
La stufa
Serie: L'Urlo Muto delle Ombre
- Episodio 1: La stufa
- Episodio 2: Matilde
- Episodio 3: Spazzino in quattro – 1
- Episodio 4: Spazzino in quattro – 2
- Episodio 5: Il cielo cova la neve
- Episodio 6: Controllori
- Episodio 7: Hell’s Tie
- Episodio 8: L’orologiaio
- Episodio 9: Pieno di benzina
- Episodio 10: Il getto
- Episodio 1: La cena (Attimi – 1)
- Episodio 2: Caffè in cialde (Attimi – 2)
- Episodio 3: Acque invernali (Attimi – 3)
- Episodio 4: Cappio (Attimi – 4)
- Episodio 5: Preferisco la tua cucina (Attimi – 5)
- Episodio 6: Gabriel (The Scarecrow – 1)
- Episodio 7: Gabbiani (The Scarecrow – 2)
- Episodio 8: Rivelazione (The Scarecrow – 3)
- Episodio 9: Agatha (The Scarecrow – 4)
- Episodio 10: Le conseguenze (The Scarecrow – 5)
- Episodio 1: Salsa barbecue? (1)
- Episodio 2: Salsa barbecue! (2)
- Episodio 3: Gelatina (1)
- Episodio 4: Gelatina (2)
- Episodio 5: Gelatina (3)
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
Dino si chinò posando la legna sul pavimento. Aprì lo sportello della stufa e inserì due tronchi nell’imboccatura. Alla televisione, uno spot natalizio promuoveva un nuovo modello di friggitrice ad aria, a soli centocinquanta euro.
“An gh’è mia di bèsi” brontolò mentre si puliva le mani.
Suonò il campanello. Si affacciò alla finestra nascondendosi dietro alle tende, scostandole leggermente per vedere chi fosse. Era suo cugino Gerardo. Dino indossò la berretta e uscì di casa.
“Aghè fret! Come va la pensione?”
“Sì, ho sentito che fa freddo, ma ti ricordo che sono in pensione da vent’anni” disse Dino avvicinandosi.
“Vuoi entrare?” disse Dino notando la condensa uscire dalle loro bocche.
“Sì, gradirei molto” disse, poi indugiò un attimo pensando. “Aspetta” disse. Dino lo osservò camminare fino alla macchina, aprire e richiudere la portiera del passeggero. Nella mano sinistra una bottiglia di vino.
“Questa è per avermi sistemato il portone…” disse, e ancora una volta si interruppe per pensare. “Credo che fosse due o tre anni fa. Mi dicesti che non volevi nulla ma così non mi piace, il tuo lavoro lo hai fatto.”
Dino non aveva mai aggiustato portoni, porte o qualsiasi tipo di serratura. Non in casa sua, né tanto meno in casa d’ altri. Quella bottiglia era probabilmente destinata a qualcun altro, ma si disse che se quel qualcuno era sopravvissuto per due o tre anni senza quel Barolo – ora che Gerardo si era avvicinato riusciva a leggerne l’etichetta – allora avrebbe potuto aspettare ancora. Gli piaceva il Barolo, e pensò che Gerardo avrebbe gradito un po’ di compagnia. Lui e Carla non avevano fatto in tempo ad avere dei figli, e per quanto ne sapeva non avevano nemmeno nipoti.
“Non avresti dovuto” disse aprendo il battente del cancello. Entrarono in casa
“Che bel caldino qui dentro.”
“Ho appena acceso la stufa” disse Dino introducendo Gerardo in cucina.
“La stufa?” chiese Gerardo sedendosi.
“Sì, questa” disse Dino indicando la stufa dietro di se. L’attrezzatura della sua cucina era riposta in due cassetti. Uno più piccolo conteneva un servizio di posate da 15 – quello con il manico in plastica, quelle belle le teneva in vetrina a prendere polvere – e uno più profondo in cui riponeva tutto il resto, vale a dire una schiumarola, cucchiai di legno e un coltello che non ricordava di aver mai usato. Il cavatappi era in quest’ultimo cassettone.
Si avvicinò al tavolo. Estrasse la lametta dal cavatappi e tagliò la carta che avvolgeva la parte alta del collo della bottiglia, sfilandola. Mentre richiudeva il coltellino e infilava la punta della spirale nel sughero, si accorse che i calici che aveva posizionato sul tavolo erano quelli dello spumante. Dino non era il tipo da lasciarsi andare al lusso, ma al vino ci teneva.
