
LA PASSEGGIATA
Serie: IRIS ALLO ZOO
- Episodio 1: LA PASSEGGIATA
- Episodio 2: LA CATENA ALIMENTARE
- Episodio 3: SOTTO A UN CIELO MUTO
STAGIONE 1
Protese il braccio oltre il parapetto di roccia, come a tagliare in due il paesaggio fumoso profilatosi al di sotto del poggio.
«Una volta qui era tutta città,» spiegò zio Anteo, «una distesa uniforme di asfalto e cemento. O almeno così si diceva, visto che la deurbanizzazione iniziò molto prima che io nascessi…»
«Cos’è la “derubanizzazione”?» Chiese Iris trafficando col cavo di dosaggio del suo piccolo zaino impollinante.
«DeURbanizzazione!» La corresse bruscamente, e si sentì subito in colpa per aver scordato che la bambina aveva solo sette anni.
Deformazione professionale pensò: trent’anni d’insegnamento nelle università lo avevano reso un uomo tanto meticoloso quanto poco incline alla morbidezza.
«La deurbanizzazione fu l’esodo… ehm… lo spostamento della popolazione dalle città alle campagne… ehi, vacci piano con quel polline: dobbiamo spargerlo ancora per una decina di chilometri!»
Iris alzò gli occhi e sbuffò, lasciando andare il cordino dosatore che schizzò indietro fino a tornare completamente nella guida, bloccato solo dal bottoncino fermacoulisse, mentre le lamelle mobili della griglia inferiore si richiusero con uno scatto metallico.
«È inutile che ti indispettisci. Sai benissimo che se un vigilante ti dovesse vedere potrebbe multarci per “sperpero di bene pubblico”. E non chiedermi cos’è lo sperpero: te l’ho già spiegato la volta scorsa…»
La bimba scosse il capo e guardò a terra.
Le gambette intirizzite s’intrecciavano convulsamente, mentre i piedi non cessavano di scalpitare nella melma, inzaccherando fino alle caviglie i suoi stivaletti invernali.
Iris alzò una manina guantata e s’infilò la punta dell’indice nel naso.
«Ti sembra un atteggiamento da signorina?» La redarguì di nuovo lo zio.
La bimba tolse il dito dalla narice e sollevò le spalle.
«Hai freddo?»
Lei annuì. Ci ripensò. Fece segno di no.
Ciocche di capelli svolazzavano a destra e a manca oltre il bordo della cuffietta in fibra di ortica; ciuffi di erba nera in un vaso capovolto pensò ancora l’uomo, ophiopogon planiscapus nigrescens, appunto: la pianta che aveva dato il nome alla nonna di Iris, Planiscapa, sorella di Anteo.
I due proseguirono ancora lungo il terrapieno che costituiva il dorso del Monumento alla Testuggine.
Quando finalmente poterono scorgere dall’alto la lunga protuberanza di roccia in cui era scolpito il cranio dell’animale, la bimba non riuscì a trattenere un’esclamazione di stupore.
«Erano grandi come montagne!»
Lo zio scoppiò a ridere, sbuffando in aria una spirale di vapore.
«Ma no! Questa è solo una statua! Insomma: non hai imparato proprio nulla dalle videolezioni?»
«La maestra ha detto che siamo in ritardo col programma…» borbottò la bimba a sua discolpa.
«E ti pareva! Scommetto che non è nemmeno arrivata a parlarvi della grande estinzione… sbaglio?»
Iris scosse il capo, poi strinse il palmo dell’uomo, come per esortarlo a raccontare.
Le piacevano tanto le storie di zio Anteo, anche se sapeva benissimo che erano di seconda mano, anzi: di terza, dato che le fonti di quelle narrazioni risalivano tutte all’epoca di suo nonno, ossia ai tempi del trisavolo della bambina.
«Dunque… dove eravamo rimasti?»
La sua voce divenne più accomodante, mite come un sole di maggio che irrompesse in quel gelido mattino d’inizio gennaio.
«Alla malattia che uccideva gli insetti!»
«Giusto! Zoostermìa: questo fu il nome che le dettero. Mio nonno mi raccontò questa storia almeno un centinaio di volte, dato che la visse in prima persona.
