La scia dei pesci argentati

La strada era stretta e le persone passeggiavano incuranti del traffico. Si proseguiva a passo d’uomo e il conducente dell’auto che mi precedeva aveva deciso di fermarsi a chiacchierare comodamente, senza preoccuparsi della fila che si stava creando.

Mi guardai indietro per vedere quante macchine avrebbero suonato il clacson furiosamente, sospirai profondamente quando vidi che non c’era nessun altro dietro di me. Senza togliere gli occhi dalla strada cercai nella mia borsa un fazzoletto per asciugarmi il sudore dalla fronte. Rovistando a fondo avevo quasi acchiappato l’unico pacco di kleenex nella mia borsa quando la macchina davanti si mosse, finalmente. Oggi sarà un casino parcheggiare. La mia fortuna fu che l’attesa fece liberare un posto poco distante, esultai quando mi accorsi che il ‘chiacchierone’ non lo aveva notato. Così ingranai la prima e dopo pochi metri e qualche manovra parcheggiai la mia auto, spensi il motore, abbassai lo specchietto per darmi una controllata.

Rivoli di sudore scendevano dalla fronte e dal collo, agguantai il fazzoletto agognato e mi asciugai guardandomi intorno per vedere che nessuno mi notasse. Odio guidare, odio guidare, odio guidare.

Con la borsa in mano e un’aria trionfante mi recai saltellando verso il mercato.

Ogni venerdì era un rito ormai, un giretto al mercato era d’obbligo, anche se ritornavo a casa a mani vuote, non andarci non rientrava tra le opzioni, solo un malanno mi avrebbe fermata.

Imboccai il viale che apriva il mercato settimanale, un centinaio di metri di rettilineo per poi finire in una piazzetta di forma trapezoidale. Le prima bancarelle vendevano frutta e verdura e i cibi cucinati al momento, ogni banco era pieno di persone che sgomitavano per farsi largo e parlare con il rispettivo venditore. Sembrava una lotta per la sopravvivenza, se non si fossero fatti spazio conquistandolo a furia di spintoni non si sarebbero potuti accaparrare la migliore mercanzia. A seguire si trovavano sempre dei furgoncini che vendevano salumi e sott’aceti e il pescivendolo. Ogni volta passarci davanti era un tripudio di fetore, si mescolavano gli odori e il risultato non era piacevole, avrebbero dovuto pensare di distanziare le due postazioni in modo che camminarci affianco non divenisse una tortura.

Le grandi vaschette di plastica esponevano olive, pomodori secchi, peperoni, carciofini e altre prelibatezze, in ognuna di essa c’era una paletta di acciaio per servire i clienti. Distante poco più di mezzo metro si trovavano i grossi contenitori di polistirolo che esibivano i tranci di baccalà salato. Ho sempre storto il naso vedendolo, spesso lo lasciavano al sole a riscaldarsi oppure messo al limite del tendone quando le giornate erano umide a prendersi qualche goccia di pioggia. Avrei potuto pensare che non fosse esposto solo il baccalà ai rischi delle lunghe soste all’aperto, però guardando le altre cibarie mi sembravano venissero considerate con più dignità.

Davanti al pescivendolo erano in tanti a fare la fila, una signora con i capelli canuti e la schiena ricurva aveva le mani piene di sacchetti di plastica, trafficava con le mani nella sua borsa di pelle marrone in cerca del portafoglio, il venditore aspettava il denaro reggendo dei cartocci, la donna gli offrì il denaro e prese gli acquisti fatti. A causa dei troppi sacchetti uno dei cartocci le sfuggì lasciando a terra una scia di piccoli pesci argentati.

Mi precipitai a darle una mano rendendomi conto che, chi come me aveva assistito alla scena, non aveva accennato a fare un passo.

“La ringrazio signorina, lei è davvero molto gentile” disse la signora,

“Si figuri, chiunque avrebbe fatto lo stesso” risposi mentre le guance mi si coloravano di rosso sentendo tutti gli occhi puntati su di me.

“Oggi mio marito mi ha chiesto le alici fritte, è da tanto che non gliele preparo, è a dieta, così da quando il dottore gli ha vietato i cibi fritti non le ha assaggiate più. Siccome sta facendo il bravo e segue tutte le indicazioni del medico ho deciso di fargli questo regalo, ma si vede che non è giornata”.

Alzai lo sguardo e vidi i suoi occhi velarsi, la donna che accompagnava il venditore, sua moglie probabilmente, si accorse dell’incidente e il suo viso si addolcì ascoltando l’anziana.

“Signora lasci stare, ora vengo a pulire io”, si armò di scopa e paletta e poi rivolgendosi all’uomo, “dammi mezzo kilo di alici e fammi un cartoccio”. Lui la guardò sorridendo e le porse un cartoccio che stava già per chiudere. Fecero felici quella dolce signora e io, spettatrice del lieto fine, proseguii per girare il resto delle bancarelle.

Continuai a camminare, ma ero rimasta sorpresa dal gesto che avevo appena visto, scorrevo gli stand con gli occhi, ma la mia mente era ancorata alla buona azione del pescivendolo e della moglie, e ciò che ancora più mi inteneriva era che la coppia che aveva donato le alici all’anziana, si erano capiti con uno sguardo e senza neanche una parola, l’uno aveva eseguito i pensieri dell’altra.

Non comprai niente, tornai a casa senza acquisti ma ricca di buone azioni e di amori incondizionati.

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