Le strade della solitudine

Serie: Genio sovraumano


Il ragazzo completò dormendo il ciclo delle ventiquattro ore e rinvenne il giorno seguente in preda ad un inconsueto ritorno di rabbia.

Dejan non era solito sfogare nell’ira i supplizi della vita. Quel mattino magari ne avrebbe avuto ragionevole motivo ed agli occhi dei più sarebbe parsa reazione se non consona, quantomeno comprensibile.

Vedendo quel ragazzo dimenarsi violentemente nel letto, Nicaor trasalì e per un attimo ebbe paura.

Gli sembrò che il suo viso stesse mutando come acceso da un generatore elettrico e i suoi tratti colmi di efebica leggerezza, cedere a più virili fattezze.

Il ragazzo si sentì improvvisamente animato da un inaspettato vigore che il logoro pagliericcio su cui giaceva a stento riusciva a contenere, ma un fu un solo attimo che dapprima mutò la sua collera in un moto ansioso, e poi in silenzio e cieca rassegnazione. Per la seconda volta in quei giorni Dejan si era sentito solo, veramente solo.

La solitudine è una bestia perversa. In realtà non è uno stato confacente all’uomo che è invero un animale sociale eppure, benché per natura non gli appartenga, spesso lo affligge facendolo sentire come un’entità avulsa dalla realtà circostante e in ciò lo annulla.

Soli con se stessi, soli in mezzo agli altri, soli lontani dagli altri, soli e basta. Ci sono tanti modi di essere soli. Tanti non accettano di rimanere soli e come conseguenza sottoscrivono un contratto con la compagnia, barattandone una sottilissima stilla, con il mare di una concreta solitudine. Starsene da soli è impegnativo, perché soli non si è mai. Rimane sempre la vicinanza della propria coscienza che ti sbatte davanti e che non si riesce a sopportare, quando è troppo dura confrontarsi con i suoi interrogativi. Molto meglio specchiarsi nella coscienza del vicino, nelle sue rassicuranti debolezze ed in questo, fuggire dalle tante domande sul chi siamo, perché lo facciamo, perché sbagliamo, perché a volte invece vinciamo. Starsene da soli vuol dire avere la forza di guardarsi dentro senza l’assistenza di sovrastrutture analgesiche: face to face, anima con anima. Quante risposte ti obbliga a dare la solitudine, troppe risposte che spesso si preferisce non dare, a fronte delle tante domande che si possono fare in compagnia. La domanda apre la porta, la risposta la richiude nella solitudine.

Non è mai una risposta quella che si cerca negli altri. Non si è mai troppo fiduciosi di trovare soluzioni negli altri. In compagnia si fanno troppe domande ma si ricevono poche risposte, viceversa in solitudine bisogna rispondere e basta; non ci sono domande da poter fare al proprio io più recondito, ma solo risposte da dare che quasi mai si hanno.

C’erano momenti in cui Dejan si sentiva molto vicino alla dimensione del nulla. In quei momenti non sei più un uomo ed è facile domandarsi: ma se non sono un uomo allora che caspita sono? Sono un pesce di lago in acqua salata, una tartaruga senza guscio, sono un angelo all’inferno. Comunque non sono un uomo tra gli uomini. Tante volte si era sentito così, inappropriato, come un prete sull’uscio di un bordello – “ci sono per non esserci davvero”. Quante volte gli era capitato di inciampare in qualche situazione, magari anche volutamente, per poi chiedersi, ma io qui che ci sto a fare? Proprio questo era capitato a Dejan: non doveva esserci in quel monastero dimenticato, non avrebbe dovuto appartenere a quella guerra che non aveva chiesto, che non aveva voluto ed in quella guerra, per quella guerra era rimasto solo in terra, come un diavolo sta in paradiso, come un prete sta sull’uscio di un bordello.

Mentre un rivolo di sudore solcava il suo volto, Nicaor, vinta l’iniziale diffidenza, fece per avvicinarsi brandendo un fiocco di cotone ricolmo di spezie refrigeranti. Il ragazzo di fronte al gesto dell’uomo dapprima ripiegò su se stesso in un moto di naturale sospetto, poi in preda ad un logico sfinimento, offrì le sue stanche membra alle caritatevoli cure dell’uomo.

“Eppure dovresti conoscermi”, disse nel tentativo di rassicurare il giovane.

“Possibile che tuo Padre non ti abbia mai parlato di me?” “Ah Sinisa….caro Sinisa..”

Nicaor immaginava, ma non osava chiedere al ragazzo quale sorte fosse toccata al suo caro amico. Come quando incappando nella tempesta, si cerca riparo in un luogo sicuro prima di uscire allo scoperto per rincasare, egli fiutava la disgrazia, ma per un po’ preferì non sapere non cedendo alla crudezza della realtà. Avrebbero avuto modo e tempo di confrontarsi ma non lì, non in quel momento. In quel momento c’era solo quel ragazzo, c’erano i suoi occhi e nei suoi occhi lo sguardo implorante di Sinisa:

“Salva mio figlio, salva quel che è rimasto di me…”

“Non ti conosco, perché dovrei conoscerti, chi sei? Dove sono?”

“Conosci mio padre, cosa sai di lui?”

Il ragazzo si mostrò da subito diffidente. Se da una parte avvertiva l’esigenza di assecondare la volontà paterna che in un gesto estremo di protezione, lo aveva indirizzato in quel luogo, allo stesso modo non poteva contenere il suo modo di essere istintivamente guardingo. Fin da bambino aveva dimostrato una naturale predisposizione all’autogestione.

“Anarchico sei un anarchico” era solita apostrofarlo sua madre Olga”.

“Quelli come te non fanno mai una bella fine…Ci vogliono delle regole, devi fidarti delle regole sono li apposta, devi saper ascoltare le persone, non avere la presunzione di sapere tutte le cose”.

Ma per Dejan quel “sono lì apposta” sapeva tanto di “sono li apposta per essere trasgredite”.

Dejan sapeva che in quella speciale circostanza difficilmente si sarebbe salvato contando sulle sue sole forze. La sua proverbiale autosufficienza avrebbe dovuto essere per un attimo accantonata. Del resto se Sinisa l’aveva indirizzato lì, qualche buona ragione avrebbe dovuto certamente esserci. E lui in suo padre e le sue “regole” credeva, in suo padre e nelle sue “regole” confidava. Ora più che mai, doveva lasciarsi andare e cosi fece.

“Sono Nicaor, ma tu puoi chiamarmi semplicemente Nik e sono un amico di Sinisa, che ad occhio dovrebbe essere il tuo Papà”

“Sei la sua replica…una somiglianza straordinaria, stessi occhi, stessa bocca….”

Fu proprio per lo strano gioco delle somiglianze con cui spesse volte la Natura si diverte a scherzare che Nicaor si trovava lì e fu così che per rompere il ghiaccio, prese a raccontargli di quella strana coincidenza che l’aveva condotto in quel vecchio monastero, in un’inafferrabile altalena di eventi favorevoli e sfavorevoli.

Serie: Genio sovraumano


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