Leland, di nuovo
Serie: Il dipinto sul muro
- Episodio 1: Il Castello V.
- Episodio 2: Cantine o sotterranei di ieri
- Episodio 3: Primo incontro e risalita
- Episodio 4: Leland
- Episodio 5: Mère
- Episodio 6: Leggenda
- Episodio 7: Il prima e il dopo
- Episodio 8: Di fronte al dipinto
- Episodio 9: Cantine o sotterranei di oggi
- Episodio 10: Leland, di nuovo
STAGIONE 1
Sapevo.
Sapevo che lo avrei trovato qui. Era una di quelle immagini che persistono nella nostra mente, anche se non ne conosciamo l’origine. Ci sono e basta. Da quando avevo iniziato a svegliarmi accovacciato di fronte al dipinto sapevo cosa avrei dovuto fare. Tentavo di nasconderlo a me stesso come un pensiero insensato. Tentavo, ma ogni volta la voglia di agire era più forte. Era un fatto che si potesse spiegare con la logica? “Ma se io avessi previsto tutto questo, dati cause e pretesto…” cantava mille anni fa un giovane uomo con la barba. Lo ricordate? Forse, ma non avete la forma mentis adatta neanche per immaginare cosa volesse raccontarci.
Prevedibile? Certo! La leggenda, un cane scomparso, un atto di pietà tardiva da parte del proprietario, forse per riparare nella sua mente il tormento causato alla figlia, o forse per nascondere il povero animale in un posto in cui nessuno avrebbe mai osato cercarlo, non fosse altro per evitare di danneggiare il dipinto, almeno finché lui fosse stato il padrone di casa. Le premesse, quindi, e le conclusioni abbastanza ovvie da essere previste. I sogni? Semplici segnali del mio inconscio che mi spingevano alla scoperta della verità, pensieri che il lavoro onirico mascherava come visite dei fantasmi della memoria.
La parte razionale della mente cercava di convincere tutto il mio essere.
Adagiai a terra quel che restava del cane e rimasi fermo a guardarlo per un tempo lunghissimo. La forza che esprimiamo quando siamo pervasi dal sacro fuoco della volontà stava scemando adesso che avevo raggiunto l’obiettivo, la prima parte dell’obiettivo. Mi sedetti con la schiena appoggiata alla parete e cinsi le ginocchia con le braccia. C’era un silenzio assoluto, dopo il rumore che avevo provocato fino a poco prima. Udivo chiaramente il fruscio del mio respiro, il ritmo del mio stesso cuore che stava lentamente tornando alla normalità, il brusio dei miei pensieri che si accavallavano senza un attimo di tregua. Avevo trovato Leland. Lo avevo trovato grazie alle mie intuizioni o forse grazie all’aiuto di Sofia.
Papà…
In ogni caso avevo superato una linea di confine. Un prima e un dopo. C’era stato un prima e un dopo Sofia ed Eleonora. C’era anche questo: prima di Leland, dopo Leland. Il cane non era più un’entità astratta, una vecchia leggenda contadina, una storia da raccontare davanti al camino e a una buona bottiglia. Era reale, era esistito davvero. E mia figlia lo aveva sempre saputo.
Grazie Papà.
Dovevo affrontare ancora una fatica prima di fermarmi e tentare di mettere ordine nei miei pensieri. Mi alzai e risalii ancora una volta dal luogo che un tempo avevo vissuto come un abisso. Quando ero ragazzo era stato Leland a salvarmi. Adesso avevo il modo di ricambiare. Mi diressi verso il capanno degli attrezzi, in fondo al giardino, e presi il necessario per scavare una piccola fossa che potesse ospitarlo. Poi scesi ancora là sotto, avvolsi il corpo dell’animale in una coperta e con tutta la delicatezza possibile lo portai fuori. Prima di seppellirlo volli rendere meno crudele il suo riposo eterno liberandolo dalle corde legavano le zampe tra di loro. Non so cosa sperassi, forse di potergli far assumere una posizione che non ricordasse quella di un sacco vuoto. E ovviamente non riuscii. Imprecai con tutta la mia anima contro qualcosa o qualcuno in grado di ascoltarmi, bestemmiai e chiesi scusa al nulla che era intorno a me. Perché in quel momento non ero davanti al corpo martoriato di un cane. Di fronte a me il ricordo sbiadito di due visi, due maschere che sbucavano dal bianco da cui erano protette. Il ricordo di quel giorno infame in cui mi domandai a cosa servisse Dio. Il ricordo che avevo sempre vissuto come avvolto in una sorta di nebbia che non mi permetteva di viverlo con tutta la mia anima.
Conclusi il mio lavoro scosso dal pianto. Mi gettai a terra, sull’erba che la notte rendeva fredda e umida. Rimasi disteso sulla schiena a guardare la falce di luna e le stelle. Poi chiusi gli occhi.
Grazie, papà!
Ancora la sua voce, la sentivo da tempo ormai. La ricordavo così e non avrei mai voluto dimenticarla. Era ovunque nella mia mente, non proveniva mai da qui o da là. Avrei voluto che dicesse altro, avrei voluto risponderle.
Papà…
Questa volta era dietro di me. Ci volle un po’ di tempo per riemergere dai ricordi e dai sogni. Ma notai la differenza. Mi alzai di scatto e mi voltai verso quel suono.
– – –
Lasciatemi prendere fiato, perché anche un morto ha bisogno di respirare ogni tanto. Se qualcuno di voi a questo punto decide di alzarsi e andarsene, piuttosto che ascoltare le farneticazioni di un’anima inquieta, è libero di farlo, così dovrò lottare con qualche persona in meno.
Niente, vero? Non ne avevo dubbi. Il potere dei soldi: posso raccontarvi ciò che voglio, posso farvi fare ciò che desidero. Posso decidere che da qui in avanti dobbiate ascoltarmi liberandovi di tutti i vestiti, mutande comprese. Lo farei, soprattutto nei confronti di chi venne farmi visita qualche tempo dopo il funerale indossando quella maglietta del cazzo con la scritta Live, Laugh, Dream. Davvero pensi ancora che non l’avessi notata? No, non dovrete denudarvi. Ma una cosa ve la chiedo. Forse vi siete accorti che quello che avete tra le mani è l’ultimo foglio. Significa che abbiamo finito? No. Non ancora. Il signore elegante davanti a voi vi darà un indirizzo, un giorno e un’ora.
Sì, un appuntamento a quell’ora, in quel giorno, a quell’indirizzo, che immagino conosciate tutti a questo punto. Vi chiedo di essere puntuali, e ricordatevi di cenare prima, perché non vi offrirò nulla, a parte un bicchiere d’acqua se lo chiederete.
Ci ritroveremo là. Nel frattempo controllerò che la casa sia in ordine, come l’avevo lasciata. Mi dispiacerebbe deludere le vostre aspettative.
Buona fortuna.
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