode così così”. Grazie Rocco per il pezzo interessante

  5. “Forse la libertà non è un sogno impossibile, ma uno spazio piccolo, conquistato un passo alla volta. Un gesto, una scelta, uno sguardo diverso.”
    Ciao Rocco, divoro sempre tutte le tue storie. Questo passaggio, racchiude una piccola verità, che spesso si dimentica. Complimenti👏

  6. Io dico che padre e figlio stanno meglio e sono meno ingabbiati del pollo ruspante che razzola, saltella, svolazza qua e là, per poi finire in pentola, oppure arrosto.
    La libertà del bambino e di quando sarà piú grande, che il pollo non ha, é racchiusa nella sua fantasia, nella sua capacità di sognare e di volare alto. Come diceva Einstein la ragione ti porta da A a B, l’mmaginazione puó portarti dappertutto.
    Al bambino avrei detto: quando inparerai a leggere e a scrivere, a viaggiare attraverso le storie, potrai volare ovunque, con le ali del pensiero.

      1. Sì e no. Possiamo essere anche spiriti liberi, artefici del nostro destino, rivoluzionari o ribelli; anche se non credo nell’ utopia di poter vivere nella completa anarchia. Vivere in modo ruspante penso che potrebbe essere una scelta, ma non l’unica.