L’ABBANDONO
Chiuse gli occhi. Aveva maledetto ogni singolo giorno di quei nove mesi. “Adesso, dai spingi!”. Sentì quel dolore lancinante quasi come il segno tangibile della fine di tutto. Contrasse ogni muscolo del suo corpo e mise in quello sforzo tutta la frustrazione vissuta in quei lunghissimi giorni trascorsi. D’improvviso la avvolse il silenzio. Fu un attimo. “È un maschio!” Si sentì infastidita da quel pianto convulso. “Vuoi vederlo?” non ebbe il tempo di rispondere, si trovò quel viso di neonato ad un centimetro da lei. Girò la faccia dalla parte opposta.
“Signora, lei è in stato interessante. Auguri!” Sentì le gambe tremare e gli occhi le si riempirono di lacrime, il dottore la scambiò per emozione e le porse il referto con un sorriso comprensivo.
Uscì fuori. Il caldo umido la soffocò. Strappò con rabbia il foglio che aveva tra le mani, quasi potesse servire a strappare dal suo ventre quella creatura che, con prepotenza, vi si era insediata.
Possibile dovesse pagare così caro l’aver ceduto per una sera alle avances di quell’uomo bellissimo e sfacciato? Parlargliene era impensabile. Le avrebbe dato dei soldi per pagare il suo silenzio e proteggere la sua immagine specchiata di marito devoto e padre premuroso. Lei non avrebbe più avuto, invece, quell’illusione di dignità a cui ancora si appigliava.
Abortire. Era illegale ancora, ma c’era qualcuno che con pochi scrupoli e molti rischi l’avrebbe aiutata a farlo. Ci pensò, ma la sua vigliaccheria le impedì di mettere in pericolo la propria vita per liberarsi di quella che con ostinazione le cresceva dentro.
Mimetizzava la pancia ogni giorno più ingombrante con abiti larghi e molto poco femminili. Per fortuna, viveva da sola in quella enorme città in cui era fuggita da un paese ristretto in una mentalità gretta e priva di alcuna apertura verso il futuro. Spiegazioni non ne doveva a nessuno, neanche alla propria coscienza.
Entrò in quell’enorme palazzo su cui si aprivano decine di finestre a scrutarla dall’alto. Entrando, da dietro un’enorme porta a vetri smerigliati, le giunse il suono di voci infantili. La persona con cui parlò fu molto professionale: cercò, con estremo tatto, di indagare nella sua vita. Ma, comprese subito l’irreversibilità della sua decisione. Le spiegò per filo e per segno ogni trafila burocratica ed ogni frase includeva il verbo rinunciare.
Furono giorni di ostinato silenzio e fuga dai propri pensieri. Ogni tanto, in un gesto involontario, la sua mano si posava su quel ventre colmo di una nuova vita, ma la ritraeva immediatamente non appena se ne rendeva conto. Non poteva permettere che quel tremito che sentiva sotto le dita potesse contaminare il vuoto in cui aveva lasciato che galleggiasse la propria esistenza, sospesa fra il prima e dopo di quello che per lei era solo un incidente di percorso.
Gli ultimi mesi trascorsero tra giornate di pioggia e neve. Si era appena affacciata la primavera quando arrivò in ospedale. Ma c’era ancora un freddo glaciale.
Mise le sue poche cose nel borsone appoggiato sul letto. “Allora, hai deciso. Nessun ripensamento?”. Ci aveva pensato per così tanto tempo che la sua mente sembrava incapace di concepire ogni altro pensiero. Guardò l’assistente sociale che l’aveva seguita per tutto quel periodo. Non ci fu bisogno di rispondere.
“Non ha ancora un nome, tu ne hai in mente uno?”. Per sbarazzarsi di lei le disse un nome a caso, lo aveva appena letto su una rivista.
Fuori dall’ospedale un cielo grigio, da cui cadeva una pioggia fina, la sovrastó.
Si allontanò veloce da tutto quello che l’aveva portata fino a lì.
Nel tempo, le capitava di passare davanti a quel palazzo enorme con tutte le finestre che la scrutavano.
Ma, non si voltò mai a guardarlo.
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Grazie Tiziano, sei riuscito a trovare una chiave di lettura diversa da quella suggerita da me e altrettanto efficace per riuscire a percepire quelle emozioni nascoste proprio dietro un’apparente asetticità della narrazione.
🙂
Comincio col dire che questa storia mi ha scosso, mi è piaciuto leggerla e mi complimento con l’autrice, anche se la mia chiave di lettura si allontana da quella suggerita da Elena: non riesco infatti a intravedere il punto di vista del figlio abbandonato, non mi occorre questo espediente per cogliere l’aspetto emozionale di questa vicenda. L’emozione qui è forte perchè non è plateale ma si intravede in alcuni spiragli, in passaggi sottili, nelle finestre che scrutano come centinaia di occhi giudicanti; si intravede nella lucidità algida del gesto compiuto per sovrastare il proprio conflitto interiore e nella sovrastante pioggia fina di un cielo grigio. Lo struggimento della protagonista è tangibile perché la sua scelta (certamente non facile) la induce verso un pragmatismo freddo e arido. Brava Elena, mi hai colpito, grazie per questo racconto.
Non mi sento offesa assolutamente, non ho percepito polemica e, in ogni caso, le sono grata per aver dedicato del tempo a leggere il mio racconto. Ogni storia suscita reazioni diverse, io ho scritto una storia da un punto di vista forse difficile da comprendere. Tutto parte da una formula scritta sull’atto di nascita di chi è stato abbandonato: “nato da donna che non vuole essere nominata”. Per chi nasce così, quella donna può essere immaginata anche in questo modo. Ma, è solo uno dei modi, non il modo in assoluto. Lo stile scarno che sorvola volutamente sulle emozioni è assolutamente voluto, così come il lasciare percepire un giudizio negativo espresso da chi, però, è coinvolto in prima persona: l’abbandonato.
Vi suggerisco solo un approccio diverso alla lettura di questo racconto: immaginatelo raccontato dal bimbo abbandonato diventato adulto.
Mi spiace contraddirvi, ma il tema non è assolutamente l’aborto che nella storia è un elemento assolutamente marginale, non preso realmente in considerazione dalla protagonista, rispetto al tema unico vero punto focale: l’abbandono.
Vi assicuro che nel mio approccio c’è tutto tranne che leggerezza e distacco.
Buonasera Elena mi dispiace non volevo ferirla o essere polemica. Che il tema non è l’aborto, che non avviene nel racconto, è sempre stato chiaro.
E quando dico che non condivido non mi riferisco alla scelta di tenere o no un figlio, abortendo o abbandonando. Ho le mie convinzioni ma non giudico scelte diverse.Quello che non condivido è il Suo scrivere di questo, non arriva niente di tutto quel marasma (perdoni il termine, ma non sono una scrittrice)di sentimenti , emozioni , paure scatenate dalla situazione raccontata.
L’ho letta per caso, come ho letto oggi altri racconti .
Mi dispiace , Le auguro una buona serata, tornerò a leggerLa
Tema delicatissimo trattato con molta leggerezza come donna non posso condividere
Tema ostico l’aborto e che nonostante tutte le leggi e le varie libertà personali di azione e pensiero, rimane attuale e ugualmente delicato e grave come argomento.
Io spingerei di più sul perchè lei proprio non lo vuole questo figlio, per rendere meno freddo e meccanico il senso di rigetto che la protagonista ha verso la propria gravidanza.
Il racconto apre a molte riflessioni e argomentazioni, brava, come ti dicevo io ci aggiungerei ancora un pizzico di emozione in più!