Il sindacato del crimine

New York, 1950

«Questo lavoro fa schifo».

Bastarono le parole del signor Gotti perché il gruppo di dipendenti tremasse.

Gotti li guardò uno a uno e Alexander, per gli amici Alex, per Gotti “Pezza da piedi”, additò i colleghi:

«Colpa loro. Se non sanno fare il lavoro che gli viene assegnato, non è colpa mia».

«Fa’ silenzio, Pezza da piedi».

Appunto.

«Ne ho abbastanza delle vostre perdite di tempo» continuò Gotti. «Io muovo milioni di dollari, e poi perdo tempo con i vostri problemi. Danni che causate voi. Se continuate così, la Commissione vorrà la testa di qualcuno e non sarò certo io a pagare». Li guardò di nuovo, gli occhi da predatore, di predatore. «Saprò trovare il capro espiatorio e se io cadrò in piedi, uno di voi finirà male». Lanciata la minaccia, li lasciò soli.

Alex deglutì, cercò solidarietà fra i colleghi. «Amici…». Ma vide che nessuno era disposto a dargli retta. Lo lasciarono solo, proprio come aveva fatto Gotti.

Strinse le spalle e tornò nel suo ufficio. Doveva rendicontare le spese del sindacato del crimine, e come era ovvio il suo incarico era falsare i guadagni in modo da spendere meno in tasse. Quello era un intrico di aziende e ditte più o meno pulite e c’erano tante sfumature: c’erano quelle legali, quelle illegali e quelle che stavano nel mezzo, ma nello spettro ce n’erano di più legali e altre meno legali. Una situazione confusa. E funzionava tutto come un corpo umano. Quelle legali servivano a riciclare il denaro dei proventi illegali, ed era tutto un darsi la mano le une con le altre. Alex aveva studiato a lungo per fare il contabile e, dopo essere stato licenziato dalla Coca-Cola Company per aver rubato dei soldi, l’unico a offrirgli un lavoro era stato Gotti, con la differenza che, come gli aveva ricordato il suo nuovo datore di lavoro, Alex avrebbe rubato per il sindacato del crimine, e non per se stesso.

Continuò a sudare sulle partite doppie e vergò molti fogli con i calcoli di somme e sottrazioni. Sarebbe andato avanti in quel modo per ore, visto che i numeri erano la sua passione, e poi lo emozionava il pensiero di maneggiare tutte quelle cifre dato che sognava di acquistare un attico a Manhattan… quando sentì delle grida.

Un sussulto, corse a vedere, il cuore che gli batteva a mille. Dopo i soldi, aveva la passione per le sorprese ed era sempre sensibile alle novità. Tanto, i rendiconti e i bilanci sarebbero rimasti in ufficio, quel che stava accadendo poteva terminare in fretta.

Vide Gotti che stava picchiando un collega, e Alex inorridì. Era un tale con cui aveva condiviso degli affarucci; in pratica, assieme avevano grattato delle piccole cifre. Se Gotti lo stava torturando, voleva dire che aveva scoperto qualcosa.

Alex non disse nulla, tornò sui propri passi inseguito dalle grida del poveraccio, e chiuse a chiave la sua stanza. Spalancò la finestra, che per fortuna dava al primo piano e, ripensando per un istante che lì, in America, il primo piano equivaleva al pianoterra degli europei, scappò. Sarebbe filato in Canada. Al più presto.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Un buon racconto stile noir americano. Molto validi i dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi. La storia è accattivante e finisce nel migliore (o peggiore) dei modi. ‘Gotti’ sa tantissimo di mafia italiana.

  2. Bravo Kenji, stai affilando l’arma dell’ironia che ti appartiene, oltre la tecnica di scrittura senza fronzoli e una lettura che scorre fluida, come fresca bevanda in gola, piacevole, nonostante il retrogusto amarognolo, per i riferimenti a una realtà sempre piú universale.