
La prigione – Il Cambiamento
Mi resi conto che, dopo anni passati senza alcun senso, senza avere sostanza, quasi fossi niente, né corpo, né mente, solo un corto respiro per continuare in quello assurdo stato innaturale.
Perennemente seduta su di un divano bianco, sbiadito dal tempo con a fianco un’ unica finestra, pomeriggi inermi, vedute di alberi in fiore e poi di foglie cadute. Di sensazioni che non ricordavo più perché spente ormai da tempo.
L’unica rimasta, terribile, il solo scorrere del tempo inesorabile.
Un enorme orologio che con il suo ticchettio me lo ricordava costantemente nella mia testa.
Non lo guardavo mai perché sapevo quello che lui stava facendo, una sola volta lo avevo visto, ruotando appena gli occhi verso di lui, di nascosto. Le nere lancette, appuntite, ad ogni giro che facevano, graffiavano fino a cancellare i numeri sempre più, ogni volta corrosi, fino a farli scomparire.
E quel tempo stravolto, ormai inesistente, perdeva così ogni contorno come la mia esistenza.
Poi lentamente, senza più potermene rendere conto, fredde sbarre, pesanti , di piombo nero, si chiudevano davanti ai miei occhi, la tristezza, la solitudine, la malinconia, costringendomi così a serrarmi in una prigione, fredda e ormai insensibile a tutto.
Io prigioniera della mia vita, io prigioniera di me stessa.
Di quello che ero stata, di quello che sono, e di quello che mai sarò.
Improvvisamente però accadde qualcosa, a discapito di chi con le chiavi in mano, strette, di quella mia prigione, di chi sordo alle mie urla soffocate dal pianto, al mio chiedere aiuto, rigettato, che mi guardava silenzioso attraverso le sbarre, una voce forte, riconosciuta, l’unica ,penetrò attraverso quell’oblio, ma non la mia, non era emersa dalla mia povera mente, no. Arrivò da fuori vera, e come un lampo nel cielo di ottobre, prima che svanisse, per un attimo illuminò quei pochi frammenti rimasti di ciò che ne restava.
E lì vidi, nascosti, dei numeri, una data, quella mia di nascita, che solo grazie a quella luce improvvisa, riconobbi.
Numeri incancellabili dall’orologio crudele.
Questo fatto mi sconvolse, e mi fece rendere conto che avevo già trascorso più della metà della mia vita, in quello stato, ed avendone quasi stupita, presa coscienza, come risvegliata da ciò, che mai prima d’ora, mai negli anni, passati veloci, sciolti fra le dita, a volte orribili, ma mai compresi nel loro valore, perché c’era sempre troppo male intorno, per riconoscerne il sapore.
Ora, dopo questo risveglio, iniziai ad assaporarli, gustarli, amarli, a fare in modo che ognuno di essi diventasse ogni volta, una vita intera.
Scomposti in miliardi di luci che illuminavano a nuova vita ogni mia cellula, la mia mente, la mia ragione, le mie qualità, il mio essere unica.
Così, giorno dopo giorno, con la fretta di poter fare ancora qualcosa perché almeno quel giorno di quell’ultimo mio respiro, sarei stata felice di essere esistita.
Felice di aver oltrepassato quella finestra di plastica, che mi faceva vedere solo l’oltre, e di non avere più sbarre di piombo davanti agi occhi.
Infatti, accadde, che con la mia presa di coscienza, mi resi conto di averla rotta con facilità quella finestra, (non lo avevo capito prima), e le sbarre sciolte nel nulla, come burro fuso ora che avevo capito, e di avere finalmente cominciato a vivere la vita.
Il respiro era tornato regolare, le mie membra le riconoscevo nuovamente, la mia mente non era più incrostata da pensieri e frasi passate.
