L’imboscata del vecchio generale

1944

«Parola mia, di qui non passeranno».

Joe alzò gli occhi al cielo. L’attivista spagnola che combatteva Francisco Franco aveva detto la stessa cosa, i nazionalisti l’avevano travolta.

Non che Joe simpatizzasse per i comunisti.

Joe e il resto della compagnia erano arrivati in un incrocio con un potenziale enorme. Di lì potevano passare reparti corazzati delle Waffen-SS, loro dovevano fermarli.

Era umore generale che, invece del vecchio generale – un vecchiaccio che era un residuato della Grande Guerra, nato poco dopo il termine della guerra civile, aveva un passato che aveva condotto in battaglia delle brigate e una divisione, ma poi era stato degradato al ruolo di comandante di compagnia: un semplice capitano! –, sarebbe stato meglio un autentico capitano di trenta-quarant’anni, il quale poteva guidare i centocinquanta G.I. in un’imboscata senza troppi pericoli.

Tranne per i Waffen-SS.

I ragazzi si dovevano accontentare e, chi segnandosi, chi pregando il proprio dio fra cattolici, protestanti ed ebrei, su indicazioni del vecchio generale si appostarono.

Joe scavò una buca di volpe, riposta la paletta pieghevole da trincea preparò l’M1 Garand, nel frattempo altri commilitoni si sistemavano con gli M1 bazooka.

Una compagnia armata fino ai denti.

E adesso, Joe aveva perso di vista il vecchio generale, il suo capitano: Il mio capitano… Parola di Joseph Puricelli, che razza di situazione! pensò Joe, augurandosi di arrivare alla sera vivo.

Joe non ebbe altro tempo a disposizione per riflettere perché udì il caratteristico rumore dei mezzi corazzati, altri blindati, altri semicingolati delle unità corazzate e meccanizzate della croce uncinata.

Il nemico.

In arrivo.

Joe si preparò, e avvistò i primi Zugkraftwagen carichi di Panzergrenadier che brandivano le armi promettendo la morte ai soldati che combattevano per quelle che – loro le definivano – erano plutocrazie.

«Eccoli! Arrivano» fu l’urlo del vecchio generale.

Joe strinse i denti, pensò che il nonnetto fosse molto esuberante, e mentre una cascata di pallottole di ogni tipo si abbatteva sui Zugkraftwagen e i Panzerkampfwagen, il comandante della compagnia a stelle strisce caricò il primo veicolo tedesco con l’M1928 Thompson.

Sparava.

E urlava.

«Fermatelo! È pazzo» sillabò Joe, che smise di sparare con il Garand per timore di colpire il proprio comandante.

Al vecchio generale non interessò, con la pistola mitragliatrice più degna di Chicago che la Normandia, crivellò di colpi un paio di tedeschi e svanì in un’esplosione con uno sbuffo di sangue e brandelli di muscoli.

Joe considerò che il nonnetto aveva sognato di ripetere le operazioni americane contro il Kaiser del 1917.

Aveva avuto il suo attimo di gloria.

Magari il suo riscatto.

Ed era morto.

Joe corrugò la fronte e, per onorare il sacrificio del vecchio guerriero, prese meglio la mira e bucò uno Stahlhelm, poi un altro e un altro ancora.

Fino alla morte.

Sua.

O di tutti.

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Discussioni

  1. Un eroe della prima guerra mondiale che cerca rapsodicamente il proprio scampolo di gloria nella seconda evoca il dramma delle prime donne che cercano di carpire un ultimo scroscio di applausi prima che l’ultimo.supario le conduca nel dimenticatoio.

  2. Bel racconto, con qualche nota quasi documentaristica. Si vede tutto, si sente tutto. Ma il rumore più forte è quello implacabile, e senza tempo, della guerra. Di ogni guerra.
    Bravo!