L'amore che non appartiene

L’ amore che non appartiene

Londra abbondava di gente seria e di nebbia quel giorno e, Peter, fissava dalla finestra quell’ enorme marasma di fugaci figure un po’ felici e un altro po’ malinconiche, le osservava in silenzio come se vivesse fuori dal tempo e quella buffa sfilata fosse solo un correre disorientato di anime vuote. Il suo guardare però, era ben diverso dal vedere, non riusciva ad assaporare la bellezza che girava intorno a quel mondo così vicino e allo stesso tempo così distante, si sentiva solo in un mare di niente pieno di persone.

Si decise a chiudere le tende solo quando capì che quello che lo turbava non si trovava all’ esterno nella civiltà ma dentro quella casa e dentro al suo cuore oramai arido, prosciugato da un dolore che lo stava divorando nella sua pienezza, era stanco anche solo di respirare come se nell’ aria intorno a lui l’ ossigeno fosse diventato più pesante. E’ questo che si prova quando il dolore, l’ amore, l’ accettazione e la morte si mischiano a formare un’unica sensazione? Peter sospirò ancora una volta per alleggerire il turbinio incessante di pensieri nella sua testa ma niente sembrava volersi placare e, con grande fatica, posò i suoi occhi marroni e stanchi su quell’ orribile divano a due posti al centro di quella misera stanza, era un po’ il simbolo di tutto quello che nella vita aveva fatto di più sbagliato cercando l’ accettazione invece che la condivisione e quel pezzo di arredamento malconcio era sempre stato lì, dal giorno in cui aveva deciso di fare questa scelta, oggi però sull’ orribile mobiletto affianco ad esso c’ era una patetica bottiglia di whisky presa al discount in fondo alla strada e un bicchiere di vetro blu che probabilmente sarebbe rimasto a guardare mentre la bevanda alcolica defluiva direttamente dalla bottiglia alla bocca del signor Sallivan, uno spettacolo ridicolo che si concluse con una profonda dormita portata dal troppo alcool nel suo corpo. Peter Sallivan era un uomo distrutto con il peso del mondo sulle spalle che, come un immenso macigno, lo spingeva sempre più a fondo fino a toccare le fiamme di un inferno che oramai gli apparteneva, lo aveva preso con se facendolo sentire a casa ma anche quello di casa era un concetto molto relativo: se casa è dove c’è amore, dov’ era la sua di casa? Nei suoi sogni più segreti e più intimi immaginava un uomo seduto accanto a lui su quello scomodo divano, un’ uomo senza volto ma così buono e gentile da lasciargli poggiare la testa sulla sua spalla mentre fuori c’ era il sole e dentro le lacrime piovevano dal volto distrutto di un padre di famiglia che era stato brutalmente abbandonato da ogni sorta di sentimento affettivo che lo circondava, era solo e solitario allo stesso tempo ma giocava a rincorrere la sua anima con delle scuse piene di risentimento.

“Che cosa ti è successo?”

L’ uomo misterioso parlava con voce sottile e senza pretendere risposta, era come se sapesse già tutto e potesse narrargli la storia della sua orribile vita ma aveva una voce così calma e rilassata da far sembrare quella tragedia una storia qualsiasi.

“Tua moglie ti ha lasciato portandosi via tuo figlio? Sei un uomo finito con il cuore infranto e la schiena a pezzi, e stai lottando per un’ amore che in un’altra vita sarebbe sembrato perfetto ma, cosa è per te la perfezione se non una parola gettata lì, a caso, da qualcuno che credeva di aver raggiunto il massimo?!”

Erano sempre le stesse parole ripetute all’ infinito, in ogni sogno, fluivano piene di verità e di una magra consolazione mentre Peter piangeva pensando a quanto sarebbe stato bello poter vivere un’altra vita dove tutto sarebbe stato perfetto, dove forse un aiuto dal cielo sarebbe arrivato ma, per tutto questo non gli restava che attendere e forse pregare qualcuno che sarebbe potuto non esistere.

L’ uomo continuava poi in maniera sommessa senza cambiare il tono di voce.

“Mi hanno sempre detto che al mondo ci sono due tipi di persone: chi osserva e chi fa. Io sono uno che osserva, ed ora eccoci qui, due amici seduti su un divano senza rischi o complicazioni a parlare delle vite che avremmo voluto vivere. Appoggia la testa sulla mia spalla e adesso che il mondo è un po’ più freddo potremo provare ad amare quello che siamo destinati ad essere ma forse dovremmo aspettare un’ altra vita senza capire realmente cosa significa vivere.”

