Le grotte di Gibilterra

Stava iniziando ad arrancare.

«Che fai, batti la fiacca? In marcia!».

Si ricordò di essere un militare e c’era sempre un superiore che glielo riportava a memoria con piacere.

Riprese a marciare con fierezza.

Il capitano annuì, compiaciuto. Tornò a guardare il resto della truppa.

Che strana truppa, però.

Erano tutti ufficiali e Jack era l’ultimo nella gerarchia. Finché c’era il sottotenente irlandese, poteva essere il penultimo, ma l’irlandese aveva avuto la bella idea di precipitare in un baratro un giorno o un’ora prima – non riusciva a ricordare bene quando: l’effetto delle grotte.

Svoltarono un angolo e Jack udì il capitano consigliarsi con un parigrado. «Possibile che non abbiamo ancora trovato nulla?».

«Abbi fede, vecchio mio. Il generale ha fatto dei calcoli, è sicuro che siamo vicini all’obiettivo».

«Certo, il generale». A Jack non sfuggì il sarcasmo. «Dovrebbe essere in pensione da un bel pezzo».

«Ma ha avuto l’idea della spedizione in queste grotte… e ricordati che ci siamo arruolati tutti volontari. Altrimenti ce ne saremmo rimasti in superficie, a fare servizio di guarnigione».

Jack non era d’accordo. Lui si era unito alla spedizione perché il generale – il solito, vecchio bulldog inglese – aveva promesso qualcosa di meglio del restare nel forte di Gibilterra: un’eccitante avventura che quelle di Jules Verne, il francese, erano nulla.

Avevano avuto tutti la stessa idea.

Ma il pentimento era collettivo, o quasi.

Jack era rimasto deluso già dopo pochi giorni, se non poche ore: buio, tenebre e oscurità, oltre che un gocciolare continuo e lontano. Le grotte di Gibilterra erano il regno della monotonia. Jack sarebbe volentieri tornato in superficie a supervisionare la pulizia dei cannoni e a punire quasi sempre gli artiglieri che non erano mai capaci di pulirli decentemente, forse ce l’avrebbe fatta a tornare. Forse.

«Ehi, c’è qualcuno» avvertì un maggiore.

Il generale parlò con la sua voce baritonale: «Che vi dicevo, amici miei: queste grotte sono abitate».

Un grosso «Oh!» si innalzò dal gruppo di ufficiali e Jack rifletté che forse, alla fine, avevano trovato qualcosa.

Non era una luce, figurarsi, neanche il gocciolare vicino da una stalattite, era una figura ingobbita.

Per un attimo Jack pensò a una sorta di bertuccia più grande del normale, ma si ricredette all’accorgersi che era qualcuno con le sue stesse dimensioni.

«Signori, abbiamo di fronte a noi un esemplare di Neanderthal». Il generale era solenne.

L’uomo di Neanderthal sollevò la clava, grugnì.

Il generale si fece avanti. «Mio caro amico, siamo ufficiali di Sua Maestà la regina Vittoria. Il Regno Unito di Gran Bretagna ti saluta».

L’uomo di Neanderthal lo fissò per un momento, gli picchiò la clava in testa.

Un gemito d’allarme percorse gli ufficiali, misero mano alle armi ma altri uomini di Neanderthal sbucarono dal buio.

Jack fuggì verso l’oscurità – forse avrebbe ritrovato se stesso… se non la morte.

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Discussioni

  1. L’idea è carina.Il punto di vista è Jack ma non siamo con lui.L’unica descrizione della grotta sono tre sinonimi di buio,ma qualcosa Jack vedrà,almeno quando ci passa vicinissimo, avranno delle torce,ci saranno riflessi e ombre quantomeno,qualche insetto,sentirà i passi dei compagni,toccherà una stalattite viscida di umidità,qualcosa. Il cavernicolo lo vede,come è fatto?cosa veste?😊
    Ho fatto una rapida analisi”da editor”del tuo testo,come esercizio nell’ambito della mia formazione personale,spero non offendere e fornire anzi qualche spunto utile,con umiltà e spirito costruttivo,ad maiora!Se ti interessa un’analisi più approfondita scrivimi in pvt,tanto x me,come detto,é un esercizio🙏

    1. Grazie, Cristiana! Mi sono ispirato a un documentario che vidi da adolescente, in cui si parlava del fatto che degli ufficiali inglesi organizzarono una spedizione nelle grotte di Gibilterra senza mai fare più ritorno