L’attesa del piacere è una sofferenza.

40 gradi all’ombra. Uscire dal bungalow aveva significato per Giulia provare la stessa esperienza di un pollo nel forno. Il vento sembrava l’aria calda del phon. Il sole bruciava nel cielo e non c’era uno straccio di nuvola che osasse oscurarlo. Ma tra quanti mesi arrivava l’inverno?

Giulia ci aveva anche provato a mettere un velo di fondotinta per coprire i brufoli. Persino una striscia di eyeliner, prima che si deformasse per il sudore. Aveva provato anche a vestirsi carina, ma non troppo: lui non poteva credere di averla già conquistata, anche se di fatto, era così. Dopo aver indugiato a lungo sul suo outfit, aveva mandato una foto alle amiche, aveva preso un profondo respiro e se ne era uscita di soppiatto.

Il tragitto per raggiungere il Melanconia, così si chiamava il locale, era stato un po’ come attraversare il deserto del Sahara, con la differenza che era in Sardegna. Quando da lontano aveva visto l’insegna si era sentita un po’ come un profugo che giunge a Lampedusa, grata per la fine della sofferenza. Peccato che per lei fosse appena iniziata.

Giulia attendeva quel momento da ormai un anno. Nonostante lo avesse atteso per così tanto tempo, ora avrebbe voluto continuare ad attendere. Non voleva scoprire di essersi illusa, di aver preso l’ennesimo granchio.

-Signorina, cosa desidera?- disse il giovane cameriere. Giulia si riscosse dai suoi pensieri, guardando il menù sul tavolo. Era ancora chiuso.

-Del te freddo grazie- disse lei tornando immediatamente al suo dilemma.

-Al limone o alla pesca?- insistette il ragazzo. Giulia lo guardò trattenendo un’occhiataccia.

-al limone- e finalmente venne lasciata in pace. In effetti, chiunque da fuori, avrebbe detto che Giulia se ne stava ormai in pace da diverso tempo: era arrivata mezz’ora prima e si era seduta nel tavolo migliore del locale, proprio quello sulla palafitta al riparo dai raggi solari. Il mare smeraldino sotto di lei continuava calmo ma inesorabile la sua danza. Le grandi vetrate erano aperte e la brezza marina le scostava leggermente i capelli cioccolato. Era il secondo anno che scendeva in Sardegna a fare le vacanze estive, e non era un caso. Se pensava allo stupidissimo atteggiamento che aveva avuto l’anno scorso, le veniva da ridere. Aveva insistito in qualsiasi modo per poter andare via in vacanza con le amiche, ma i genitori erano stati irremovibili. Anche l’anno della maturità lei sarebbe andata via con loro. In Sardegna non c’era mai stata prima di allora, quindi a sua discolpa poteva dire di non aver immaginato quanta bellezza si stesse per perdere. Ora era all’università e lei stessa aveva insistito per ritornare in quel posto, nello stesso identico villaggio turistico dell’anno precedente, qualcosa di inaudito per la famiglia Torvelli, che delle sue possibilità di viaggiare aveva fatto un vanto. Anche Giulia sarebbe rimasta perplessa quanto i genitori, se non fosse stato per un particolare: una spaventosa cotta per Marco Verzini. Ancora non si capacitava di come fosse riuscita a snobbarlo l’anno precedente.

Si erano conosciuti ad una delle tante feste organizzate dal villaggio. Avevano fatto subito amicizia, ma Giulia aveva capito dai suoi sguardi, dai suoi sorrisi, che forse lui avrebbe voluto qualcosa di più. All’epoca lei aveva in mente qualcuno il cui nome ora non ricordava nemmeno più, tanto era stato insignificante. Si erano scambiati i numeri di telefono, avevano fatto una passeggiata lungo la spiaggia l’ultimo giorno. Lui l’aveva baciata sulle labbra, sfiorandole appena, poco prima di salutarla. Poi era passato un anno. Lui le aveva scritto ogni tanto. Le commentava una foto su Facebook, rispondeva a una Instagram story. Lei aveva fatto altrettanto. Il problema era che la distanza aveva fatto sì che lei, con il tempo, si fosse invaghita di lui veramente. Marco studiava ingegneria al politecnico di Torino, mentre lei era una futura farmacista di Roma. Avevano di fronte a loro due vite e strade completamente diverse. Eppure si era resa conto che forse lei e Marco avevano tanto in comune. Avevano le stesse abitudini sane come fare sport, stare attenti al cibo, uscire con gli amici. Entrambi amavano viaggiare e leggere. Questi dettagli bastavano a Giulia per sentire di aver trovato finalmente qualcuno che la potesse capire. Poi si era resa conto che era in effetti proprio un bel ragazzo. Si era detta che subito non ci aveva fatto molto caso, perchè in fondo era presa da qualcun altro. Aveva passato in rassegna tutte le sue foto su tutti i social network esistenti. Aveva adoperato le migliori strategie da stalker e probabilmente ora lei sapeva più cose di quante ne sapesse lui di se stesso. L’unico problema è che non era la realtà quella. Le foto, i video, i commenti non le permettevano di capire come fosse lui davvero dal vivo. E se fosse stato uno sfigato, di quelli che camminano gobbi e non hanno nemmeno il coraggio di guardarti negli occhi? Non poteva essere. Ma non poteva essere sicura nemmeno al 100%. Era passato un anno ormai e non sapeva se effettivamente la sua memoria l’avesse tradita. Non sapeva nemmeno se poi quello che provava in realtà fosse sentimento oppure un misto di attesa-aspettativa, dovute alla delusione di quel primo anno di università. Non sapeva più cosa pensare, però quel giorno avrebbe finalmente risolto quel dubbio. Si sarebbero visti.

