Ep 7: L’haboob di caffé nero nerissimo

Serie: Il maledetto cacciatore di fantasmi - with Lorenzo R. Gennari


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Con la tazzina di pregiatissimo caffè tedesco infranta sul pavimento, il fantasma della caffettiera ha perso del tutto ogni controllo. Irato, fa scoppiare una tempesta di caffé riducendo la cucina ad un deserto nero nerissimo.

In quel minuscolo, cucinino esplose una tempesta di caffè in polvere, nero come la notte e caldo come l’inferno. Se un uomo del deserto fosse transitato da quelle parti non avrebbe esitato a definirlo un Haboob. Una delle tempeste di caffè più potenti e aromatiche dell’ultimo millennio. Studiata ancora oggi dai ricercatori di tutto il mondo.

Fu coinvolto tutto il condominio ed i superstiti non avrebbero mai dimenticato, nemmeno volendo, il momento in cui le loro case divennero sature dal caffè, ed il momento in cui il suo aroma, così stupefacente, sarebbe filtrato così in profondità nei loro cervelli da scombinare ogni pensiero logico. In pochi istanti la frenesia li colse con grida di dolore ed estasi; urla di guerra, insulti importuni che si miscelavano con ulteriori odori, altrettanto spiacevoli.

Citando un grande uomo: “Nessuno avrebbe dimenticato quel tre luglio.”

Non gli restò che mettersi la maglietta sulla parte inferiore del suo grugno, mentre l’unico braccio buono arrancava sulla sabbia-caffè in cerca di uno spiraglio di calma dal vento per rialzarsi senza deglutire altra polvere. La cordiale Maria e Mario erano nella medesima e critica situazione, impegnati a discutere su quale dei due avesse l’onere di serrare la finestra per sopprimere il flusso d’aria che ha causato la conseguente tempesta di caffè..

Ma le loro voci divennero echi alle orecchie dello sbandato Eugenio. Riusciva a malapena a sentire i guaiti del proprio animale domestico. L’aria era equivalente alla cannella in polvere, e se solo i signori lettori conoscessero la cannella in polvere, saprebbero quanto essa asciughi il corpo umano. Dopo qualche minuto, il vecchio Eugenio era divenuto una spugna di mare in mezzo ad un deserto talmente vasto e cocente che il Sahara a confronto era paragonabile ad una lettiera per gatti. Necessitava di acqua, o qualsiasi cosa che fosse bevibile… tranne il caffè.

La vittima di questa storia non brilla per l’acume, ma brillo si, ed il caldo e l’aroma stimolante furono il catalizzatore per il baratro della follia. Ad un tratto vide delle figure dall’altezza simile agli gnomi con dei pesanti sacchi sulle spalle. Indossavano lunghe tuniche bianche che ammantavano i loro volti scuri di uomini del deserto. Cominciarono a borbottare in una lingua sconosciuta persino alla mente brilla che li aveva creati. Dopo di che, spiccarono una corsa.

Eugenio, accasciato a terra, dimenticandosi di essere ancora nella propria cucina, allungò uno sguardo colmo di desiderio verso di loro, anelando aiuto. Quei piccoli gnomi si chiusero intorno a lui con fare austero e, con somma pietà e compassione, tirarono indietro i loro sacchi scagliandoli con violenza sul povero e ignaro Eugenio, in una sinfonia spaventevole di scricchiolii alla schiena…

Quei sacchi parvero esser stati riempiti con quintali di cemento armato, fu un piccolo chicco di caffè d’oro accidentalmente caduto sull’arena di sabbia-caffè, a fargli intuire a cosa era data tanta solidità.

Questo dimostra che la ricchezza, o in questo caso l’oro, non danno la felicità, soprattutto quando ti viene schiantata sul dorso con accanimento. Solo Iddio poteva sapere se avessero resistito di più i sacchi o la schiena del vecchio Eugenio.

Nonostante l’implosione delle vertebre alla schiena, cominciò a strisciare lungo quel deserto contaminato: solo grazie ad una disperata pretesa di sopravvivenza, dovuta alla caparbia volontà di vivere dell’uomo. Una visione paradisiaca apparve davanti ai suoi occhi ciechi e disperati. La comparsa della sagoma rigida ed eretta del suo frigo, unico barlume nel tunnel, l’unico oggetto capace di riempire quel senso di vuoto intestinale e emotivo, che trasportava sofferente come una croce.

Vederlo fu come trovare una tabaccheria aperta a mezzanotte di Domenica.

Come ottenne il possesso del freddo manico, usò le ultime forze per flagellare i suoi giusti giudici e persecutori, ottenendo un frammento di respiro in quella calca. Lo spalancò sperando in qualsiasi cosa che potesse aiutarlo: un etto di prosciutto crudo scaduto da lanciare, una adamantina minestra pre-congelata, una bottiglia d’acqua stantia per dissetarsi.

Un dolore acuto si allungò alla sua caviglia inchiodando le ginocchia al pavimento. Non ebbe il coraggio di voltarsi. Uno di quei beduini doveva aver serrato le sue unghie e i denti intorno alla gamba. Ma quando si abbassò, gli parve davanti la soluzione ai suoi problemi, una decina di intonsi cartoni di latte alle mandorle, appartenuti alla moglie e lasciati invecchiare per decenni.

Il liquido interno non poteva che esser diventato così solido da fungere da arma, ma Eugenio, tra la vita e lo stomaco dette priorità a quest’ultimo: ne prese uno e lo spremette sul viso sperando in un‘azione risanante, ritrovandosi suo malgrado con una burrosa colata ammuffita, la quale si insinuava come le mani di un amante curiosa, tra i suoi vestiti, il collo e la cespugliosa barba.

Nonostante l’allarmante insensatezza di una simile manovra, essa portò a degli insperati e significativi giovamenti: infatti ogni dolore si era dissipato, come se non fosse mai stato provocato, fu indeciso se imputare l’effetto al latte vegano o alla propria tempra. Persino il dolore alla schiena era scomparso, a parte quel senso di masticamento alla caviglia ancora presente.

Si ripulì gli occhi da quella melma disgustosa e si voltò vedendo il suo Kadmon ancora attaccato con i denti alla giuntura cavillare del padrone. Il silenzio prese possesso del suo cervello per mezzo istante, poi inveì con numerosi epiteti poco gentili verso l’affamata e povera bestiola, lanciando con cattiveria il cartone di latte:

— Mollami stupi*o cane! MI HAI PRESO PER UN GIOCATTOLO DA MASTICARE?! —

Serie: Il maledetto cacciatore di fantasmi - with Lorenzo R. Gennari


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Discussioni

  1. Hai una fantasia estremamente vivace che declina, con fluida naturalezza, verso unl spassosissimo catastrofismo fantozziano.
    Mi domando cosa accadrebbe se scrivessimo a quattro mani dando libero sfogo al nostro magmatico delirio

      1. Ti confesso che anche questo è un racconto a quattro mani, con un mio amico con una grande fantasia per il comico no-sense che ho citato anche nel titolo. Io sono più ferrata nel dramma, tuttavia. Mi piacerebbe sviluppare di nuovo un racconto come questo a quattro mani perché qualche ideuzza divertente ce l’avrei pure io. Se ti va puoi contattarmi in privato.