L’incontro

Serie: Legami di sangue


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Una donna dai lunghi capelli rossi, il suo canto mi chiama...

Diario. Ore 22:00 del 1/04/1978

Ero confusa. Non capivo quale fosse la trama che ci univa, ma ero sicura che quella storia mi riguardasse. Erano le dieci di sera, ma la musica del piccolo pub di fronte casa mia continuava ad accompagnare la mia lettura. Mi avvicinai alla finestra. Da casa mia ero in grado vedere oltre la vetrata principale del locale. Esposto com’era, sembrava lo schermo di un televisore. Riuscivo a vedere anche lei, la cantante. Stava cantando una melodia irlandese che richiamava, utilizzando suoni più moderni, gli antichi canti celtici. Cresceva di intensità come un canto di guerra, ma la voce femminile aggiungeva una nota di dolcezza al suono più pesante e vibrante di una cornamusa. Lei, la cantante, era immersa in una profonda cascata di riccioli rossi. Era quella particolarità ad affascinarmi. Sembrava provenire da un’altra epoca. Un’epoca a me sconosciuta, dove la tradizione si confondeva con le leggende. Tra i miei libri ne scoprii alcune, come il sogno di Rhonabwy o quella di Branwen. Lei assomigliava a una dea celtica ed era la ragione per la quale, molto spesso, trascorrevo le mie serate lì, ad ascoltarla. Per me la sua voce era simile a un richiamo. Ebbi un presentimento. I miei occhi si spinsero oltre la vetrata per osservare con più attenzione al suo interno. E fu allora che lo vidi. Presi il libro e l’impermeabile. Uscii di casa come se sapessi cosa stavo facendo, ma in realtà non ne avevo idea. Corsi in strada e rimasi dal lato opposto del marciapiede a fissare il vetro, a fissarlo. Lui si girò, sembrava aspettarmi. Il suo viso era levigato come una luna oscura e i suoi occhi possedevano la stessa profondità del blu dell’oceano. Dovevo capire. E il tempo era poco. Quel prete o chiunque fosse, mi aveva detto che il mio tempo stava per finire ed io ormai avevo iniziato a credergli.

Entrai. La città era vuota, ma il locale era pieno. I tavoli erano tutti occupati e anche le sedie, ad eccezione di quella di fronte all’uomo. Lui, avvolto nel suo cappotto nero, mi fece un cenno con la mano ed io mi avvicinai.

Il muso di un cane mi esplorò da sotto il tavolo, accarezzandomi le gambe. E riconobbi Shaza.

«Finalmente, hai capito. Siediti.»

Più che chiedermelo me lo ordinò. Ed io obbedii.

Osservai i suoi occhi e mi sentii come la Annah del romanzo che stavo leggendo.

«Cosa vuoi da me? Eri tu a chiamarmi?»

L’uomo annuì.

«Lei, l’altra voce, mi ha detto di scappare, di non fidarmi di te.»

«Non è come pensi. Sono qui perché me lo ha chiesto lei. Vuole incontrarti.»

«Fabian, tu chi sei?»

Lui sorrise, sentendo pronunciare quel nome.

«Io sono il Tempo.»

Mi ricordai delle frasi che il prete mi aveva fatto leggere:

“Il tempo si ferma di fronte ai sussurri della menzogna. Dio ti sta parlando. Ascoltalo.”

Ma ancora non riuscivo a comprenderne il significato.

Si alzò ed io con lui.

«Voglio mostrarti una cosa» mi disse, porgendomi una mano. Io la presi e mi lasciai condurre. 

Insieme uscimmo dal locale, ma attorno a noi la città era scomparsa e i suoi vetri avevano lasciato il posto a un piccolo bosco. Attorno a noi un susseguirsi di sottili arbusti, che riempivano con le loro foglie il cielo, aveva creato una cupola verde smeraldo. La luna spingeva i suoi raggi tra gli spazi vuoti illuminando l’ambiente che ci circondava. Ma io ebbi un sussulto.

«Il libro!»

Ero terrorizzata. Avevo dimenticato il libro nel locale, ma il locale era svanito assieme a tutto il resto.

Lui mi sorrise e mi passò una mano sulla guancia.

«Non ti servirà.»

Poi mi prese per mano e mi condusse oltre il bosco, oltre quella cupola. Riconobbi il selciato e il sentiero di pietra che stavamo calpestando. Era identico a quello su cui avevo camminato quando ero stata in Irlanda, in quella piccola isola.

Osservando il selciato mi accorsi che Shaza era assieme a noi.

«E l’altra Annah?» domandai come se mi aspettassi di vedere anche lei, di incontrarla.

«Sei tu, la mia Annah.»

Fu allora che la mia mente vacillò. Poi una voce femmile iniziò a sussurrare delle parole vicino al mio orecchio.

“… Erano stati anni felici. Io e lui ci amavamo. Shaza era il nostro guardiano, il nostro fedele protettore. Io avevo imparato a convivere con la sua magia. Lui muoveva le persone da un’epoca all’altra. Permetteva loro di viaggiare. Me lo spiegò. Era stato testimone di guerre, eventi catastrofici, violenza e morte. Lui non poteva morire, ma poteva amare la vita e cercava di proteggerla. Lui aveva un dono, ma quel dono aveva un costo. Aveva salvato donne e uomini dalla schiavitù spingendoli in epoche diverse, aveva distratto le bombe per condurre i bambini in luoghi sicuri, luoghi senza sofferenza e senza morte. Luoghi che lui stesso non aveva mai avuto modo di visitare. Lui evocava i Cancelli e li apriva. Ciò che accadeva dopo era sconosciuto anche a lui. Shaza era il servitore dei Cancelli, il suo custode. Ma un giorno dovetti fare una scelta: rimanere con lui o andare. Lui non poteva abbandonare la sua isola, non poteva oltrepassare i cancelli. Ma io fui scovata dagli uomini di mio padre. Non mi avrebbe permesso di essere felice. Fu allora che Fabian decise di aprire un cancello e spingermi dentro. Lo fece contro la mia volontà, ma mi promise che ci saremmo rivisti non appena io avessi scoperto il modo di ricongiungermi a lui.

Fu l’amore che provavo per lui a spingermi a scrivere questo libro, cara Annah, nella speranza che tu lo trovassi e iniziassi a leggerlo. Per fortuna la tua nuova vita non aveva cancellato questo mio desiderio dal tuo cuore. Per questo hai sempre cercato rifugio tra le tante pagine vive del tuo negozio.

Avevo scritto questo libro mentre tu nascevi e attendevo con impazienza che tu lo trovassi, che tu mi riportassi da lui. E tu sei riuscita ad aprire il cancello, da sola…”

Serie: Legami di sangue


Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni