Il vecchio che raccontava storie

Era la fine di un settembre capriccioso. L’aria era frizzante, ma il vecchio Alvaro finché non giungeva la tramontana insisteva per uscire ed era più faticoso discuterci che accontentarlo. Così, d’ispido avvolto nella sua sciarpa, si fece accompagnare in giardino e raggiunse la sua panchina preferita, quella sotto la magnolia; lì, congedò l’inserviente con gratitudine e si accomodò.

«Salve ragazzi, siete arrivati anche oggi, bene.» Disse il vecchio che pareva parlasse da solo, con lo sguardo rivolto a terra verso un cespuglio di rosmarino. Chi l’avesse guardato da più distante non poteva notarlo, ma si rivolgeva a un gruppo di quattro storni, che dopo aver ispezionato sommariamente il terreno accanto al rosmarino, si disponevano a un passo dai suoi piedi e lì si fermavano, quasi come lo stessero ad ascoltare.

«Oggi, vi racconterò di quella volta che affrontammo il falco pellegrino» proseguì l’Alvaro.

Nella loro bella livrea che, sul finire dell’estate, perde la lucentezza del nero per mettere in evidenza le punte bianche caratteristiche del piumaggio, avevano una figura elegante e si sarebbe detto che fosse sfoggiata proprio in onore di quell’uomo, in omaggio alla sua ospitalità.

«Dunque, era un’estate torrida, e gli insetti a terra scarseggiavano per il gran secco. Tuttavia, una pianta di ciliegie poteva offrire una buona alternativa per il pranzo o ancora, poco distante, vi era un nespolo riparato per buona misura da una tettoia sotto alla quale gli umani trovavano riparo dal sole. Noi sappiamo bene però quanto preferiamo le ciliegie, non è vero?» Fece una pausa e rivolto ai suoi piccoli uditori s’accertò che fossero attenti.

«Bene, dicevamo: nonostante il ciliegio fosse più esposto e per questo più pericoloso, essendo ben nota la nostra passione per i suoi frutti, non ci si pensò nemmeno un momento, levammo in volo e dopo una breve evoluzione sincronizzata, puntammo verso i rami carichi.»

Uno degli storni, che nel mentre era riuscito a catturare un lombrico, tornò insieme a suoi compagni con un fare impacciato, quasi a scusarsi dell’interruzione, ma… che ci poteva fare?

«Fu certamente una grande mangiata di ciliegie, memorabile dico io… ma proprio poco dopo che quei frutti succosi ci avevano saziato, s’udì un allarme aereo. Una vedetta aveva avvistato un pericoloso nemico in avvicinamento: il falco pellegrino.» l’Alvaro si fermò e poggiò le mani sulle ginocchia.

«Be’, il falco non era certo una presenza insolita da quelle parti e benché fosse piuttosto raro che si avventurasse a bassa quota, la fame a volte fa compiere scelte inusuali. Non c’è bisogno che vi dica che quei fantastici volatori non hanno rivali in picchiata, ne ho visti precipitare a oltre trecentocinquanta chilometri all’ora… ma, in volo rettilineo è tutta un’altra faccenda. Certo, direte voi, son ben capaci di arrivare a cento all’ora anche in assetto orizzontale. Vero, vero, ma non hanno una grande accelerazione e le manovre strette non sono certo il loro forte.» Il vecchio si ricompose, dopo che l’ultima frase l’aveva affaticato con una mimica impegnativa. Riprese fiato.

«Orbene, volando rasoterra verso il nespolo e la tettoia, ci saremmo messi al sicuro, il falco lì non sarebbe certo venuto a praticare la sua attività venatoria. Malauguratamente però, due nostri compagni, sprovveduti o incoscienti, si levarono verso l’alto, facendosi scorgere dal falco. Non avevamo scelta, o per meglio dire, nessuno pensò a mettersi in salvo lasciando i compagni alla mercé del rapace. Ci organizzammo subito in formazione e risalimmo dal prato puntando verso i nostri amici in pericolo, mentre il falco aveva iniziato la sua picchiata.

