Le Cascine di Firenze
Serie: Il resto di Firenze
- Episodio 1: Le Cascine di Firenze
STAGIONE 1
È inverno e quest’anno hanno deciso di mettere la ruota panoramica con la pista del ghiaccio a Largo Vittorio Veneto, proprio all’ingresso del parco delle Cascine. Tra i tanti obiettivi, combattere il degrado sociale rimuovendo la delinquenza e lo spaccio. Decido di fare due passi, ai tempi casa di mia madre era a venti minuti a piedi. Attraverso il Ponte alla Vittoria, inaugurato nel millenovecentotrentadue, nel decennale della marcia su Roma, in patriottica memoria della vittoria contro gli austro-ungarici alla fine della Grande Guerra. Curiosamente, in ogni sito web fiorentino che parla del ponte, la nozione al decennale fascista viene omessa. Forse l’averlo fatto brillare durante la ritirata tedesca nella notte tra il tre e il quattro agosto millenovecentoquarantaquattro ha aiutato a rimuovere quell’infame memoria.
“Fanculo i fascisti” penso al termine delle riflessioni storiche rimaste sospese nell’Arno. In Largo Vittorio Veneto è una festa. La ruota panoramica offre una visuale di Firenze completamente nuova; la pista del ghiaccio inghiotte intrepidi aspiranti atleti e sputa sogni infranti e lividi; i baracchini garantiscono cibarie invernali ben assortite: dalle autentiche empanadas peruviane (un grazie di cuore a tutta la comunità peruviana fiorentina che sa cucinare, mangiare e bere come si deve! Vi devo tante serate, quelle che mi ricordo), le auree caldarroste con vin brulé e i soliti troiai fritti nell’olio infinito.
Finito il breve tour etno-gastro-panoramico, entro nel parco per sedermi in una panchina. Lì due agenti della polizia municipale stanno facendo il terzo grado a due ragazzini e una ragazzina, che in quel momento avevano l’attività cerebrale concentrata nel far fruttare al meglio il poco THC appena assunto da una discutibile qualità di fumo, attività resa superflua dal rilascio di adrenalina con piedi piatti. La polizia ragiona, la gioventù si caca sotto. Giro la testa dalla parte opposta del parco giochi e sorrido di fronte all’ironia. Lo sappiamo tutti, è lì che il vero spaccio avviene. Mi chiedo cosa avrebbe detto Carlo Monni nella mia situazione, ritrovatosi ad essere una fermata della tramvia poco più in giù.
Durante l’estate dello stesso anno conobbi un ragazzo jamaicano, abitante delle Cascine, dalla voce profonda, dread sulla testa, africano anche nel suo inglese. Stavo tornando a casa, mezzo ubriaco e mezzo ubriaco, quando passando dall’eterno bar Leopolda a un’indecifrata ora della notte, preso da un attacco di fame da cibo spazzatura per tamponare l’alcool assunto, mi ritrovo accanto questo individuo che con invidiabile maestria nel riconoscere chi ha un’inutile generosità nel donare spese superflue, mi scrocca due vodka redbull. Una terza la prendo io. Una se la scola, l’altra se la porta nel parco insieme a me.
Dimenticatomi di non avere più metà sobrie e accortomi di aver tamponato l’alcool con altro alcool, vomito dietro un albero, a gattoni, attaccandomi alla sua caviglia, dopo esserci scambiati reciproche mani, bocche e cazzi. Ah, il prezzo da pagare di un fiorentino perfettamente inserito nella società per poter evadere dal mondo fasullo che lo circonda. Ah, il prezzo da pagare di chi non ha niente paragonato ai nostri standard. Mi svuoto, mi tira su, mi instrada verso Ponte alla Vittoria. Presumo di essere arrivato a casa, dato che il giorno dopo mi sono svegliato nel mio letto.
Mentre mi metto a cucinare un’improbabile quantità di pasta fredda mi ricordo il perché lo sto facendo: ieri sera, parlando, ho promesso di tornare a mezzogiorno portando cibo e acqua. Così è andata. A mezzogiorno arrivo nel parco. Lui era insieme alla sua ragazza, prende il suo cibo, la sua acqua e va a condividerla con lei. Non dice niente. Altri due ragazzi, uno italiano, Bolognese, l’altro marocchino di non so quale città, sono più socievoli. Gli dico che ho portato un po’ di cibo e bottiglie d’acqua, per chi vuole. Dopo aver rifiutato più e più volte svariati tipi di droga per ricompensarmi, rompiamo la barriera commerciale e ci sediamo tutti insieme, gratis, a mangiare e parlare. Mi ricordo che non avevano scarpe, i piedi gonfi, i vestiti vecchi e tutte quelle ovvietà di chi vive per strada. “L’unica differenza che c’è tra noi e te, amico mio, è la dipendenza” mi dice il ragazzo bolognese mentre gli si rigirano gli occhi all’indietro. Stavamo mangiando, parlando di casa nostra, da dove veniamo e dove andiamo, bevendo acqua, stando all’ombra degli alberi, con l’unica differenza che a loro, ogni tanto, gli occhi gli facevano il giro per osservarsi da dentro.
Serie: Il resto di Firenze
- Episodio 1: Le Cascine di Firenze
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