“Diaol balòs, ho sbagliato bicchiere” disse – più a se stesso che rivolgendosi al cugino – e raccolse i due flüte.
Gerardo non rispose. Sembrava assorto nei suoi pensieri, mentre fissava un punto che poteva essere la stufa a legna. Dino non tentò di riportarlo alla realtà, sapeva che ci sarebbe tornato da solo.
Percorse il corridoio fino al soggiorno, in cui dominava la vetrina in uno scintillare di porcellane e cristalli. I bicchieri del rosso erano nel secondo ripiano dal basso, tra le coppe per lo champagne e i calici del bianco. Ne afferrò due e ne soffiò via la polvere.
Tornò in cucina, dove trovò suo cugino ancora assorto in quell’espressione vuota.
“Gerardo!”
Gerardo si volse nella sua direzione con naturalezza, come se non fosse successo nulla. In lui però qualcosa era cambiato e Dino lo notò, sforzandosi di capire cosa fosse mutato in lui. Lo sguardo. I suoi occhi, che fino a qualche minuto prima sembravano brancolare nell’oscurità, senza nemmeno riconoscere il cugino che era stato al suo fianco da quando erano bambini. Ora erano gli occhi di un uomo perfettamente cosciente. In quel momento dicevano Allora cugino, cos’hai da guardarmi con quella faccia da ebete? Lo vuoi versare il vino sì o no?
“Anche noi avevamo una stufa a legna, in casa. Proprio come la tua” disse.
Dino sostituì i due calici da prosecco con i bicchieri da rosso. Li appoggiò sopra a un pezzo di carta assorbente, in caso qualche goccia fosse caduta.
“Sì, me lo ricordo. La usi ancora?” Lo disse stando attento a non usare il plurale. Stappò la bottiglia, e il pop si fuse perfettamente con lo scoppiettio della legna.
“No. Uso il metano” disse, e il suo sguardo si fece grave.
“Il metano? Hai idea di quanti soldi butterai nel cesso, con questo freddo?”
“Cinquecento euro. Come minimo” disse guardandosi le mani incrociate.
“Se va bene a te…”
“Non mi va affatto bene!” sbottò Gerardo, e per poco Dino non rovesciò la bottiglia.
“Che ti prende?”
Gerardo spostò lo sguardo da Dino alle sue mani, poi alla stufa e infine di nuovo sugli occhi del cucino.
Dino versò il vino nel bicchiere riservato a Gerardo. Sorrise leggermente alzando gli angoli delle labbra, vedendo che non gli era scappata nemmeno una goccia.
“Nulla. Ma dovresti smettere anche tu di usarla.”
“Se tu hai le tasche piene – cosa che dubito – mi sta bene. E anche se non le hai piene ma ti piace comunque fartele svuotare. Nossignore, nulla da obiettare. Ma io non ci sto. E poi, cosa ti interessa?” Stava iniziando a irritarsi.
Gerardo scosse la testa. “È per quello che è morta” disse. Pronunciò quelle parole con una tale disinvoltura da lasciare di stucco il cugino. Dino era sempre stato attento a non toccare l’argomento della morte della cugina acquisita, e ora quello se ne usciva parlandone come se stesse raccontando cosa aveva comprato al supermercato. Aspettò, nel silenzio rotto solo dal brontolio della stufa. Il suo calore iniziava a riempire la stanza. Quando parlò, lo fece con il contagocce.
“Non era stato un infarto? Nel sonno?”
“No, no…” sibilò Gerardo. “Mi ricordo. Esaurì le scorte di paracetamolo in una settimana. Stava sempre male.”
“Vuoi dire… Tachipirina?”
“Sì” disse. Guardava la stufa, gli occhi più lucidi che mai.
Dino si accorse d’un tratto di avere le ascelle sudate, e avrebbe provato imbarazzo se non fosse per il fatto che in quel momento sembrava non importargli di nulla al di fuori delle parole di suo cugino Gerardo.
“Non ti capisco.”
Lo sguardo di Gerardo si spostò di nuovo sul volto di Dino, con un movimento che aveva dell’automa. “Dopo che morì, iniziai a provare un mal di testa atroce. E vuoi sapere cosa iniziai a prendere? Per curarlo intendo” Gli occhi non si staccarono nemmeno per un secondo da quelli di Dino.
“Tachipirina?”
“Esatto. Ma non servì a nulla e anzi, peggiorava. Il mal di testa divenne emicrania nel giro di quindici giorni. E mi sentivo debole… ricordi che mi presi un mese di malattia?”