Quando li raggiungemmo si unirono alla formazione e disegnammo nel cielo una figura acrobatica nuova, l’avevamo appena studiata: muovendoci all’unisono formavamo uno stormo compatto che guizzava a ottanta all’ora, in attesa che il nemico fosse più vicino, scendevamo di quota per contare sull’unico vantaggio a nostro favore: la vicinanza a terra. Quando il falco ci fu quasi addosso, con uno slancio ci dividemmo in tre gruppi prendendo direzioni differenti. Non fu, quindi, solo fortuna se il rapace non colpì nessuno dei compagni, e riuscii a distinguere la difficoltà con la quale il falco, proseguendo nell’inerzia della picchiata, cabrò per non schiantarsi a terra.

Nel tempo che impiegò per recuperare quota, noi ci eravamo dileguati e a pelo d’erba raggiungevamo il nostro riparo, al sicuro. Ah, che soddisfazione!»

L’inserviente si fermò sulla soglia nel vedere il vecchio Alvaro che rideva, seduto sulla panchina; poi si avviò per andarlo a prendere e riaccompagnarlo all’interno del nosocomio, quando fu sul vialetto, vide quattro uccelli alzarsi in volo e il vecchio fare un gesto con la mano.

Povero diavolo, pensò, nessuno direbbe che da giovane era un pilota di caccia… e ora parla da solo e fa gesti ai merli, o non sono merli? Glielo chiederò, magari lui lo sa.

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Discussioni

  1. Non esistono esseri umano più belli di quelli che amano gli animali e si prendono cura di loro. ❤️
    Mi sono immaginata questi storni ad ascoltare il vecchio, immergendosi nelle avventure che racconta come bambini che ascoltano le favole del nonno. Quasi, mi pareva di sentire le loro emozioni.
    Si dice che da anziani si torna bambini, e oserei dire per fortuna se significa recuperare quella fantasia di cui ci priviamo da adulti.

    1. Grazie Mary per le tue parole. Dal canto mio (che un po’ anziano lo sono già, forse anche un po’ suonato…), sono convinto che tu abbia ragione: la fantasia va inseguita come un sogno, e non importa dove, ovunque ti vorrà condurre sentirai di starci bene. Grazie ancora e a presto

  2. Ho sempre pensato che l’immaginazione sia il rimedio perfetta contro la solitudine e la nostalgia. Una storia che scalda l’anima, carica di emozioni, con passaggi equilibrati che ogni tanto ti strappano un sorriso. Una lettura fluida fino alla fine. Una bella storia davvero!

    1. Ciao Tiziana, grazie per aver letto. Non solamente condivido il tuo pensiero, ma ritengo, e qui sta la follia, che chi ha il dono dell’immaginazione non sia mai davvero solo. Penso pure che tale fortuna non sia frutto di una eredità genetica, ma al contrario sia qualcosa che si apprende e si coltiva, un po’ come la passione che ci consente di trasmetterne le emozioni. A presto

  3. Mi piace questa volontà di dedicarsi non soltanto ai momenti epici di un’esistenza ma anche a quelli che l’epopea la ricordano. Sono tutte sfaccettature di un solo diamante. Grazie Paolo.

  4. Povero inserviente, mi verrebbe da dire, che sottovaluta il potere dell’immaginazione e di una vita spesa bene…speriamo che Alvaro glielo spieghi, o quando verrà il suo tempo nel nosocomio passerà i pomeriggi a fissare muto il muro 🤭
    Scherzi a parte…è un racconto di solitudine, nostalgico, ma come ha notato Cristiana ha in sè anche una nota di speranza. A me ha ricordato quanto è bello credere nei sogni e sapere quale arma potente sia la nostra fantasia. Lo facciamo da bambini, poi chissà perchè disimpariamo. (Se lo ricordano, o ci provano, ogni tanto, gli artisti). Da anziani, se si ritorna a farlo, li chiamano matti. Ma non è detto che siano matti molto fortunati. Grazie per questa bella lettura.