Si erano dati appuntamento e lei, da brava stratega, era arrivata prima. Aveva voluto scegliere con precisione chirurgica la sedia, la luce, la posizione migliore in cui presentarsi: fosse mai che lui pensasse di lei, quello che lei aveva paura di vedere in lui. Doveva essere perfetta. Solo così avrebbe potuto permettersi di giudicare quello che poteva rivelarsi una grandissima delusione. Mancavano ormai 5 minuti al fatidico incontro. Le possibilità erano poche: o si presentava il Marco a cui aveva pensato per tutto l’inverno, tutta la primavera e forse tutta l’estate; oppure si presentava la realtà delle cose e lei si sarebbe presa l’ennesima botta in testa. Passò quell’attesa snervante a cercare di capire come meglio fasciarsi la testa per evitare di rompersela.

Si rese conto in quel momento di avere ancora addosso gli occhiali da sole. Forse era meglio toglierli. Da bionda era nuovamente tornata mora e forse lui non l’avrebbe riconosciuta subito. Anche lui nel frattempo si era fatto crescere un filo di barba, oltre alla massa muscolare che sembrava aver messo su. Questo le avevano suggerito le foto, ma di più non poteva dire. In quel momento le arrivò una lattina di te freddo, con annesso bicchiere ricolmo di cubetti di ghiaccio. Stranamente sta volta fece caso a chi la stava servendo, una ragazza. Aveva un viso molto curato e dei lineamenti dolci, i capelli color caffè. Era la tipica bellezza mediterranea. Era intenta a guardare la cameriera quando il telefono vibrò. Il suo cuore perse un colpo. Era come se l’avessero appena chiamata in cattedra a fare l’esame di chimica organica con quello psicopatico di professore che si ritrovava. Su 100 che si iscrivevano all’appello, 20 ne passavano. I “graziati”, cioè coloro che passavano al primo colpo, diventavano leggenda.

Prese in mano lo smartphone e guardò la notifica. Per poco non fece un altro infarto. Il telefono le ricordava che doveva fare quel benedetto aggiornamento che si rifiutava di fare. Maledetto lui e anche Marco. Era in ritardo di un minuto.

Giulia stava scrollando il feed di instagram alla disperata ricerca di una sua notifica, una sua storia, un qualche di segnale di vita, quando qualcuno entrò nel suo campo visivo. Giulia non alzò nemmeno gli occhi dal cellulare. Era il cameriere di prima. Pantaloni scuri, camicia bianca.

-Non ho ancora terminato la lattina- disse lei continuando a cercare disperatamente una notifica.

Ad un tratto le arrivò un messaggio su Whatsapp. Controllò ed era lui. Panico.

“Voltati”.

Giulia in fibrillazione alzò di scatto la testa e si voltò verso l’ingresso del locale. Non vide nessuno. Delusa e confusa abbassò nuovamente lo sguardo sullo smartphone.

-E’ sicura signorina di non aver finito la lattina?- chiese il cameriere che era rimasto lì immobile. Giulia finalmente alzò lo sguardo in sua direzione. Stava per rispondere seccata, quando le venne un dubbio. Il giovane le sorrideva divertito, la testa inclinata e le braccia incrociate. La camicia da cameriere era arrotolata fino ai gomiti. Quel ragazzo di fronte a lei aveva dei lineamenti familiari. I capelli ricci castani, gli occhi color nocciola e le labbra fini. Aveva la barba, ma portava gli occhiali, non era particolarmente alto. Giulia con orrore capì di aver fatto una gigantesca e colossale figura di merda. 

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Discussioni

  1. Nelle questioni di cuore siano sempre un pò tutti acerbi e pasticcioni, l’ovvietà ci sfugge perchè ci proiettiamo nelle nostre pirotecniche fantasie, ansie, aspettative.
    Brava perchè rendi benissimo l’idea dell’attesa con i moti interiori di lei e complimenti a Giulia che vede nell’arrivare prima una strategia, io ad un appuntamento con un uomo non arrivo mai in orario, nel senso che è ovvio che io sia in lecito ritardo 😀

    1. Ciao Marta 🙂 grazie per avermi lasciato un commento! ahaha in effetti è vero, di solito per noi donne è lecito arrivare in ritardo, ma avevo bisogno di un escamotage per creare la situazione di attesa 🙂