L’ABITATORE

Acquistò un campo vasto e piatto, esposto al sole da ogni lato.

Non per sfruttarlo, ma per contenerlo.

La proprietà, in sé, non lo interessava affatto: ciò che cercava era una forma che potesse esaurire l’idea stessa di capienza.

In città si diceva che fosse il terzo uomo più potente del mondo, uno di quelli talmente ricchi da non apparire nemmeno nelle classifiche ufficiali.

Assieme a lui, inseparabile, stava sempre una signora allampanata, non più giovane, di una sensualità che sembrava uscita dal sogno erotico di un prete morente.

L’ipotesi che quella donna fosse sua moglie venne smentita quasi subito: era l’architetto.

Lì sopra, infatti, su quel terreno brullo alle porte della città, l’uomo edificò una sola casa: enorme, elementare, senza orpelli.

La costruzione copriva quasi tutta l’area del terreno, tranne che per una striscia sottile d’erba lasciata correre lungo il confine, così da marcare il limite tra ciò che era incluso e ciò che restava fuori.

La facciata era liscia, spoglia, come se la casa ricalcasse l’idea più comune che di essa esistesse.

Al centro, quasi invisibile, s’apriva una porta minuscola: proporzionata per un uomo, sproporzionata nell’insieme.

In alto, sparse con regolarità ossessiva, si stagliavano enormi finestre quadrate, dalle quali s’intravedevano i volumi interni: geometrie più piccole, simili alla casa nella forma, ma minori nella dimensione.

Si capiva che dentro c’erano altri edifici, enormi anch’essi.

Profili di tetti, pareti nude, finestre dentro ad altre finestre, che si sovrapponevano come riflessi infiniti in una struttura specchiante, frattale. 

Guardare in quelle vetrate provocava una strana vertigine, come osservare un’immagine che precipitava in se stessa, senza fine.

Entrando, ci si trovava di fronte a un’altra casa.

Una costruzione autonoma, completa, grande quanto un quartiere, ma perfettamente inserita nel primo involucro.

Dentro questa, un’altra ancora, delle dimensioni di un isolato. E così via.

Ogni dimora era inglobata nella precedente, come sottopelle.

Ciascun livello ripeteva lo stesso schema, con sempre maggiori dettagli, quasi fosse un’idea che si rifinisse ogni volta che la si tentava di formulare con più esattezza.

Il giorno dell’inaugurazione, l’uomo entrò da solo.

Varcò le soglie una ad una, senza fretta.

Passava da una casa all’altra, come si passa da un concetto generale a uno specifico: sempre più aderente, più delimitato, più vivibile.

Non ambiva alla bellezza, né a un rifugio: rincorreva il limite ultimo dell’abitabilità, la forma minima ancora in grado di contenere l’umano senso dell’abitare. Il confine più prossimo alla corporeità.

Lui conosceva già quella forma, ma sentiva il bisogno di provare ancora il brivido della ricerca, il senso del mistero che solo lo smarrimento poteva dare.

Giunse così a una villetta, collocata nel cuore stesso della struttura – come d’altra parte lo era ciascuna di quelle case. Di fronte a sé trovò un piccolo giardino e finestre proporzionate, finalmente.

Qualche eccesso, tanto arredo.

Al suo interno stava un edificio più piccolo, e poi altri ancora, di un barocchismo vertiginoso, sino ad arrivare a una casa di bambola gravida di centinaia di altre microscopiche e mostruose dimore.

Sedette sul retro, accanto a una siepe bassa.

L’aria non circolava in quell’interstizio, ma la cosa non gli pesava.

Lì, più che altrove, l’abitazione coincideva con l’idea che se n’era fatto.

E per lui era sufficiente.

Avete messo Mi Piace7 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “ciò che cercava era una forma che potesse esaurire l’idea stessa di capienza.”
    Mi ha colpita da subito questo passaggio. Sommato alla ricchezza dell’uomo e alla frase finale mi ha permesso di leggere il racconto dal punto di vista proprio del verbo che usi, soddisfare. Come se quest’uomo possedesse già tutto, o comunque molto, se davvero è ricco questa casa non viene costruita per necessità. Rispecchia un nodo di essere, uno stato dell’animo, un tentativo di abitare ciò che siamo o vorremmo essere. Dicono che i soldi non possono comprare tutto, soprattutto la parte di noi legata all’essenza. Ma mi è sembrato che quest’uomo stia esattamente provando a dimostrare il contrario.

    1. Ciao Irene! Grazie mille per la lettura e per il commento approfondito!🙏🏻 In effetti la casa del racconto sembra essere un enorme capriccio dell’uomo ricco. Un’espressione di potenza. Beh, sarò cinico, sarò materialista… ma mi piazzo direttamente in cima alla lista di quelli che sostengono che i soldi fanno la felicità 😂

  2. Le vertigini sono venute anche a me (in senso positivo) immaginando di entrare nella casa e poi in quella al suo interno e poi in un’altra ancora. Te lo dico sempre e continuo a ripeterlo: sei un genio! Voto questo racconto per la prossima pubblicazione della rivista Librick (si può votare? Boh, io voto ugualmente 😅). Bravissimo.

  3. Un racconto ipnotico. L’idea di una casa che si ripete su se stessa, come una matrioska, è davvero potente. La scrittura è chirurgica, essenziale ma ricca di risonanze. Alcune frasi: “una casa gravida di altre case”, “l’abitazione coincideva con l’idea che se n’era fatto”, sono incredibili.
    Mi ha fatto riflettere su quanto cerchiamo, anche nella realtà, spazi che rispecchino chi siamo, o forse chi vorremmo essere.
    Complimenti, davvero!!

  4. Ho trovato la storia intrigante, anche se non son certo di averne colto il senso. Mi è parsa la rivisitazione di una favola dove un re voglia ricreare un suo personale universo e, a lavori conclusi si compiace del risultato. La morale, tuttavia, è incerta. Forse soddisfare l’idea di trovarsi (o ritrovarsi) in una “dimensione” da lui ormai distante. Grazie per la lettura

    1. Ciao Paolo! Grazie a te per aver letto questo racconto🙏🏻 L’ho scritto senza pensare a una morale, più per fissare una suggestione, un’immagine che avevo impressa nella mente.

  5. Mi piace l’idea e come ce l’hai proposta, sempre limpido ed efficace nell’esprimere. La prendo come un’allegoria della vita a cui tentiamo di dare una spiegazione razionale salvo poi ritrovarci, al suo termine, quasi vicini al punto di partenza. Bravissimo Nicholas!

  6. Queste abitazioni simili a matriosche sembrano rappresentare i vari stadi della grandezza acquisita dal personaggio. Si accumulano sulla sua pelle, ma poi finisce con il capire che da dove è partito, forse, era sufficiente a farlo stare bene. L’abitatore è un agorafobico che si perde nella sua stessa grandezza? Forse non avrò capito niente, ma quello che scrivi è molto intrigante, Nicholas.🙂

    1. Ciao Concetta! Grazie mille della lettura e del bel commento🙏🏻 Sono felice che la storia si presti a interpretazioni! Questa volta ho scritto sotto l’impulso di un’immagine, senza pensare a un possibile significato, lasciandomi sorprendere dall’idea pura🤗

  7. Buon giorno. Ho apprezzato molto lo stile: asciutto, trasparente, essenziale, cristallino. Tutte le inquadrature hanno una loro esattezza e traslucenza, apportando sempre più strati e risonanze alla tua narrazione.