
LA GEOMETRIA DELLA LUCE
Serie: Bianco Gesso
- Episodio 1: LA GEOMETRIA DELLA LUCE
- Episodio 2: IDENTITÀ
STAGIONE 1
Miccia apre la colonna. Lo chiamano così, ma nessuno conosce il suo vero nome.
Regge lo spettroscanner come se fosse una parte ferita del proprio corpo. Lo sentiamo vibrare nell’aria, prima ancora di scorgerlo.
Il Sergente è dietro. Io in mezzo. Nel punto cieco.
Marciamo in fila, come insetti nella luce.
Il Settore è un forno crematorio, e noi dentro, membra arse da un manto caldo di catrame.
I palazzi ci sovrastano come gusci vuoti, alieni: nulla è più annichilente di una dimora che abbia esaurito la sua funzione.
Peggio ancora se si tratta di una città.
È come assistere a ciò che resta di Dio dopo l’estinzione della fede.
Sappiamo bene che quelle pareti possono divorarci.
Il sole batte a perpendicolo, i suoi raggi rimbalzano, feriscono, sembrano gocciolare come grasso bollente da una graticola.
L’asfalto è gonfio, increspato, innervato di vetro, sabbia e plastica fusa. L’afa ha un odore di carne cotta, ma senza fumo: solo miasma di aria ferma.
Un manifesto pende da un tabellone, come pelle desquamata. Scooter e biciclette stanno riversi a terra, simili a carogne di animali consumati dal deserto. Due caschi, ancora allacciati: due crani spezzati, senza occhi. Tutto sa di metallo e gasolio, qualcosa di dolce, guasto, famigliare.
«Blip. Finestra zenitale ancora aperta. Passo», ci informa il Campo Base. Una voce piatta, nell’auricolare, come se parlasse da dentro di me.
Venti minuti, forse meno. Ventotto se c’è foschia. Ma oggi la luce è nuda, non si nasconde.
Le ombre sono corte ma si muovono, si sfaldano, pulsano nelle crepe.
Le sento guardarmi.
Il supermercato è aperto: le porte bloccate a metà, vetri rotti come denti. Carrelli sparsi.
Il Sergente si ferma all’ingresso, scruta il pavimento.
«Miccia, sposta il piede sinistro. La tua ombra sta lambendo lo stipite. È sporco.»
Miccia scatta indietro.
Guarda il suolo.
«Non l’ho vista.»
«Appunto. È lì che ti frega. L’ortogonalità non è un’opinione: allineati sempre. Basta un comunissimo effetto blister, e sei fottuto. Lo sai che queste bastarde si attraggono come calamite…»
Io annuisco, ma resto in silenzio.
Da tempo, ho imparato a calcolare a occhio nudo l’incidenza del sole sulle superfici.
Bisogna educarsi alla luce, se non si vuol morire.
Miccia entra. Lo seguo.
Il Sergente resta fuori, una mano all’auricolare.
«Orsa Maggiore da Lupo 2, confermate ripristino corrente? L’area è uniformemente illuminata? Passo.»
«Blip… Lupo 2, qui Orsa Maggiore. Corrente ristabilita alle 12:04. Illuminazione incompleta: quadranti E-7 e K-2 ancora parzialmente oscurati. Attenzione ai corridoi ciechi. Passo.»
«Ricevuto. Procediamo su asse Delta fino a nodo Sigma-4. Visori attivi. Lupo 2 chiude.»
Ora siamo dentro, tutti e tre.
Una puzza di ferro, muffa e scatolame vecchio ci assale. Qualcosa di zuccherino, quasi infantile.
Il nostro respiro è l’unico suono.
Ogni passo sembra di troppo.
Non è il buio a spaventarci, ma la geometria della luce.
Un pupazzo verde, mezzo disfatto, sembra spiarci da sotto un banco promozionale.
Miccia si muove vicino agli scaffali. Lo scanner vibra. Manda un ronzio basso, costante. Il display mostra una mappa tridimensionale, nera e grigia, con filamenti ondeggianti.
Cerchiamo le increspature d’ombra: disomogeneità nella distribuzione luminosa, oscillazioni nella riflessione fotonica al di sotto dei 700 nm.
Quando un’ombra è malata, si vede.
È come se il buio avesse una massa propria, come se la luce, invece di dissolverlo, lo attraversasse con difficoltà.
Lo scanner registra i gradienti di assorbanza attraverso un algoritmo di Fourier applicato su intervalli brevi. Un’ombra infetta mostra un pattern di discontinuità nel flusso: turbolenze. Come se qualcosa si agitasse sotto una pelle nera. La nostra missione è mappare, reperire, tornare. Ma nessuna missione è semplice, da quando l’Umbrosis ha imparato a muoversi col sole.
«Alt!»
La voce del Sergente mi spezza il respiro, bloccandomi a metà passo.
«Il suo ginocchio proietta sulla parete. Potrebbe toccare una riflessione parassita.»
Guardo in alto: un faretto direzionato, appena percettibile, taglia la mia traiettoria.
«Deve imparare a cogliere la luce radente, professore,» ringhia lui. «Niente più passi ciechi. Tracci. Preveda. Reagisca.»