    1. Ciao Irene, bentrovata! Qualcuno sostiene che la parte di follia che dimora in ciascuno di noi sia quella genuina, reale, e che ciò che definiamo “normalità” non sia altro che convenzione; razionale sì, ma arida al tempo stesso. Sarà per questo che sono felice di essere mica tanto normale… quindi come non essere d’accordo con te? In fondo, credo che quel che di meglio ci possa capitare, razionale non è.

  5. Ciao paolo. Il titolo mi ha attirata subito e il pensiero è volato inevitabilmente a Sepulveda (ecco il potere di un titolo scelto bene 🙂
    La storia è dolcissima e mi sono immaginata davvero questo vecchio che parla agli uccelli e ho pensato che, in fondo, non c’è nulla di strano e dovremmo farlo tutti, a tutte le età.
    La frase finale, le parole pensate dall’infermiere, aggiungono una nota di speranza.

    1. Ciao Cristiana, è sempre un piacere accogliere i tuoi commenti che rivelano un’attenzione davvero gratificante per chi propone una storia. Ti ringrazio qui, direttamente, anche per il suggerimento proposto via messaggio. L’ho apprezzato molto e ho provato subito a metterlo in pratica: mi pare possa funzionare. Per quanto si cerchi di metterci cura, ci sono sfumature che sfuggono, ma che, in effetti, offrono un colore che meglio s’intona alla scena. Grazie ancora e a presto

  6. Alvaro ci insegna che nella vita bisogna essere vitali anche alla fine dell’ultimo atto, anche quando il palcoscenico sta per chiudersi. Bravo Paolo, voli alto anche quando fai volare in basso, raso terra, i quattro storni.

  7. Questo racconto mi ha lasciato addosso una sensazione di inquietudine, forse perché mi sono immaginato un vecchio pilota (magari di successo), solo un nosocomio, in compagnia dei suoi ricordi.
    Ma sul finale quel gesto di saluto mi ha dato quel guizzo di speranza: chi l’ha detto che la solitudine, sia necessariamente tristezza?

    1. Bentrovato Corrado, hai certamente colto il mio pensiero nel finale. Il vecchio Alvaro non è triste, un po’ malinconico forse, ma a modo suo ha trovato nuovi amici con cui condividere storie sulla passione che li lega: volare; fosse anche solo con la fantasia. Grazie per il tuo tempo

  8. Uccello o aviatore che sia, questo tuo racconto mi fa pensare, ancora una volta, che la fantasia ci può salvare sempre e soprattutto quando si é vecchi e soli. Cos’altro potrebbe restare ancora? E non solo ad Alvaro.

    1. Ciao Luisa, credo che noi tutti non siamo altro che la nostra memoria, in particolare quando diventiamo troppo vecchi per fare cose nuove… E la fantasia ci aiuta a riempire lo spazio tra un ricordo e l’altro. Grazie

  9. Si potrebbe pensare che Alvaro sia un malato mentale e riveda negli uccelli e nei loro voli il suo passato da aviatore, ma potrei anche pensare (e qui viene fuori la mia fissazione per il fantasy) che sia stato o sarà un uccello. Grazie per la lettura, Paolo🙂

    1. Ciao Concetta, in effetti la tua considerazione ci sta. In fondo, chi ha provato a volare su un velivolo che consenta certe evoluzioni ha sperimentato quanto di più simile possa esserci col un volo libero e giocoso, come quello degli amici pennuti… o forse, l’essere stato uno di loro nella sua vita precedente, ha condizionato ciò che ha compiuto in quest’altra. Grazie davvero per il bel commento.