
1 – La luce che filtra al mattino
Serie: Il tempo che serve alle promesse
- Episodio 1: 1 – La luce che filtra al mattino
- Episodio 2: 2 – Quel che non si è mai conosciuto
- Episodio 3: 3 – Un po’ alla volta
- Episodio 4: 4 – Prospettive
- Episodio 5: 5 – Ridere
- Episodio 6: 6 – Il tempo che serve alle promesse
STAGIONE 1
Quando i miei genitori erano bambini a Chiavari, negli anni Cinquanta, abitavano in due quartieri differenti.
Stavano nelle due zone più centrali e storiche di una cittadina agiata che ha continuato ad arricchirsi negli anni, conficcata come un chiodino sulla costa ligure a metà fra Genova e La Spezia.
Mia mamma, Anna, stava a San Giovanni. Mio padre, Aldo Giacomo Luigi (sì, mancava solo Giovanni) detto Mino, abitava invece a Rupinaro. E non erano né agiati né tantomeno si sono arricchiti negli anni.
***
Il padre di mia mamma, Severino, racchiudeva il proprio carattere nel nome che portava. Uomo burbero e di poche parole rivolte con estrema parsimonia sia alla moglie che ai figli – due maschi, due femmine più una bimba morta quando aveva pochi mesi – nella mia memoria è impresso invece come una figura estremamente delicata e accudente.
L’idea che ho di mio nonno probabilmente me la sono creata a mio uso e consumo crescendo, guardandone le fotografie; posizionate sulla stessa credenza delle diverse camere da letto di tutti gli appartamenti in cui sua moglie, mia nonna Lina, ha abitato nel corso di una lunga vita.
In quelle immagini Severino rivolge un sorriso carico di malinconia ai suoi nipoti piccoli e piccolissimi (ci sono anch’io fra loro), certamente consapevole della malattia che se lo sarebbe portato via di lì a poco. È venuto a mancare quando aveva sessantadue anni e io circa tre. Lui che viene a prendermi a casa per portarmi a fare un giro sul lungo fiume rappresenta il mio primo ricordo consapevole. Forse anche l’unico che sia vero.
Severino di professione faceva il massacan, termine dall’origine controversa del dialetto ligure che tradotto in italiano significa muratore, ma che in realtà racchiude in sé tutto un universo fatto di fatiche, sacrifici e umili origini. Quel mestiere lo ha tramandato anche ad uno dei suoi figli, Piero, che come il padre sarebbe morto dello stesso male incurabile, solo molto più giovane.
Una cosa, inoltre, che ho scoperto da poco è che mio nonno materno, per arrotondare, svolgeva saltuariamente anche qualche ora di attività presso una ditta di pompe funebri. Ecco, non so cosa darei adesso per potermi sedere con lui davanti ad un bicchiere di quel vino che oggi si definisce “particolare, macerato sulle bucce” ma che allora era semplicemente vino gramo, che gli piaceva eppure così tanto. Poter ascoltare una qualsiasi delle storie che avrebbe da raccontarmi, da quella in cui è scampato all’affondamento della nave sulla quale prestava servizio durante l’ultima guerra ad una qualsiasi di quelle che nemmeno ho mai sentito nominare ma che sono sicuro che esistono, eccome se esistono.
Nonostante il suo essere schivo, chi lo ha conosciuto me lo racconta anche come una persona dalla battuta sempre pronta, a cui piaceva scherzare con i pochi amici che aveva.
Nessuno me lo ha mai detto direttamente, ma dalle descrizioni che mi hanno sempre fatto di lui io devo assomigliargli molto nel carattere. Saremmo stati due simpatici minchioni, seduti insieme ad un tavolo, se le cose fossero andate diversamente.
Mia nonna materna Lina, che è stata una figura costantemente presente in tutta la mia esistenza, era una donna dolcissima.
È rimasta fedele a mio nonno per tutta la vita; quella che ha trascorso con lui a partire da quando ancora non era maggiorenne e quella che ha passato senza di lui, dal cinquantaduesimo anno di età sino al novantaseiesimo, giorno in cui è morta consapevole e tranquilla nel letto dei miei genitori, coi quali negli ultimi anni era andata ad abitare.
I ricordi che ho con lei ricoprono un arco di tempo di quasi mezzo secolo. Mi ha accolto, mi ha cresciuto, mi ha dato da mangiare, mi ha portato in giro, mi ha fatto dormire a casa sua innumerevoli volte.
Uno dei ricordi più vividi della mia infanzia è la sensazione di avvolgente fragranza, quasi come il pane, che provavo quando per qualche motivo andavo a passare la notte da lei e mi infilavo sotto le coperte e le lenzuola del letto che mi aveva preparato al pomeriggio. Percepisco ancora perfettamente il peso di quelle coperte di lana che esercitano una pressione decisa ma al tempo stesso non invadente sul mio corpo, sensazione che mi porto ancora appresso e che ho sempre ricercato tutte le volte in cui qualcuno si è seduto accanto a me in un letto sotto le cui lenzuola ero sdraiato; una sensazione che mi dà l’impressione di sentire ancora quell’abbraccio. Percepisco chiaramente il profumo del cotone appena lavato e stirato. E vedo ancora la luce del mattino il giorno dopo al mio risveglio, che trafigge le fessure delle tapparelle di legno rattoppate alla buona con del nastro adesivo.
Ad eccezione di una breve parentesi in cui ha lavorato in una fabbrica di scarpe e ha impagliato sedie quando ancora non aveva figli prima della guerra, e oltre ad arrotondare saltuariamente confezionando a mano maglie di lana, nella sua vita mia nonna Lina si è occupata sostanzialmente di una cosa: prendersi cura. Dei suoi figli, dei suoi nipoti e dei suoi pronipoti. Ancora a ottant’anni sgambettava in salita e discesa spingendo un passeggino di qua e di là per la nostra città, senza badare che fosse estate o inverno, servisse o non servisse l’ombrello.
Lina ha vissuto una vita povera, fatta di tanti sacrifici, ma piena. Una vita piena di vita. E piena dell’amore di tutti quelli che l’hanno amata, perché era impossibile non farlo.
Serie: Il tempo che serve alle promesse
- Episodio 1: 1 – La luce che filtra al mattino
- Episodio 2: 2 – Quel che non si è mai conosciuto
- Episodio 3: 3 – Un po’ alla volta
- Episodio 4: 4 – Prospettive
- Episodio 5: 5 – Ridere
- Episodio 6: 6 – Il tempo che serve alle promesse
Quei ricordi… alcuni li faccio miei e mi prende la nostalgia. Sai toccarle le corde, Roberto, quelle giuste che danno note blues e riflessi in bianco/nero. Amabile e preciso come sempre… quando ti assenti troppo sento la tua mancanza. Un abbraccio.
Un inizio bellissimo e commovente. L’immagine della coperta e della luce che filtra tra le persiane, mi ha fatto pensare a come l’infanzia sia la parte più inconsapevole della nostra vita, eppure persone e i luoghi ci restano impressi come un marchio indelebile.
Verissimo, mi sarebbe piaciuto che qualcuno me lo avesse spiegato quando ero piccolo, senza stancarsi dopo il primo tentativo.
Molto bene: mi interessa!
Grazie Kenji, sono contento!
Una serie che promette emozioni e profuma di buono e di casa. Ti dico già grazie Roberto.