Miccia è pallido. Non dice nulla.
«Perché qui?» chiede poi, dopo un lungo silenzio. «In centro… voglio dire.»
Il Sergente si ferma. Osserva affascinato il reticolo di ombre proiettato da un carrello della spesa.
Non si leva mai lo spettrovisore. Neanche al cesso.
«Troppa gente. Troppa luce», farfuglia.
Miccia non capisce.
Nessuno capisce mai, all’inizio.
«Le città erano incubatrici,» spiego.
Miccia mi guarda.
Occhi chiari, giovani. Vuole sapere.
«Qui c’erano gli uffici,» proseguo. «C’erano code, neon accesi ventiquattr’ore su ventiquattro, sale d’attesa. Ombre latenti, accatastate. A volte non camminavi nemmeno, scivolavi sopra l’ombra di chi ti precedeva.»
«Non sarebbe bastata la distanza?»
«Non si è mai al sicuro… una volta infettata la prima, non ci è voluto nulla a contagiarle tutte.
Nel giro di un mese, il mondo si è contaminato.
È stata sufficiente l’ombra di una nuvola, di un insetto… persino di una piuma. Gli uccelli potrebbero infettare chiunque, nel raggio di migliaia di chilometri.
Ecco perché li abbattono.
La vera grande untrice, però, è la notte: è nella notte che tutte le ombre confluiscono. Non sappiamo a quale ritmo l’Umbrosis la stia corrompendo, dato che non possediamo un’unità di misura della notte, ma si stima – ipotizzando un fantomatico coefficiente di tenebra – che l’intera oscurità del pianeta verrà totalmente contaminata entro la fine dell’estate.»
Continuiamo lungo le corsie, fino a reperire scatolette di fagioli, taniche vuote, confezioni intatte di sale.
Miccia si accosta al banco frigo. Un peluche incrostato giace riverso in un magma di gelato sciolto. Sta per toccarlo. Il Sergente lo blocca.
«È organico. Lascia stare.»
«Interferenze», avverte Miccia. Lo scanner vibra.
«Quadrante E-7… Occhi a terra», ordina il Sergente. Poi scompare nel corridoio laterale.
Serie: Bianco Gesso
- Episodio 1: LA GEOMETRIA DELLA LUCE
- Episodio 2: IDENTITÀ
Da autrice di Fantascienza potrei sentirmi “minacciata” o in competizione dalla tua bravura nel saper scrivere anche questo genere. Invece annuisco, umilmente imparo qualcosa di nuovo e ti stringo virtualmente la mano. ✒️
😂 Ciao Mary! Grazie mille per la lettura 😂🙏🏻
La prima espressione che ho “pensato” leggendo, è stata una bestemmia🤣! Che bello… se leggi attentamente, sei lì con loro. Curioso, di sapere tutte le cose che sanno loro e che stanno imparando! Proseguo volentieri al prossimo capitolo
Ciao Loris! Ho preso ispirazione dal caldo allucinante di questi giorni 🤣 Io odio la canicola! Grazie mille per la lettura!🙏🏻
Suvvia, vieni a Cagliari! Che ti faccio vedere cosa sono i 35 gradi all’ombra 🤣 con tasso di umidità al di sopra del 60%
😂 Almeno la Sardegna è un’isola splendida! Io sono nella bassa parmense, col caldo vincete voi, ma la nostra l’umidità è inarrivabile: oggi 80%🤣
Molto bello il titolo, della serie e di questo episodio. Un inizio “fisico”, una scrittura di immagini fatte per essere sentite. Le ombre sembrano avere la stessa consistenza dell’essere che le proietta, la luce, che solitamente ha un ruolo salvifico, qui sembra un pericolo. Ho avuto quest’impressione.
Ciao Irene! Grazie mille per la lettura! 🙏🏻 Hai interpretato perfettamente: la minaccia cui accenno è onnipresente, come la luce, ma ancorata alla logica della proiezione dell’ombra😊 Mi piaceva l’idea di uno stile asciutto, cinematografico, proprio per il fatto che, anche il cinema, nasce come proiezione.
Una nuova serie, che bello! Continuo a leggere
Bellissimo incipit Nicholas, ho adorato ogni singola descrizione che mi ha fatto sentire dentro la storia, a camminare insieme ai tre soldati con il fiato sospeso. Peccato solo sia una serie in due episodi. Davvero bravissimo!
Ciao. Bene, ho letto questo capitolo tutto d’un fiato e devo dire che la tua penna mi piace molto. Soprattutto il tuo modo di usare le metafore nelle descrizioni, che secondo me sono il tuo punto forte. Bravo. Se proprio devo fare un appunto, ebbene, ho trovato, a mio parere, qualche virgola di troppo, perciò ti direi di rileggere il pezzo ad alta voce… sono certo che te ne renderai conto anche tu. Alal prossima 🙂
Ciao Silvio! Grazie mille della lettura e del bel commento!🙏🏻 Seguirò il tuo suggerimento!🤗
Prego, è stato un piacere. 🙂
Inizio molto interessante. Mi ha ricordato le atmosfere di Alien, Final Fantasy e blade Runner. Promettente
Ciao Guglielmo! Grazie mille per la lettura!🙏🏻😊