l’atroce identità.

Serie: Il buio dell'anima


Mentre scendevamo avevo l’impressione di essere seguito, quando all’improvviso una mano fuoriuscì dai rovi e mi trascino dentro. L’unica cosa che vidi erano degli occhi indemoniati e una lunga lama di coltello. Quell’essere la stava abbassando su di me, quando Stefano gli volò addosso. Rotolarono nel sotto bosco in pendenza, scendendo a dieci metri da me . L’uomo vestito tutto di scuro aveva perso il coltello. Stefano si alzò prontamente per cercare di raggiungerlo, ma l’uomo lo afferrò per la caviglia. Il mio amico mi gridò di scappare e di chiamare gli altri. Mi rialzai in piedi con le gambe tremolanti e una sensazione di freddo e nausea. Incominciai a correre e a urlare come un ossesso per farmi sentire dagli altri. Sentii alle mie spalle un gemito sordo, come un grido strozzato. Raggiunsi il resto del gruppo. Purtroppo quando arrivai al loro cospetto, invece di spiegargli cos’era successo, mi misi a vomitare perdendo istanti preziosi. Quando lo stomaco fu vuoto, mi sdraiai supino madido di gelido sudore. Respiravo affannosamente ma non riuscivo ad articolare nessuna parola. Mi rigirai su un fianco per vomitare gli ultimi liquidi presenti nel mio stomaco.

“Oh, dov’è mio fratello?” chiese Vincenzo allarmato. Mentre mi sforzavo di rispondere, Stefano comparve con sguardo terrorizzato uscendo da un folto cespuglio.

I suoi vestiti e le sue mani erano intrisi di sangue.

Rimanemmo tutti agghiacciati da quella visione, e per un breve attimo, tutto rimase avvolto nel silenzio. Stefano cadde a terra. Vito fu il primo a soccorrerlo e con l’aiuto di Edo, se lo caricò in spalla. I più piccoli di noi,Vincenzo in testa, uscirono per primi dal bosco per raggiungere la strada e dare l’allarme. Vincenzo urlava e piangeva nello stesso tempo, e correndo all’impazzata andò a citofonare alla madre, che allertata dal pianto del figlio, in un attimo scese in strada. Mentre Vincenzo le raccontava, ansimando e piangendo, cos’era successo al fratello, la madre alzò lo sguardo sopra le sue spalle. Oltre lo spiazzo del distributore di benzina, a una distanza di trenta metri, riconobbe il figlio che veniva sorretto da Vito e Edo. Stefano, come per istinto si voltò verso la madre, e fu in quel momento, così mi raccontò poi Vito, che esalò il suo ultimo respiro. I due ragazzi, per non esporre il corpo alla mercé di tutti, lo depositarono delicatamente sul ciglio del bosco, dove lo raggiunse la madre che lo pianse con urla strazianti

Quello che successe subito dopo non lo ricordo con molta chiarezza. Rammento con grande sforzo, che l’intero quartiere era sceso in strada allertato dalle urla della madre di Stefano. Non so dopo quanto tempo scorsi i lampeggianti delle macchine dei carabinieri e dell’ambulanza, cani delle unità cinofile e forse anche il rumore di un elicottero che sorvolava la zona. Ma di questo ne ho un nebuloso ricordo, come immagini opalescenti.

Il funerale di Stefano si tenne quattro giorni dopo, e un enorme corteo accompagnò il feretro nella vicina chiesa di San Bernardo. Il dolore si respirava nell’aria e io ero il più colpito di tutti. Non ricordo per quanti giorni piansi, ricordo però che quell’episodio cambiò la vita di noi ragazzi che eravamo stati testimoni della tragedia. La famiglia di Stefano dopo pochi mesi si trasferì nel foggiano portandosi dietro il feretro del figlio ucciso. Io passai molti anni seguito da un analista: Vito e Edo, rimasero ossessionati da tutto il sangue di Stefano che aveva impregnato le loro carni e le loro menti. Quell’ossessione li fece cadere presto vittime dell’eroina. Di Edo, che si trasferì dopo qualche anno da uno zio in Germania, non seppi più nulla. Vito, a diciotto anni era sparito dalla circolazione. Si diceva che si fosse arruolato nella legione straniera.

Michele, Giuliano, Stainer, Mimmo, Andrea e altri, rimasero in via Alpignano fino a quando non si sposarono. Anche loro, ma per un tempo minore rispetto a me, vennero seguiti dagli psicologi dell’USL . Essi non avevano provato il terrore che avevo vissuto io. Tra di noi, in seguito, non si fece più cenno alla cosa, volevamo solo dimenticare, ma so con certezza che nessuno di noi ci riuscì; lo si percepiva dall’imbarazzo che provavamo quando ci si incontrava. Ben presto ci allontanammo gli uni dagli altri.

