Lo scrittore

 «Bambini!» gridò la maestra per attirare l’attenzione.

Era il primo giorno di scuola dopo le vacanze estive. I bambini passavano dall’asilo alla scuola elementare. Vincenzo era il più eccitato. Non vedeva l’ora di imparare cose nuove. Era un po’ stanco dei disegnini e della plastilina.

«Ora, uno alla volta, mi direte cosa volete fare da grandi» tutti i bambini si zittirono.

Molti non sapevano affatto cosa fare da grandi. Risposero le solite cose: l’astronauta, il pilota, il calciatore per i maschi. La dottoressa, la farmacista, addirittura la casalinga! per le femmine.

Vincenzo, invece, era sicuro. Lo disse ad alta voce: «Io voglio fare lo scrittore!» la maestra rimase a bocca aperta. Lo scrittore? Comunque ci pensò e capì che il mestiere più realistico era proprio quello di Vincenzo.

La maestra si affezionò a Vincenzo, lo aiutò ad imparare a scrivere bene, gli consigliò dei libri da leggere, gli lesse lei stessa alcuni racconti importanti.

Alla fine delle scuole elementari, Vincenzo aveva già scritto diversi racconti e uno venne presentato a un concorso. Non vinse, ma arrivò secondo. Vincenzo era felicissimo.

Alle scuole medie continuò a studiare letteratura. Era molto più avanti dei suoi compagni. Scriveva anche. Alla fine delle medie, un suo racconto vinse un importante concorso nazionale. Vincenzo ebbe visibilità e qualcuno gli propose di cominciare a scrivere un romanzo. Lui si sentiva troppo giovane, ma ascoltò il consiglio e cominciò a scrivere.

Alla fine delle superiori non partecipò a nessun concorso, perché stava ultimando il suo primo romanzo.

Cominciò a frequentare l’università di letteratura e scrisse il suo secondo romanzo durante il corso.

Si fidanzò e prima di sposarsi scrisse il suo terzo libro.

Quando ebbe il suo primo figlio aveva finito il quarto.

Cercò di far appassionare anche suo figlio alla letteratura, ma quello era più interessato alle macchinine.

Quando nacque sua figlia, Maria, lui si innamorò di nuovo perché lei amava le favole e imparò a leggere prima di cominciare a frequentare la scuola. Con lei scrisse il quinto libro, questa volta per ragazzi.

Sua figlia divenne grande e cominciò a scrivere.

«Papà, voglio chiederti una cosa. Ho cercato da tutte le parti un libro che mi leggevi quando ero piccola, ricordo ancora le parole. Non l’ho trovato, sai dirmi il titolo?»

Vincenzo le svelò che era un libro che aveva scritto lui.

«Papà! Perché non l’hai pubblicato?» chiese Maria a bocca aperta.

«Ci sono ancora troppi errori, lo pubblicherò quando sarà pronto.»

Gli anni passarono. Maria divenne un’importante scrittrice, qualche suo libro venne adattato anche al cinema. Vincenzo era contento.

Purtroppo, non gli restava molto tempo. Era arrivato il momento di pubblicare i suoi libri.

Prese carta e penna e scrisse una lettera a sua figlia.

Cara Maria,

Il mio sogno da bambino era diventare uno scrittore, e lo sono diventato. Ho scritto tutta la vita, ho fatto anche altri lavori per mantenermi perché sapevo di non poter vivere di scrittura. Tu sei riuscita a farlo, a differenza mia. Tutti i più importanti scrittori scrivono per sedurre il mondo, mentre io ho scritto solo per piacere. Chiamai pure illuso. Voglio che tu legga i miei libri. Ora sono vecchio e non mi rimane molto, anche per via del fumo. Leggi i miei libri, te ne ho letto solo uno. Decidi tu cosa farne. Mi fido di te. Tu mi hai reso l’uomo più felice del mondo. Quando leggerai questa lettera io non ci sarò più, ma ti guarderò da lassù e ti guiderò sempre. Non pensare al denaro, scrivi per essere felice. Ti voglio bene.

Papà.

Maria lesse la lettera insieme al testamento del padre. Non capì perché non avesse pubblicato i suoi romanzi. Lei li lesse. Li pubblicò ed ebbero un successo strepitoso. Tutti i guadagni spettarono a lei e al fratello come aveva deciso Vincenzo. Poi Maria capì.

Se suo padre avesse pubblicato tutti quei romanzi, lei non sarebbe stata una scrittrice famosa, fattasi da sola, ma solo una figlia d’arte. Lui l’aveva fatto per lei.

Ti voglio bene papà.

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Discussioni

  1. Mi è piaciuta la lunga scorsa della vita di Vincenzo attraverso le sue parole, le generazioni, i racconti, i riconoscimenti e questa dedizione costante verso la scrittura, ricevuta dalla maestra e poi trasmessa nel tempo, con l’iniziazione di un affetto incondizionato, che di sicuro ha trasceso la lingua visibile dei segni per sublimarsi e realizzarsi nei sogni dei figli. Triste ma luminoso.

  2. Che bel racconto! Un delicato e tenero rapporto fra papà e figlia. Il testo scivola in modo sereno e culla il lettore fino alla carezza della frase conclusiva. Bello davvero!

  3. Ciao Domenico, ecco una nuova favola: questa volta in chiave moderna. Credo che ognuno abbia un suo perchè nello scrivere, ma lasciare una traccia è quello più importante. Un po’ mi sono riconosciuta: ho nel cassetto parecchie storie che probabilmente non avrò la possibilità di scrivere. Nel caso, mi figlia si è offerta di farlo al posto mio.

  4. Interessante! Devo dire che anche a me piace scrivere e il mio sogno è vivere di scrittura (magari lavorando anche nel campo dell’editoria come editor). Bello questo librick, veramente bello

  5. Mi sono commossa leggendo questa bellissima favola moderna. La vita scorre veloce, le opportunità a volte si presentano, altre no. A volte sappiamo coglierle, altre no. La maggior parte di noi scrive per passione e per sentirsi bene, facendo chissà quanti altri lavori per arrotondare. Grazie per tutti gli spunti di riflessione. Alla prossima lettura!

  6. Una bella storia, piacevole, con una morale che condivido pienamente. Mi sono rispecchiata in vari punti della narrazione, riconoscendo la stessa mia (e nostra), passione per la scrittura, in modo costante, per tutta la vita, dall’ infanzia fino alla vecchiaia, che appare ancora lontana, ma non troppo. Un buon antidoto per colmare il vuoto esistenziale che si crea spesso, quando cessa l’ eta` lavorativa e inizia quella della pensione. E un lascito importante, almeno come valore affettivo, dei nostri pensieri, con riflessioni e fantasie, per chi apprezza questo scrigno di parole da cui attingere per mantenere vivo il ricordo.

    1. Mi sono chiesto: perché scrivo o scriviamo? Forse è per lasciare un messaggio, un’eredità ai nostri figli. Oppure lo facciamo solo per sedurre i lettori. Comunque sia, qualcosa resterà.