
La bottiglia vuota
Serie: Il solo modo che conosco
- Episodio 1: Cambiamenti
- Episodio 2: Il rivolo sottile
- Episodio 3: Sfide
- Episodio 4: Quei paesi che finiscono per ATE
- Episodio 5: Punti di osservazione
- Episodio 6: Nessuna ragione per non farlo
- Episodio 7: Qualcosa in comune
- Episodio 8: Non oggi
- Episodio 9: Svolte
- Episodio 10: Per la prima volta
- Episodio 1: Coriandoli
- Episodio 2: Privilegi
- Episodio 3: Finestre
- Episodio 4: Il cerchio intorno alla preda
- Episodio 5: Impronte
- Episodio 6: Equilibrio
- Episodio 7: Abitudini
- Episodio 8: La bottiglia vuota
STAGIONE 1
STAGIONE 2
C’è una diceria, una storia che mi avevano raccontato il giorno in cui mi ero trasferito nello studentato. Era stata Klaudia a parlarmene, con cui assieme ad altri avrei abitato per quei due anni. Viso lungo, lentiggini appena pronunciate, capelli biondo cenere dritti come fusi legati dietro la nuca, in un tedesco lento e paziente mi aveva spiegato del sortilegio che si dice Tübingen lanci verso chi incappa in lei; del fatto che se ci hai vissuto, presto o tardi non potrai fare a meno di tornarci.
Non so se sia una leggenda legata unicamente a questa città o appartenga anche ad altre. Ma su di me ha avuto ragione.
Tübingen è una città che mi è rimasta dentro in modo viscerale fin da subito. Anche nei decenni in cui non ci sono tornato, è stata un pensiero ed un punto di riferimento costante nella mia vita. Se dovessi elencarne le ragioni non saprei dove cominciare. Forse è solo che qui sono stato davvero adulto per la prima volta, ho preso decisioni segnanti, ho compreso il significato della parola sacrificio e ho imparato che è il prezzo che si paga per l’indipendenza. Ma poi quello che hai comprato non te lo può più togliere nessuno.
Credo che qui, fra queste vie consumate dai passi fatte di edifici maturi, fra questi alberi, quest’acqua, quest’aria che impregna ogni cosa ci sia qualcosa di vivo, che possiede una propria identità e una progettualità che, a sua volta, è parte di altro.
Adesso che sono grande comincio a rendermene conto sul serio.
Quando sono stato ragazzo qui, la città mi ha consegnato una bottiglia di vetro trasparente, vuota, e appena me la sono ritrovata tra le mani non ho saputo cosa farci. Ho ringraziato per educazione e l’ho tenuta in piedi su uno scaffale per anni, convinto che fosse solo un souvenir dal gusto discutibile. Ma ora comincio a pensare che ci sia dell’altro. Che quando ha ritenuto fosse il momento la città mi abbia richiamato indietro, per spiegarmi che quella bottiglia non dovevo tenerla in piedi ma sdraiata.
E a mano a mano che vengo qua, quando affondo le mani nelle tasche mentre cammino lungo le sue vie ci ritrovo sempre qualche pezzetto di legno, corda, stoffa. Mi siedo ad un tavolino all’aperto, guardo quei pezzi e li conservo. Una volta che sono di nuovo a casa li riprendo. Con pazienza, un po’ di colla e una pinza sottile li infilo nella bottiglia e li assemblo come mi sembra debbano andare, assieme ai pezzi che ho ricavato dalla volta precedente. Per ora ho l’impressione che si stiano incastrando bene, e che se faccio un buon lavoro magari alla fine dentro quella bottiglia mi ci ritrovo un galeone; qualcosa che se avessi provato ad infilare per intero quando ero giovane avrei distrutto, ostinandomi a volere farlo passare per il collo.
A questo giro io e Tübingen non ci siamo trovati nel massimo del nostro splendore.
Io un po’ acciaccato nel fisico. Lei in una veste meno abbagliante del solito, con alcuni edifici in ristrutturazione e qualche locale chiuso per turno.
Ma ormai siamo come una coppia che si conosce da talmente tanto che non ha più bisogno di mettersi per forza in tiro prima di dirsi ti amo. Questa volta è andata così, la prossima andrà diversamente e so che me la ritroverò davanti di nuovo vestita per uccidere.
L’atmosfera un po’ dimessa e a tratti uggiosa mi ha dato la possibilità di riammirarla nelle sue strade acciottolate in una versione più intima, soffusa, quotidiana. Uno degli aspetti che amo di lei è quello di non avere venduto l’anima al diavolo del turismo meschino, di possedere un centro storico quasi fiabesco fatto di vicoli e scalinate che si intrecciano come fanno i rampicanti sulle sue facciate, che salgono e scendono a picco come i suoi tetti, dove è facile perdersi per un attimo ma impossibile smarrirsi seguendo i piccoli canali sparsi qua e là lungo le sue vie più o meno strette, e non avere intasato tutto questo con negozi di chincaglieria arraffazzonata in serie. È un cuore vivo, fatto di locali normali, che bandisce le catene di negozi quanto più le riesce, dove ancora adesso ci ritrovo esercizi che c’erano già venti e passa anni fa.