L’assassino di Stefano, nonostante la caccia all’uomo da parte delle Forze dell’Ordine non fu mai trovato. Io, che ero l’unico ad aver visto in faccia non solo la morte, ma il volto dell’assassino, venni interrogato diverse volte, ma non riuscii mai a darne una descrizione dettagliata; l’unica cosa che ricordavo era il suo sguardo diabolico che mi ossessionò negli anni a venire.

Oggi, dopo trentasette anni in cui l’incubo non ha mai smesso di torturarmi, credo di sapere chi fosse quell’uomo. Il volto che non ero mai riuscito a focalizzare, dopo l’incubo di stanotte s’è rivelato. Credo d’aver capito fin da subito chi fosse quell’uomo, ma la mia mente per l’incredulità e l’orrore, aveva rimosso quel viso. Un ricordo che stanotte, s’è rivelato in tutta la sua devastante drammaticità … l’assassino di Stefano era mio fratello.

Egli venne ritrovato impiccato una settimana dopo l’omicidio, nel bosco che ricopre il monte Musinè, a venti chilometri da dove avvenne l’assassinio. Gli inquirenti non misero mai in relazione quel suicidio con l’omicidio, e io, a breve giro di posta, mi ritrovai colpito da un’altra tragedia che all’epoca mai avrei immaginato esser così grande.

Rammento adesso un altro particolare a cui io, ignaro delle verità, non avevo dato importanza.

Mio fratello non si era unito al corteo funebre che partiva dalla casa di Stefano, e quando giungemmo all’altezza del portone del nostro palazzo, lo vidi allontanarsi in direzione opposta con un piccolo sacco nero dell’immondizia, che teneva vicino al suo fianco sinistro, per renderlo meno visibile. Lo rividi nel piazzale della chiesa, mentre caricavano il feretro di Stefano nel carro funebre. Adesso m’è chiaro il motivo della sua assenza; doveva cancellare le prove del suo orrendo crimine, ma non sempre è così facile ripulire la propria coscienza.

Solo ora riesco a capire quanto odio covasse mio fratello nei miei confronti. Egli, nella sua mente malata, mi riteneva il responsabile dei suoi ricoveri. Il vero obiettivo, ora lo so, non era Stefano, ma io. Doveva essere ricoverato la settimana successiva, ma lui aspettava l’occasione giusta per la resa dei conti, contro colui che vedeva come causa delle sue sofferenze. E fu quel giorno che si presentò l’occasione per mettere in atto il suo folle piano.

Aveva seguito l’incontro sotto il portone del nostro palazzo, dalla finestra della camera da letto dei miei che dava sulla strada. Io mi sentivo osservato, e per istinto alzai lo sguardo, incrociando il suo che sembrava più scuro della notte. Adesso capisco cosa passò nella sua mente; quale occasione migliore per eliminare la causa dei suoi problemi una volta per sempre. Il bosco, era un ottimo luogo. Mai avrei immaginato che arrivasse a tanto.

Questa mattina mentre pensavo a questa atroce verità che non riuscirò mai a rivelare ad alcuno, avevo pensato di farla finita. Il ricordo e il rimorso per Stefano, in qualche modo morto a causa mia, mi stavano spingendo ad un gesto estremo. Ma poi ho visto il viso di mia moglie e quello sereno di mia figlia che ancora dormivano, e non ho avuto il coraggio di abbandonarle.

Perdona Stefano, se la mia mente aveva rimosso il volto del tuo assassino, e perdona se non lo rivelerò mai a nessuno; d’altronde chi mi crederebbe? Chi crederebbe che un incubo, a trentasette anni di distanza, m’ha rivelato il volto della bestia che t’ha ucciso?

Spero ora, che tutto m’è più chiaro, che i miei incubi svaniscano per sempre, e che io possa finalmente incominciare a vivere senza più demoni nella mia mente. Sono conscio però, che il rimorso per la morte del mio amico, mi seguirà sempre come un’ombra oscura, fino a quando non avrò esalato il mio ultimo respiro.

Non so se riuscirò mai a perdonare mio fratello. Credo che abbia vissuto combattendo il mostro che era in lui, e che alla fine abbia prevalso quest’ultimo. Sono sicuro che il suo suicidio sia avvenuto in un momento di lucidità, e che quella fosse l’unica via per liberarsi dal male che era in lui.

 Oggi la schizofrenia, grazie a farmaci più mirati, viene controllata meglio che un tempo. Ma quello che più m’agghiaccia, è constatare quanto possa essere profondo… il buio dell’anima.

Serie: Il buio dell'anima


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Discussioni

  1. Credo che nella mente del protagonista avrebbe dovuto aleggiare una domanda: “Se non avessi dimenticato quel martello… come sarebbe andata?” A parte questo, complimenti, bella serie!

  2. Ciao Giuseppe. In effetti io mischio sempre realtà e fantasia. L’omicidio nasce da un fatto di cronaca a me vicino. Un mio concittadino fu ucciso barbaramente nel mercato multietnico di Torino il 15 ottobre del 2017. Una vicenda che ha colpito non solo la famiglia dello sventurato conoscente ma tutta la nostra comunità. La chiosa finale nasce da questo episodio.