A scuola non ti diranno mai le cause dell’epidemia, semplicemente perché ancora oggi non si sanno con certezza.
L’unica cosa sicura è che i primi a morire furono gli insetti…»
«Com’erano gli insetti?»
«Bah: ne esistevano milioni di tipi.
Devi sapere che quel genere di animale era il più piccolo ma anche il più numeroso al mondo.
Purtroppo qui, al parco, non vedrai le loro riproduzioni, e ciò accade per due semplici motivi: prima di tutto, il loro aspetto ripugnante – erano infatti considerati dei veri e propri mostri in miniatura, creature piene di zampe e di occhi, con tratti completamente diversi da quelli umani. Il secondo motivo, invece, riguarda la considerazione che si è sempre avuta di questi esserini: bestiacce immonde, utili solo a sfamare altri animali…»
«Allora è bene se sono morti!»
«No, Iris. È stata una disgrazia.
La zoostermìa contagiò ben presto gli animali più complessi. I primi a scomparire furono gli uccelli – grandi mangiatori d’insetti – poi via a salire, lungo quella che chiamavano “catena alimentare”, fino a raggiungere la classe dei mammiferi, quella a cui apparteniamo anche noi umani…»
«I mammiferi sono gli uomini?»
«Non solo. Tanti animali diversi da noi erano considerati “mammiferi”. Ma il virus li uccise tutti.
Poi il morbo si espanse all’ordine dei primati: tarsi, lemuri e scimmie si infettarono velocemente.
A quel tempo, insetti, pesci, uccelli, rettili e anfibi erano già dati per estinti… in soli dieci anni.»
Iris e lo zio scesero finalmente dalla groppa del Monumento alla Testuggine: dinnanzi a loro si ergeva il muso rugoso e stilizzato dell’antica bestia, rivolto alle sterminate colture di giovani boschi cedui.
Quell’espressione severa e stanca, dallo sguardo lasso, ricordò alla bimba il viso della bisnonna – la mamma di zio Anteo – curva sotto alla groppa gibbosa e con quel collo proteso, come ad assistere una vista ormai fioca.
«La testuggine era un mammifero?» Domandò Iris, intenerita dalla carezza del ricordo.
«No.» Rispose l’uomo.
«Però assomigliava tanto a noi…»
I due proseguirono lungo il viale di tigli che costeggiava il Sepolcro dell’Aquila: un colossale quadrarco sovrastato dalla riproduzione dettagliata di un rapace con le ali spianate che li fissava bieco attraverso quella nebbia densa come polenta.
L’inverno padano pareva essersi ingoiato tutti i colori, lasciando solo un bianco e nero sfocato e nostalgico, increspato dalla lenta danza dei respiri. Strano come proprio quel tempo – la stagione della morte – fosse il solo a rimarcare con tanto accanimento l’alito vitale delle cose.
La nebbia: il sospiro abbagliante della terra.
«Zio Anteo… perché noi non siamo morti?»
«Intendi dire “il genere umano”? Nessuno lo sa. Qualche biologo ipotizzò che ormai fossimo talmente imbottiti di antibiotici e antivirali da essere immuni praticamente a tutto…»
«Quindi gli animali non torneranno mai più?»
L’uomo scrutò gli alberi spogli, ingessati dalla calabrosa, lugubri come apparati circolatori privi di involucro: grovigli pietrificati di arterie ghiacciate in un sistema linfatico capovolto e impenetrabile.
«No, Iris. Non torneranno più. Il virus è sempre lì, indebellabile: lo abbiamo addosso, dentro di noi.
La scienza ha provato a riportare in vita alcuni animali – un processo troppo intricato da spiegarti, ma comunque molto antico – e ogni volta si tornava sempre daccapo: le bestie si ammalavano e morivano a causa nostra.
Ora non resta che affidarsi alle piante…»
Anteo tirò il pomolo del cordino dosatore e liberò nell’aria un nembo bruno di polvere sintetica che esplose con uno sbuffo dai cinque lati dello zaino impollinante.
La nube si sciolse velocemente nella nebbia, irrorando la vegetazione col suo miscuglio di granuli di Betulaceae, Corylaceae e Cupressaceae.
Un’ora dopo, zio e nipote giunsero al cospetto del ciclopico portale ovest dell’Archeozoo.