Comincia, così quasi spinta, ogni mattina appena alzata, ad ascoltare brani e musiche con suoni forti, ad alto volume chitarre elettriche, batterie, che con i loro contenuti, scuotevano tutto il mio essere. Forti ritmate, ma mai nelle forme assurde, e sentendomi finalmente pienamente viva, grazie a quelle emozioni che questa forma anomala di terapia mi dava, dapprima cominciai a sorridere, poi a ridere, muovermi, ballare finalmente felice, a fare quello che mi sentivo di dire, quello che mi sentivo di fare, tutto quello che nasceva da me, senza sbarre, senza chiavi, senza nero, senza oblio.
Il fluire del mio essere in questo mondo.
Il riscatto contro quella che era stata la mia condanna, perché finalmente capii che il carceriere che teneva strette le chiavi nelle sue mani, della mia prigione, per tutto quel tempo ero io.
Senza più timore, alzai gli occhi verso l’orologio era piccolo, elegante, prezioso con piccole lancette ricamate. Il suo dolce ticchettio si sentiva appena.
Mi guardai allo specchio dopo tutto quel tempo passato, rughe giovani e vecchie solcavano il mio volto.
Quelle giovani erano timide, appena abbozzate agli angoli della bocca, come quando si ride.
Io prigioniera di me stessa.
Io, libera da me stessa.
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Cinzia, dopo aver letto il tuo terzo racconto, sono andata a ritroso, a leggere il secondo e poi il primo. Ho inteso questo della prigione come una metafora ben riuscita, che rende bene l’ idea di una condizione di vita in cui e` facile identificarsi. Chi di noi, per un tempo breve o magari per gran parte della sua vita, non si e` sentito bloccato, chiuso, imprigionato, tra le sbarre che la nostra mente costruisce, per paura, per difesa, o per rifiuto verso un mondo percepito come crudele?
Leggendo “La prigione – il cambiamento” ho avuto la sensazione che la nuova consapevolezza positiva di cui parli qui fosse la prosecuzione della storia descritta nel buio della stanza chiusa, con la porta che nel finale si puo` aprire.
Ho avuto la conferma, continuando a leggerti, della tua capacita` di esprimere temi e concetti profondi con grande sensibilita`.
Buon proseguimento.
Ciao, M. Luisa, rispondo con una sola risposta ai tuoi due commenti. Per prima cosa volevo ringraziarti per quello che hai scritto, sia per i racconti, e sia per il tuo parere su come li ho svolti. I due che hai messo in evidenza hanno in comune la luce dopo il buio. È mia abitudine farlo, dare sempre speranza specialmente quando si tratta di temi importanti. Mi piace trattare questi temi perché li sento vicini più di altri, indipendentemente dal mio vissuto.
Fantastico il finale!
Ciao, mi fa piacere che ti sia stato di gradimento il mio finale.
Mi sento di farti i complimenti. Hai avuto molto coraggio a tirar fuori periodi così lunghi inanellando frasi separate solo da virgole. In tutta franchezza ci sono punti in cui non proprio è tutto corretto, o se lo è magari potrebbe far insorgere qualche dubbio.
Ma il senso emerge bene nella lettura e quindi passi.
Ora il mio umile consiglio: perfeziona questo stile nuovo, rileggi ogni passo, non accontentarti. Dove la grammatica limita, superala con la parola. Ma che sia quella giusta.
Il significato è profondo e ben reso. Si avverte che c’è partecipazione.
Molto bello. Sono rimasto sorpreso dallo stile, proprio una sorpresa.
A presto.
Grazie Roberto per il tuo apprezzamento e per il tuo prezioso consiglio che prenderò sicuramente in considerazione.
A presto per altri confronti e consigli su come migliorarsi.
Un antico proverbio (credo di Confucio) recita: “Abbiamo due vite. La seconda comincia quando ci rendiamo conto di averne solo una”. Credo che il tuo brano incarni pienamente queste sagge parole. Tutti noi siamo prigionieri di noi stessi, delle nostre convinzioni, delle abitudini. Alcuni di noi riescono a liberarsi.
Grazie delle tue parole, sono contenta di avere reso chiaro il mio pensiero in questo racconto. Così che tu hai potuto bene interpretarlo con il giusto significato.
“Io prigioniera della mia vita, io prigioniera di me stessa”
Questo passaggio mi è piaciuto