La rosa dei venti

Serie: Genio sovraumano


– Vieni ragazzo, devi vedere assolutamente una cosa che mi appartiene e che tanto tempo fa misi qua.

Nicaor si avvicinò all’altare percorrendo lo stretto corridoio laterale e si posizionò in prossimità del vertice alto dell’abside. Ai piedi della piccola pagoda, su una mattonella arancione di circa una metrata, era impresso il simbolo della rosa dei venti.

– Le vedi le quattro punte più grandi? Sono i quattro punti cardinali : Nord, Sud, Ovest, Est e corrispondono ai quattro venti di: tramontana, levante, mezzogiorno e ponente.

Anche in quel diagramma ad otto raggi, chiaro simbolo marinaresco, si leggeva un elemento di rottura sul tema religioso dell’ambiente circostante, ma non se ne ricavava bene il senso. Perché l’avevano messa lì? E poi perché su una piastrella arancione, proprio nel mezzo di un lastricato bianco? Nicaor negli anni era diventato un tipo analitico e certi particolari non gli sfuggivano più. Sono piccoli dettagli che, frammentandosi nei mille rivoli di una complessità più estesa spesso non risaltano, ma sono proprio i dettagli che accendono l’immaginazione dell’osservatore attento e Nicaor un po’ per attitudine ed un po’ per necessità ormai lo era diventato. Aveva trascorso troppo tempo arrovellandosi il cervello su quella questione; aveva anche interrogato qualche libello sulla chiesetta di San Doimo, cercandovi invano qualche traccia, ma non aveva trovato informazioni al riguardo; per lungo tempo era rimasto un mistero.

La rosa dei venti non doveva starci in un posto ricolmo di simbolismo religioso come quello, eppure c’era e un motivo doveva pure esserci. Nicaor adorava risolvere enigmi, ma quello non sembrava avere spiegazioni plausibili, almeno secondo il ferreo pragmatismo di una relazione causa effetto: era su una mattonella arancio chiaramente posticcia, per cui chiunque ce l’avesse messa, l’aveva fatto sradicando la pavimentazione esistente; ma anche nel caso fosse andata così, perché mai avrebbe dovuto farlo? Che cosa avrebbe voluto dimostrare?

Dopo tanto ragionare giunse alla conclusione che doveva essere stato lui stesso a mettercela, perché a pensarci bene si ricordava così, e su questo convincimento fondava la sua spiegazione del perché alla fine fosse finito proprio a Split in un monastero diroccato, invaso dagli sterpi e battezzato ad un Santo martire, per svegliarsi ogni mattino al rintocco del gallo.

– Hai mai sentito parlare della metempsicosi Dejan?

– Sai cos’è la trasmigrazione delle anime?

– E’ una dottrina troppo affascinante solo a pensarci e siccome è indimostrata ed indimostrabile scientificamente io l’ho rimodulata un po’ alla mia maniera.

– Te la faccio semplice.

– Io qui ci sono già stato…….

Dejan lo osservava interdetto ma complice. Aveva intuito dove voleva parare. La sua visione gnostica in un certo senso lo sosteneva. Si poteva credere che in fondo la materia fosse solo un contenitore e che lo spirito al termine di alterni passaggi sotto variegate forme viventi, si librasse verso l’orizzonte infinito del tutto ammantato di tutto.

Nicaor si ricordava di esserci già stato in quella chiesetta e quella rosa stellata secondo lui non era altro che un ponte tra la sua dimensione passata e quella attuale. Un segno per riconoscersi e tornare. L’esistenza non è altro che un eterno ritorno al futuro, un confuso andirivieni di corsi e ricorsi sintetizzati nel tempo presente.

Ci sono posti in cui si ritorna per esserci stati, posti lontani ma vicini, tanto vicini da riconoscerli casa. Quel monastero su quel dirupo, una volta era stato casa per l’anima di Nicaor e naturalmente era tornato ad esserlo. Non sapeva come, non sapeva quando, ma almeno alla fine aveva capito perché.

Pure Dejan la vedeva così, ma a dire il vero, nessuno prima di allora gliel’aveva confermato. Anche lui incominciava a pensare a Nicaor come ad un amico.

– Lo sai che ti credo? Disse Dejan saltellando qua e là sulla mattonella arancio metallizzata.

-Ti credo perché anch’io ho spesso la stessa sensazione.

– A volte, raramente, mi capita una cosa strana.

– Come un flash di una frazione di secondo che mi ricorda di averlo già fatto o di esserci già stato.

– E’ come una cartolina che mi sbatte in faccia e poi si dissolve, ma per il poco tempo che dura è vera, assolutamente plausibile, anzi certa.

– Poi dimentico il perché.

– Gli scienziati della mente lo chiamano dejavù, lo incalzò Nicaor.

– Per loro è come un reset del cervello, assolutamente spiegabile, niente di strano.

– Ma hai ragione tu, qualcosa c’entra con questo.

– Se sei stato tu a mettere quella mattonella? Perché c’hai disegnato la rosa dei venti? Non potevi metterci la tua faccia? O che so, qualcosa di più riconoscibile? Qualcosa che ti facesse ricordare in fretta?

Nicaor gli sorrise con fare paterno; i suoi modi al contempo gentili e risoluti, conditi da una certa vena creativa, stavano facendo breccia nel cuore del ragazzo, che a poco a poco stava tornando ad assaporare il gusto di interessarsi alle cose.

– Vedi Dejan, se ci pensi bene, non c’è un simbolo o un’immagine più riconoscibile della rosa dei venti.

– Serve giusto a questo, ad orientarsi nel mondo, a riconoscersi in un certo punto, in un certo momento. La usavano i marinai quanto ancora non esistevano le cartografie e questi sistemi di navigazione moderni. Quello che bastava conoscere per veleggiare in mare aperto, erano i punti cardinali e la direzione dei venti.

– La nostra esistenza è proprio come quella di un vascello che, prima di approdare in un porto sicuro, incontra le distanze dei mari e le influenze dei venti: a volte negative e a volte positive, ma in ogni caso deve saper cavalcare le onde.

– Se ripenso alla mia povera anima, penso ad un lungo viaggio. Un viaggio che ha attraversato specie, mondi ed epoche diverse. Un viaggio fatto di partenze e spesso di ritorni. Qui ci sono già stato e questo simbolo me lo testimonia, il perché ci sia dovuto tornare lo chiederò all’infinito.

Serie: Genio sovraumano


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