Scolpito nel timpano del frontone campeggiava il bassorilievo di un animale accucciato, mentre una mano ignota calava misericordiosa sul suo capo.
«Quello lo conosco! È un cane! Si vedono sempre nei vecchi film!» Strillò Iris eccitata.
«Sì. Te l’ho già detto: sui quattro portali sono scolpite le creature che meglio hanno servito l’uomo: il cane, la capra, il cavallo e il bue…» Anteo fissò con sgomento la riproduzione.
Ogni volta che valicava i limiti del parco rammentava di quanto quel luogo non fosse altro che un melmoso cenotafio sprofondato tra rogge e fontanili.
E forse il mondo intero era solo una smisurata necropoli, ora che la sola specie vivente risultava essere quella umana; ora che il morbo aveva reso ogni altro animale solo un ricordo mitico di un tempo primigenio.
Persino un cane appariva alieno alle generazioni future.
Che incredibile scherzo del destino!
L’unico modo per far tornare a proliferare la vita sarebbe stato quello di estinguere la razza umana, cancellarla assieme al suo nuovo, letale simbionte.
La conclusione fu dunque ovvia: vivere soli, da untori, piuttosto che non vivere affatto.
Anteo scrutò Iris, ancora indaffarata ad azionare il meccanismo a molla del suo zaino impollinante.
Beata ingenuità! Non era ancora il momento di rovinarle la vita con quelle speculazioni sulla solitudine universale.
«Ti ho mai parlato delle api?» Le domandò, aiutandola a sbloccare il cavo di dosaggio.
La bimba scosse la testa.
«Vedi: gli insetti non erano poi così insulsi come si pensava. Le api, ad esempio, facevano esattamente ciò che oggi siamo costretti a fare noi in queste lunghe passeggiate, con zaini e droni…»
Iris e Anteo s’incamminarono, mano nella mano, oltre il grande portale ovest.
Il tragitto era ancora lungo e dovevano affrettarsi: avrebbero pranzato al prossimo villaggio, una volta terminato il turno quotidiano d’impollinazione.
Serie: IRIS ALLO ZOO
- Episodio 1: LA PASSEGGIATA
- Episodio 2: LA CATENA ALIMENTARE
- Episodio 3: SOTTO A UN CIELO MUTO
Coinvolgente questo primo episodio: cattura in fretta l’attenzione grazie ai dialoghi e all’idea di fondo presentata in maniera più che originale. Tra l’altro, azzeccatissima la trovata della necessità di spargere il polline artificialmente per via dell’assenza delle api. Leggerò gli episodi successivi.
I tuoi racconti non deludono mai. Bellissimo anche questo: rassicurante, in un certo senso, la prospettiva di poter sopravvivere senza gli insetti impollinatori, smentendo le previsioni di alcuni grandi scienziati. Ma questa e` Letteratura, “Realismo magico”, leggo tra le parole chiave; lettetatura con la L maiuscola; percio`ci sta ed e` avvincente. Spero di poter leggere presto il secondo e ultimo (?) episodio. Peccato sia una serie cosi` breve.
Grazie mille per aver letto il mio racconto e per le tue bellissime parole! Sì: il realismo magico è da sempre il mio punto di riferimento letterario. Il prossimo episodio sarà quello conclusivo (purtroppo non sono ancora pronto per scrivere serie lunghe 🙂 )
Bello, molto bello e ben scritto. Ha toccato tante delle mie corde… futuristiche e post-catastrofiste. Però, con una dolce inflessione intimistica ed umana, che dà un aroma tutto suo.
Leggerò con tanto piacere il seguito, bravo e grazie per la condivisione!
Grazie mille a te per aver letto il mio racconto! La seconda parte uscirà a giorni. Spero di riuscire a dare una giusta conclusione alla vicenda!
Questo primo episodio è davvero ben promettente. Oltre ad essere scritto con ottimo stile, il punto di forza è sicuramentre l’idea: intrigante (e spaventoso) questo futuro distopico, dove tutti le forme di vita eccetto l’uomo ed i vegetali si sono estinte. Resto in curiosa attesa della seconda parte!
Grazie mille per aver letto il mio racconto! Nei prossimi giorni dovrebbe uscire la seconda parte, spero sia all’altezza delle aspettative!