Era domenica pomeriggio tardi quando sono uscito a piedi dall’albergo, dopo essermi concesso una rinfrescata. Ho percorso in lunghezza il ponte che collega le due rive del Neckar, alla fine del quale ho tagliato a sinistra, imboccando la salita che segna l’inizio della zona pedonale e porta alla Cattedrale.
Lì in quel punto è sempre questione di fare un passo, un altro confine, prima ne sei fuori e subito dopo ci sei dentro; ed è come se non esistesse più un prima e un dopo, una dimensione in cui è tutto lì, lontano dalle macchine e dal rumore.
Ogni volta che percorro quella salita, qualunque ora sia, è notte fonda. I lampioni sono accesi, tutti spariscono e sul selciato rimaniamo solo io e un ragazzo sui venticinque anni, magro, che indossa una maglietta dei Guns ‘n’ Roses, la copertina del loro secondo album. Scende nella direzione opposta alla mia, con una chitarra appesa alla schiena che non imparerà mai a suonare bene, una mano in tasca e una sigaretta girata fra le dita dell’altra. Lui non mi nota, ha lo sguardo fisso per terra come se avesse perso per strada qualche pensiero e fosse tornato indietro a cercarlo. Io invece lo riconosco e ogni volta vorrei fermarlo, chiedergli come sta, dirgli di non prendere le cose troppo sul serio. Vorrei dirglielo, di non perderla mai quella bottiglia, di conservarla bene. Ma poi non mi vengono mai le parole giuste, e ho paura che parlandogli farei peggio. E allora lo lascio andare per la sua strada perché in fondo, mi dico, è un po’ un cazzone ma non è uno stupido.
Io non me lo ricordo più dov’è che stavo andando quella notte, ma lui sembra saperlo benissimo.
Serie: Il solo modo che conosco
- Episodio 1: Coriandoli
- Episodio 2: Privilegi
- Episodio 3: Finestre
- Episodio 4: Il cerchio intorno alla preda
- Episodio 5: Impronte
- Episodio 6: Equilibrio
- Episodio 7: Abitudini
- Episodio 8: La bottiglia vuota
Il finale è stupendo, chiude tutto con una forza e una delicatezza che restano impresse. Ma poi quel ragazzo ha imparato a suonarla quella chitarra? Intanto, mi hai fatto innamorare di Tübingen.
No, non imparerà mai veramente. Quel ragazzo ha le mani ballerine, gli scattano come sismografi, e infatti principalmente ha sempre suonato quando era da solo in rispetto delle orecchie degli altri. Ma qualche eccezione l’ha fatta e ci si è divertito lo stesso, come quella notte. Grazie Lino, innamorarsi di Tübingen è una cosa che viene spontanea.
Mentre leggevo, continuavo a pensare a quel “sortilegio” e, in effetti, mi è capitata una cosa simile: non una città, ma una zona in cui ho vissuto, non ha fatto altro che chiamarmi per anni e so che prima o poi tornerò lì. Questo è uno degli episodi più belli di questa serie, secondo me ❤️
Grazie Arianna! Che bel complimento che mi fai. In effetti è un episodio che ho sentito molto anche io mentre lo scrivevo.
Stamattina mi sono voluta ritagliare minuti di tranquillità e serenità d’animo, quelli giusti per proseguire in questo viaggio. Mi sono rilassata, ho lasciato che la mia immaginazione corresse sul filo delle parole.
Quelli che tu descrivi, sono luoghi che non conosco bene e che forse non amo, ma non importa perché il viaggio vero non lo compi solamente con i piedi che ti portano sulla strada che hai scelto.
Chi ama la lettura lo sa bene che il viaggio ha più dimensioni e spesso, quella che si sviluppa durante una lettura è tanto coinvolgente quanto quella che si vive con i piedi a terra.
Scrivi talmente bene che gli occhi dell’immaginazione concretizzano il luogo tanto che ti pare di stare li, a berti una birra oppure a muoverti a passo d’uomo sulla moto, annusando l’aria, o ancora ad ascoltare quel silenzio che a tratti si spegni e a tratti esplode.
Ho particolarmente amato gli incontri con le persone, fugaci, ma significativi. Sopra tutti il bimbo che saluta con la mano che si apre e si chiude e ti raddrizza la giornata; e poi l’uomo pachidermico seduto a fumare una sigaretta dietro l’altra senza mangiare. La mia innata e incurabile curiosità vorrebbe saperne di più.
Grazie Cristiana, davvero, parole come le tue sono il regalo che mi prendo per questa cosa che sto facendo. Grazie di tutto il tempo che mi dedichi.
Ciao Roberto, un episodio molto intenso. Mi è piaciuto molto. Questo episodio è il riassunto poetico di alcune riflessioni che spesso faccio con alcuni amici. Complimenti 👏
Grazie Tiziana, è bello quando scopri di condividere dei pensieri con qualcuno.
Ciao Roberto, bello questo episodio. Tra le altre cose, mi ha colpito il pronome che usi quando ti riferisci alla città. Grazie per la lettura
Grazie a te per il tempo che mi dedichi sempre!