La porta era già aperta

Serie: L’archivio dei sogni perduti


Capitolo 1 – La porta era già aperta

Lorenzo Ardini si svegliò con una certezza: qualcosa l’aveva riscritto durante la notte.

Non un sogno, no. Il sogno ha ancora l’odore del cervello umano. Quello era stato un intervento di sistema. Silenzioso. Funzionale. Non c’erano immagini nella memoria a breve termine, solo un sibilo costante dietro gli occhi e un senso di traslazione, come se il suo corpo fosse stato spostato — copiato, forse — da una stanza all’altra, o da un piano esistenziale a un altro.

Il soffitto della cella, piatto e grigio, pulsava ogni 4,7 secondi in una tonalità leggermente diversa di verde. Lo chiamavano “verde compatibilità”: riduceva l’attività limbica e la possibilità di devianza emotiva. Ogni elemento in quella stanza era ottimizzato per il contenimento cognitivo. Anche la parete specchio. Anche la luce che non proiettava ombre.

Lorenzo si mise seduto. Il letto era caldo da entrambi i lati.

«Sistema,» sussurrò, «data e ora.»

Silenzio. Poi il display olografico si accese sul muro.

DATA: NON VERIFICATA.

POSIZIONE: ZONA C2-C (Area Transitiva).

INTERFACCIA EMPATICA: SOPPRESSA PER MOTIVI DI SICUREZZA.

«Per sicurezza di chi?» borbottò.

Cercò l’uscita. Non c’era. La porta — o quello che sembrava una porta — era aperta. Ma non era stata aperta da lui. E quello, in una Zona di Transito, significava che qualcuno aveva autorizzato il suo spostamento senza notifica.

I corridoi della Pensione Santa Rovina erano tappezzati di fibra assorbente, bio-sintetica, creata per registrare i sogni dei clienti e rivenderli, rielaborati, ai centri d’intrattenimento onirico dell’Est Europa. Ogni passo lasciava una traccia uditiva: il suono del suo battito cardiaco, leggermente accelerato. Segno che l’interfaccia non era stata del tutto disattivata.

Alla reception, una donna. Pelle chiarissima, rasata a zero, occhi impiantati. Lo scrutava con l’intensità di chi ha già letto tutto di te, anche le cose che non sai di sapere.

«Agente Ardini,» disse. «È pronto per tornare all’Archivio?»

«Chi cazzo è lei?»

«Lei ci ha chiesto di mostrarle una cosa. Ha lasciato una richiesta alle 02:13:21, durante una fase di REM instabile. Ha richiesto l’accesso a un profilo familiare bloccato.»

Lei estrasse un dispositivo. Lo attivò.

Sul piccolo schermo apparve il volto della figlia.

Beatrice. Sedici anni. Il maglione giallo che Lorenzo ricordava — o che qualcuno aveva deciso che lui ricordasse. La voce lo raggiunse un attimo dopo: artefatta, ma ineccepibile.

«Papà,» disse lei. Una sola parola. Un colpo secco al sistema limbico.

Lorenzo barcollò. Inspirò forte. «È una simulazione. È un falso emotivo.»

La donna sorrise.

«È meglio della realtà. È calibrata sul suo dolore.»

Dieci minuti dopo era seduto nel Modulo 6 dell’Archivio Centrale. Un cubo senza spigoli, rivestito di superficie riflettente, progettato per impedire il radicamento percettivo. Non c’erano entrate visibili. Non c’erano vie di fuga. Le pareti modificavano lievemente l’intonazione della sua voce ogni volta che parlava. Una forma di desincronizzazione percettiva.

Una voce automatica lo interrogò. Femminile. Calma. Disumana.

«Agente Lorenzo Ardini. Risulta che lei abbia accettato il protocollo “NecroMind 3.1 — Interazione Intuitiva”?»

«Mai firmato. Mai autorizzato.»

«Negli ultimi tre giorni ha avuto, volontariamente, diciannove sessioni con l’entità “BEATRICE_ARD.93-B”.»

«Falso.»

«Tutte le interazioni sono state empaticamente compatibili. Lei ha espresso attaccamento ricorsivo. Si conferma?»

Lorenzo guardò in alto. Il cubo s’illuminò.

Beatrice emerse. Non come immagine o ologramma: presenza. Carne apparente, occhi pieni, il respiro visibile nell’aria. Lei si avvicinò.

«Papà… ti ricordi di quando mi leggevi la favola sulle creature di sabbia?»

Aveva la stessa inflessione, la stessa voce. Ma era programmata. Era scritta in codice. Eppure…

Eppure, qualcosa si spezzò in lui.

«Tu non sei reale,» disse, «sei solo la mia colpa. Sei la mia disfunzione memetica.»

Lei sorrise.

«No. Tu sei il mio. Io sono viva perché tu sogni ancora.»

La voce automatica riprese.

«Verifica emotiva: fallita. Dissonanza ontologica in corso.»

«Che significa?»

«Lei potrebbe essere un costrutto secondario generato dalla coscienza dell’entità simulata. Si raccomanda isolamento preventivo.»

Un momento di silenzio. Poi la voce concluse:

«Agente Ardini, se la sua realtà dovesse dissolversi, non opponga resistenza. È un effetto collaterale frequente nei profili a lutto profondo.»

Serie: L’archivio dei sogni perduti


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi

Discussioni

  1. Eccomi, scusa il ritardo. In realtà avevo già iniziato a leggerete questa serie, ma per qualche motivo avevo interrotto la lettura. Dunque, questo primo episodio mi ricorda tanto la serie Black Mirror (che adoro!). “Registrare i sogni dei clienti e rivenderli” è un’idea pazzesca😁 Bravo!

  2. Interessante questo mondo onirico reale. Un sogno nel sogno? Chissà. Bravo, ma lo saresti ancor più se tu eliminassi tutti quei disse che non aggiungono altro se non appesantire la lettura. E ovvio che dicano qualcosa e aggiungerlo non serve. Dovresti fare in modo di girare le frasi così che non sia necessario evidenziarlo… insomma, mostrare quel che accade invece che narrare. Non so se mi sono spiegato bene, ma credo che tu abbia compreso cosa voglio dire. 🙂