Il rumore sotto la pelle

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


Ho cercato a lungo il mio daimon negli altri — negli occhi, nei corpi, nelle promesse — e ho sempre sbagliato.

Il daimon non abita fuori, ma nemmeno solo dentro: scorre nell’energia che tiene unito l’universo. ƈ il nucleo vitale che ci distingue, la ghianda che diventa quercia, la forma invisibile che ci spinge a essere ciò che siamo.

Non ĆØ genetica, non ĆØ biologia: ĆØ qualcosa che precede l’ereditĆ  dei genitori, che ci precede e ci chiama.

Adesso mi sento diviso: tra la piaga e il coltello.

Sono io la ferita o la lama che la infligge?

Forse non importa. Io voglio solo essere amore.

Il numero sul volantino mi pulsa in tasca come una scheggia magnetica. Ho promesso a me stesso che avrei chiamato, ma non ancora. Non oggi. Oggi devo solo attraversare il supermercato senza perdermi.

Dentro, luci bianche, carrelli che cigolano, persone che parlano come se nessuno potesse spezzarsi. Cammino tra le corsie come in apnea. Le lattine, i pacchi di biscotti, i fiori artificiali — tutto finto, tutto in posa.

Poi lo sento.

Un urlo di bambino, improvviso, acuto. Un padre che risponde secco: “Smettila.”

Niente di grave, in apparenza. Un normale momento di tensione. Ma qualcosa, in me, si accende. Il rumore si propaga sotto la pelle, si infila sotto la pelle come una corrente elettrica.

— Grounding — mormoro, quasi senza voce.

Mi fermo. Mani sul carrello. Respiro. Tre secondi in apnea, cinque per lasciare andare.

— Sono qui — mi dico. — Il pavimento ĆØ freddo. Il metallo ĆØ reale. Io non sono il coltello. Io non sono la piaga. —

Il bambino ora ride. Ha dimenticato tutto. Ma io tremo ancora.

Una donna anziana mi sfiora con la spalla, si scusa, mi guarda di sfuggita.

Per un istante penso che potrei rovesciare tutto, urlare, spezzare, ferire. Uccidere. Poi una voce. Quella che ho sentito in terapia, calma, ferma.

“Osserva il tremore. Non trasformarlo.”

Stringo il pugno — senza coltello — e torno a respirare.

Alla cassa, una ragazza con le cuffiette mi chiede: — Carta o contanti? —

La sua voce ĆØ piatta, come se io non esistessi. Ma io sono qui. Io sto provando.

— Carta, la carta canta. — dico, cercando di essere spiritoso.

Nel parcheggio, il cielo si ĆØ fatto denso. Una nuvola nera si ferma proprio sopra l’edificio. Penso a Griselda, a quel coltello, al lavandino, a tutto quello che non riesco a dire. Non so chi sia Griselda. Forse ĆØ solo nella mia testa o forse ĆØ ancora altrove.

Poi, come se il mondo mi volesse rispondere, sento il telefono vibrare.

Un numero sconosciuto. Un richiamo dall’al di lĆ .

Lo fisso. Il volantino. La data. L’incontro.

Il daimon non mi promette salvezza. Ma forse mi sfida.

— Vediamo dove mi porti — dico piano, e rispondo.

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


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