“Mi ricordo” rispose Dino. Aveva la bottiglia in mano e doveva ancora versare il vino nel suo bicchiere. Quello di Gerardo non era stato toccato.
“Poi inizia a capire. Era la stufa. Stava cercando di uccidermi, così come aveva fatto con Carla. Dopo due mesi dalla sua morte – se ti ricordi se ne andò che era fine novembre – decisi che era meglio starmene al freddo.”
Dino indugiò qualche attimo. Di nuovo silenzio rotto dallo scoppiettare del fuoco. Fuori dalla finestra saliva la nebbia, e il freddo mordeva. Dino si accorse che in cucina era calata l’oscurità. Accese la luce.
“Ma che diavolo stai dicendo?” disse tornando al bicchiere. Versò il suo quartino. Una goccia si trascinò giù per il collo della bottiglia. I due cugini la guardarono cadere nel vuoto e toccare il tovagliolo bianco di carta. Nel punto di impatto, una macchia rosso scuro si dipanò. Sembrava sangue.
“Diavolo!” disse Gerardo. “Non sono sicuro che la bottiglia fosse per te.”
Di nuovo lo sguardo assente, la voce talmente spensierata da far dubitare a Dino che la parte di conversazione di pochi minuti prima fosse realmente avvenuta. Come se Carla non fosse mai morta.
“In effetti non credo di aver mai riparato una porta a casa tua.”
“Quale porta?”
Dino si abbassò la zip del maglione che gli stava soffocando il collo. “Nulla.”
Bevvero due calici a testa, e tutto fu dimenticato. All’ora di cena, Gerardo e Dino si salutarono.
“Saluta Car… oh. Scusa, è il vino” disse Dino sulla soglia dell’ingresso.
“Non fa niente” rispose Gerardo, e per un momento Dino credette di aver intravisto nei suoi occhi una traccia di lucidità, ma se così fu durò pochissimo.
Dino richiuse la porta alle sue spalle e tornò in cucina. Mise le mani infreddolite sul ripiano rovente della stufa. Fuori faceva freddo e il calore della stufa sembrava chiamarlo, costringendolo a restare nelle sue vicinanze. Dal foro al centro degli anelli di ghisa si vedevano le fiamme danzare, un minuscolo cerchio incandescente. Si accorse che non riusciva a distogliere lo sguardo.
Gli girava la testa.
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- Episodio 2: Matilde
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- Episodio 4: Spazzino in quattro – 2
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- Episodio 9: Pieno di benzina
- Episodio 10: Il getto
Mi correggo, questo è il più disorientante ahaha. Ovviamente con un’accezione che va in accordo col genere che proponi. Hai mai letto Luigi Musolino? Questo detto e non detto ogni tanto mi ricorda lui; in ogni caso complimenti ancora per la precisa originalità, una dote sempre più rara.
Non conosco l’autore che hai citato, ma devo assolutamente recuperarlo! Grazie, anche per il complimento !!
Davvero coinvolgente l’atmosfera che hai creato, in bilico e quasi sospesa fra reale e irreale, o meglio surreale. Ti aspetti una tragedia e invece, quella, si è già consumata.
Mi fa puacere che ti sia piaciuto 😉
È esatto, il racconto gioca su quello che è stato e ciò che sta per accadere. E sul mistero che sta attorno
In questi racconti stai giocando più con le atmosfere che con gli eventi. Anche qui, il divario tra reale e irreale, tra lucidità e follia è un filo molto sottile.
Bello! 👍
Hai ragione, in questa raccolta prevale un orrore nascosto, che si percepisce senza mai vederlo chiaramente. Appunto come un’ombra, e da qui il titolo 😉
molto molto ben scritto. mi è piaciuta molto l’atmosfera sospesa tra realtà, e follia, lucidità e ragione che vanno e vengono, proprio come n preda a una perdita di sensi, proprio come deve accadere con il monossido di carbonio, o il vino? un equilibrio di mistero mantenuto fino alla fine. bravo!
Grazie davvero!
La stufa? La legna? O è semplice monossido di carbonio?
Ben scritto. Inquietante.
Il dubbio sulle cause della morte, così come sulla relatà o meno della natura maligna della stufa è voluta. Grazie, Giancarlo!
Non avevo dubbi su questo. Volevo solo comunicarti che l’intento è arrivato a buon fine.
L’orrore nel quotidiano… Notevole!
Grazie Antonio !