  3. Ciao Claudio. L’ultimo episodio, ma in generale tutto l’impianto narrativo che hai messo su, ha annidato nella mia mente un dubbio: si tratta di una storia realmente accaduta o di sola fantasia? Oppure si tratta di una sorta di commistione tra le due cose? In ogni caso, la vicenda è stata raccontata egregiamente: la tristezza, quel “buio dell’anima” che menzioni alla fine, risulta quasi palpabile. Una storia in continuo crescendo che ti avvolge nella sua spirale, che ti cattura e non ti molla… sino alla fine. Complimenti.

    1. Ciao Giuseppe. In effetti io mischio sempre realtà e fantasia. L’omicidio nasce da un fatto di cronaca a me vicino. Un mio concittadino fu ucciso barbaramente nel mercato multietnico di Torino il 15 ottobre del 2017. Una vicenda che ha colpito non solo la famiglia dello sventurato conoscente ma tutta la nostra comunità. La chiosa finale nasce da questo episodio.

  4. Ciao Claudio, altro episodio condotto bene, e l’intera vicenda da te narrata mi è piaciuta, soprattutto per la forza emotiva che sei riuscito ad imprimere in ogni episodio, ma qui, in particolare, la tensione che scivola in disperazione è davvero palpabile. La nostra identità è nei ricordi, ma la nostra anima è affidata alla psiche e a tutta la sua complessità, smarrita questa, purtroppo smarriamo anche tutto ciò che siamo, non solo nella psicosi o schizofrenia, ma anche nella depressione o negazione in cui sono scivolati il tuo protagonista e i suoi amici. Ma la tua fantasia emerge nel voler usare il ricordo, negato dalla scissione, e mutarlo in evento onirico, il mezzo più forte per scardinare ogni chiusura, liberando il protagonista dal suo buio e trovando la via del perdono. Complimenti per il pathos creato e per le forti emozioni che mi hai trasmesso! Alla prossima, un saluto!

    1. Grazie Antonino, è sempre un piacere leggere i tuoi commenti che riescono sempre ad analizzare in profondità i miei racconti. Grazie ancora e a presto.

  5. Ciao Claudio, complimenti per la storia, oscura e trista ma molto ben raccontata. Non ho ben capito se nella realtà hai vissuto l’omicidio di un tuo amico spero con tutto il cuore di no.
    Al prossimo racconto

    1. Ciao Alesandro, mi fa piacere che il racconto ti sia piaciuto.
      L’omicidio prende spunto da recenti fatti di cronaca. Ed è una forzatura che ho voluto io.
      La scena del funerale invece è reale e risale alla morte del mio amico Michele ( il capo dei selvatici nonché mio miglior amico, deceduto giovanissimo per un incidente stradale)
      Altri aneddoti come l’ improvvisa fuga di un altro mio amico, legata a motivi che non posso citare, o il sucidio (non di mio fratello ma di un ragazzo che conoscevo) sono cose realmente accadute.

  6. Ciao Micol, come sempre riesci a cogliere l’esdenza delle cose; d’altronde la sensibilità è femminile. In questo racconto mischio molto realtà e fantasia. Il caso di schizofrenia non è inerente a mio fratello ma a una persona che conoscevo e che mai avrei sospettato. Finché prendeva i farmaci la cosa era tenuta sotto controllo, poi decise diversamente e la malattia si è poi palesata in tutta la sua drammaticità. Sono cose difficili da affrontare anche per i parenti per i motivi che tu hai ben descritto. Da qui la scelta di far ricadere la cosa sulla mia famiglia per meglio descriverla, immedesimandomi in un parente stretto. Anche questo nasce dall’osservazione di un altro caso di schizofrenia di un bambino che fa parte della mia infanzia: la vergogna che provava la famiglia e i giudizi della gente. Per mia fortuna, fin da bambino sono stato un acuto osservatore …ancora oggi non ho smesso di osservare ed essere curioso. Grazie per tuo commento. Un caro saluto

  7. Ciao Claudio, non so se anche questo tuo racconto nasce da un episodio realmente accaduto. In questo caso, cela una grande amarezza e un sentimento “sottile” nei confronti di altri “invisibili”: coloro che soffrono di una malattia mentale. Paura, naturale diffidenza. Il diverso provoca sempre disagio soprattutto quando lo vediamo come un pericolo che tristemente può rivelarsi reale. Quando si toccano questi argomenti, nello scrivere, si ha sempre timore di violare la sensibilità di qualcuno, ma tu hai saputo farlo senza ferire. Leggere e vivere direttamente quell’esperienza come parente è totalmente diverso: l’amore si mescola alla paura come ben espresso dal tuo personaggio. Per fortuna la farmacologia ha fatto passi da gigante, ma c’è chi combatte contro questo spettro ogni giorno. Spero davvero che i passi divengano balzi.