
Intervista a Sator, 3° classificato (pari merito) al concorso #123LibriCK

È una “lei”, si è classificata terza (ex aequo) al concorso #123LibriCK con la storia [button size=”default” url=”https://edizioniopen.it/le-nove-domande/” open_new_tab=”false” text=”Le nove domande” icon=”” type=”default” bottom_margin=”5px”] e il nick su Edizioni Open è Sator. Ecco l’intervista della nostra redazione.
Nel tuo racconto “Le nove domande” si respirano atmosfere da storie horror raccontate in penombra, davanti ad un caminetto. Qual è il tuo rapporto con la paura e con la tensione?
Sono sempre stata una patita dei film e delle storie horror, soprattutto quelle a sfondo sovrannaturale. Adoro la tensione e quel fascino del grottesco del quale autori come Edgar Allan Poe e Lovecraft sono i maestri indiscussi. Non mi spavento facilmente, e forse per questo tendo ad addentrarmi in argomenti sempre più spaventosi e letture addirittura sconsigliate. Ma a parte il gusto del terrore in sè, ho una grandissima passione per la paura trasmessa in modo quasi nobile: quel senso di inquietudine dato non dai jump-scare di basso livello, ma dalle immagini, le storie, che risuonano in ciò che ti circonda anche molto, molto dopo averle lette, o viste, o sentite.
La tecnologia (e internet in particolare) avvicina o allontana le persone?
Non ho molto interesse alla socialità in generale e preferisco di gran lunga viaggiare da sola per un discorso basato soprattutto sulla libertà personale, ma credo che internet riesca a legare le persone più che separarle. Negli ultimi decenni c’è molta più possibilità di comunicazione facilitata con altri individui, e sinceramente credo che nonostante tutti i problemi che la tecnologia ha causato, questi vengano grandemente superati dalle possibilità che ha offerto a tutti. Il problema di base non è il computer o la tecnologia, ma l’uomo in sè (visitando qualche pagina del deep-web si può facilmente capire la devianza morale di certe persone), ma dopotutto viviamo in un presente dove basta un click per conoscere tutto (o quasi) e sta alle persone sfruttare le infinite possibilità.
So che sei appassionata di cinema espressionista tedesco, un genere distante anni luce dal cinema trasmesso oggi nelle sale. Cosa ti affascina di questo filone e chi sono i tuoi riferimenti?
Mi sono avvicinata al cinema espressionista, in particolare a Wegener, dopo aver letto due romanzi: ”La storia straordinaria di Peter Schlemihl” di Adalbert Von Chamisso, e ”Le avventure della notte di S. Silvestro” di E. T. A. Hoffmann (dove compare anche Schlemihl). Il film muto ”Lo studente di Praga” è ispirato a questi romanzi, e dopo averlo scoperto ho cominciato a documentarmi voracemente su svariati film del genere, finedo per appassionarmi parecchio a questa corrente. Ciò che mi affascina è la capacità di trasmettere le emozioni più disparate senza l’uso della parola e con delle immagini senza dubbio antiche e di bassa qualità, ma talmente curate e fantasiose che non possono non affascinare. Queste opere cinematografiche sono l’anello mezzano tra un libro ed un film.
Voltaire disse “È ben difficile, in geografia come in morale, capire il mondo senza uscire di casa propria..” Si impara più leggendo o viaggiando?
Beh, dipende cosa si ha voglia di imparare. E’ ovvio che se vuoi diventare un dottore viaggiare non serve a molto, a meno che tu non voglia studiare la medicina tibetana!
Ma in termini generali, viaggiando si scopre molto di più riguardo al mondo e a come funziona, e secondo me chi erra in lungo ed in largo riesce ad aprire la mente in un modo altrimenti impossibile. Io viaggio sopratutto per scoprire cose mai scritte (né su un libro, né sul web) e credimi che ce ne sono parecchie, uniche ed interessanti. Vagabondando si diventa, come Diogene di Sinope, ”cittadini del mondo”. Tuttavia esistono modi diversi di viaggiare, e credo che non sarebbe la stessa cosa visitare una città seguendo solo le mete turistiche. Il bello è perdersi tra le vie (o gli alberi…) di una qualsiasi città, foresta, luogo qualunque, scoprendo magari qualche segreto e parlando con gli anziani del luogo. Fare conoscenza non è difficile, ma il bello di spostarsi spesso è il grande senso di libertà; il sapere che quando salperai dal porto, non ci sarà nessuno ad aspettarti se non l’orizzonte. Ed è questo che non puoi imparare restando a casa o semplicemente leggendo un libro.
Intervista a cura di Tiziano Pitisci
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