Il primo appuntamento, come va a finire

Serie: Un giorno, il succedersi degli eventi, ritenuto preordinato, necessario e indipendente dalle finalità umane


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Tobia è impegnato in un tragitto a ostacoli, coi mezzi pubblici, nel tentativo di raggiungere il luogo convenuto

Tobia colse, in questo frangente, lo svantaggio di abitare in una grande città rispetto a un paesino, o di non essere un podista allenato, o forse ancora di non essere un provetto meccanico in grado di ripararsi da solo la motocicletta… le distanze da coprire a piedi richiedono un sacco di tempo.

Quando lasciò la fermata della filovia era l’ora dell’appuntamento, impiegò a coprire il percorso del mezzo pubblico quasi un’ora e ancora non era arrivato.

Nella sua mente, uno gnomo archivista vagliava la gamma delle possibilità di ciò che lei avrebbe potuto attuare per ingannare l’attesa, inclusa la geremiade nei suoi confronti, ma non voleva considerare, tra tutte, l’eventualità più realistica: che se ne fosse andata.

«No, Isotta non lo farebbe mai.» Disse, mentre le gambe gli dolevano per reggere il passo e i suoi polmoni avevano dato forfait. Il luogo dell’incontro, come ovvio: era deserto.

«Se solo ci fosse stata una cabina telefonica sul luogo del nostro incontro… Avrei potuto a mia volta fermarmi a un telefono pubblico e avvertirti del ritardo, in fondo c’era lo sciopero! Mica è stata colpa mia…» fu la strategia difensiva, durante la chiamata che le fece quella sera. E funzionò.

Isotta concesse le attenuanti e la condanna fu lieve: «Avrei creduto avessi una maggiore prestanza atletica per essere uno con un nome da cane…» commentò scherzosamente. Lui aveva confessato di avere le gambe a pezzi, dopo quel lungo percorso (andata e ritorno…). Dunque, concesse a Tobia un nuovo appuntamento, pregandolo di non lasciarla in attesa, questa volta.

***

La questione del nome da cane, Tobia non l’aveva mica digerita troppo… tornò a pensarci nei giorni a seguire. A lui piaceva il suo nome, anzi lo trovava interessante: in ogni caso non avrebbe mai creduto potesse essere un nome da cane. 

Ma certo che no, in effetti: Toby… Toby qui! Porta il legno… Bravo, Toby. Ecco, appunto.

Ma ciò che aveva udito provenire dal giardinetto sotto casa non era altro che una stupida storpiatura, un arrangiamento anglofono con quella maledetta “Y” finale… Era quella, decise, che conferiva la dignità di nome da cane, e come non citare qui, del resto: Fufy, o Blacky, ma poi anche Boby (che rispetto al celebre cantante perde anche una “b”); e ancora Micky o Rocky… Senza la “Y”, be’, è tutta un’altra cosa.

Ah, conosco bene l’origine del nome Tobia risale alle sacre scritture, se ne parla diffusamente nel libro della storia di Tobi (senza “Y”), figlio di Tòbiel, figlio di Anàniel, figlio di Aduel, figlio di Gàbael, della discendenza di Asiel, della tribù di Nèftali. Al tempo di Salmanàssar, re degli Assiri, egli fu condotto prigioniero da Tisbe, che sta a sud di Kades di Nèftali, nell’alta Galilea, sopra Casor, verso occidente, a nord di Sefet…

Ebbene sì, diciamolo, lui detestava quel nome.

E poi, che mania di appioppare ‘sti nomi di origine ebraica, tutti con lo stesso significato: gradito al Signore, il Signore è bello, il Signore è buono… Ma che palle!

Da piccolo lo visse come una condanna, da quando i suoi compagni scoprirono che era il nome del cane di Cenerentola… eh già, il cane: negli anni cinquanta Tobia fu conclamato “nome proprio di cane”. E tutti hanno visto Cenerentola, anche Isotta.

Ma bando all’onomastica, ora che sapete come andò il primo appuntamento è tempo che cominci a raccontarvi della seconda opportunità che Isotta concesse a Tobia.

E quindi, torniamo alla mattina della caffettiera che sbrodola il caffè penserete voi… Non precisamente: quella non fu nemmeno la seconda volta.

Andiamo a curiosare nella mente di Isotta, un po’ di sano gossip, per così dire, lontano dal cuore di Tobia, ma soprattutto dalle sue orecchie.

La bella Isotta, quando conobbe Tobia, frequentava un altro uomo. Chi fosse non ha importanza, per semplicità lo chiamerò l’altro; tuttavia, si era pure invaghita dell’uomo col nome da cane. E ben più di quanto lui stesso sospettasse. Proprio per questo motivo, aveva sospeso le avance dell’altro, ma apertamente: certe donne hanno questa capacità.

In modo cristallino, e con la naturalezza di una mantide, aveva confessato allo sventurato di avere bisogno di tempo, decretando che l’avrebbe tenuto nel congelatore sino a che avrebbe capito cosa volesse veramente (ovvero, se per caso preferisse Tobia, ma al meschino questo dettaglio non era concesso… guai a eccedere in trasparenza), per poi riaprire il dialogo tra loro (o ripescarlo come niente fosse) se l’avesse desiderato. L’altro capì.

Ma che cosa, capì?

Semplice: che non doveva pressarla con domande e richieste di vederla, che doveva starsene buono in un angolo e aspettare. E lui, che si vantava di saper capire le donne, aspettò.

Mi piace Isotta! Ma evitiamo di farlo sapere ai due ignari contendenti.

Sospeso l’altro – con le tasche farcite di naftalina – in attesa che il suo cuore le parlasse, Isotta conduceva il gioco con Tobia per il quale il suo coinvolgimento era nutrito dal fatto che la divertiva: la faceva ridere, appagandola con un’attenzione unica, tutta per lei.

Non vi sorprenderà, quindi, sapere che Tobia l’aveva conquistata proprio facendo il deficiente, ma poiché lui questo lo sospettava solamente, mi guarderò bene dal dirglielo, per quanto come sapete: anche se lo facessi…

Se proprio devo dirvela tutta, lui l’adorava, Isotta e l’avrebbe inseguita in ogni luogo, persino nella camera d’ibernazione se fosse toccato a lui, perché forse gli uomini sono così, hanno bisogno che le donne facciano un po’ da contrappeso e un po’ di contrappasso, al loro ego.

Continua...

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