A quel punto, in quel preciso istante Peter si ritrovava a guardare l’ uomo e a capire che non era nessun’ altro se non lui stesso in un modo assolutamente diverso. Una versione di lui che non versava lacrime amare senza scopo, una versione di lui in una vita che ancora non aveva vissuto e che probabilmente non avrebbe mai avuto la fortuna di vivere ma, quando si svegliava, la bottiglia accanto a lui era vuota e il dolore non era annegato, restava maledettamente lì con la consapevolezza che in quel mondo perfino l’ amore gli era negato e che tutto era rimasto fermo al 1895. Il telefono squillò in uno di quegli stanti amari destandolo dai frammenti della sua esistenza e riportandolo alla realtà che rifiutava, la voce di James dal’ altro capo era insolitamente ferma e risoluta che allo stesso tempo nascondeva un dolore arcano e una paura indescrivibile ma lo convinse ad uscire di casa in quella tetra domenica .

Era un ottobre falso, di quelli in cui l’ estate fa ancora capolino dimenticandosi di lasciare spazio all’ inverno e James marciava verso casa come un soldato intento a dare battaglia alla sua bellissima villa di mattoni arancioni, il giardino perfettamente tenuto e le siepi potate in maniera artistica per dare un senso di grandezza a quella residenza. Nella sua vita era tutto così ben.

Benestante, beneducato, benvoluto.

Se avesse smesso di camminare pesantemente e avesse pensato a cosa stava per fare si sarebbe morso le mani sotto lo sguardo vacuo di Peter che ancora pativa i fumi dell’ alcool, era così tremendamente fragile ma lo amava anche per questo e poco importava se il cuore iniziava a dolergli e le sue ginocchia provavano un’ inspiegabile attrazione verso il suolo soprattutto adesso che era davanti alla porta, doveva superare quell’ enorme senso di inadeguatezza e renderlo quello che doveva essere: puramente normale. D’ istinto, James, allungò una mano verso Peter che era rimasto indietro di qualche passo e trovò le sue dita fredde, distanti tanto che quasi non risposero al suo tocco leggero e delicato.

“Che c’è?”

La voce un po’ scostante e tremolante fece trasalire Peter che nascose lo sguardo sulla punta delle sue scarpe rosse, di colpo erano diventate interessanti.

“Non mi sembra carino entrare in casa tua così, tenendosi per mano, e poi guardami! Il mio viso è distrutto, non sono in condizione di…”

James si trovò a ridere di fronte all’ ingenuità di quelle parole ma, la consapevolezza che si fosse ridotto in quella maniera per rispettare la sua volontà di nascondere quell’ amore, lo riportò subito serio.

“Io non voglio entrare.”

I due si guardarono lasciando che le parole si materializzassero nella distanza che li separava prendendo la forma dei loro respiri affannati e delle loro insensate e ragionevoli paure, avevano calcolato ogni probabilità prima di arrivare a quel punto e James più di tutti si era trovato a metà tra la vita hce gli altri desideravano per lui e la vita che realmente voleva.

“Dai, sono serio Peter, ci ho riflettuto e ho deciso che dobbiamo farlo, io voglio farlo! Cosa c’è che non va?”

“Lo sai che c’è” disse Peter, un po’ seccato e un po’ smarrito “Sta sera non è proprio il caso…”

“Perché sta sera che c’è?” James lo guardò con aria di sfida proprio come era solito fare, il suo sguardo di brace era l’ antitesi perfetta alla timidezza dell’ uomo che amava.

“Oltre quella porta ci sono i tuoi genitori con una torta, i tuoi parenti con dei regali, non vorrai festeggiare i vent’ anni così? E poi entrare in questo modo non è educato..”

Educato.

Gli occhi di James si aprirono di colpo al suono di quelle parole. Si chiese, con la distrazione dovuta alla sorpresa, come Peter avesse fatto a stare con lui fino a quel momento, ad amare in punta di piedi per non disturbare gli altri, nascondendosi nell’ ombra della sua paura di essere scoperto. Scoperto poi a fare cosa? Ad amare? Ricordò i suoi baci profondi e i suoi sguardi complici in cui perdersi, il suo poggiargli la mano sulla guancia delicatamente per consolarlo, rassicurarlo che tutto quello che stavano facendo era perfettamente giusto, perfettamente normale. E lui non lo aveva mai capito. Allora si voltò di scatto. Non c’ erano giustificazioni che avrebbero retto quella volta ma c’ era una sola e semplice azione da compiere: abbassare la maniglia ed entrare senza aspettare il permesso da nessuno e gridare finalmente quelle parole che gli si erano bloccate in gola per tanto, troppo tempo.

“Mamma, papà lui è Peter ed è la persona che amo!”

Da quel momento il loro amore apparteneva al mondo e la paura era solo un ombra mite che non avrebbe più oscurato la normalità.

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