
Lo sguardo altrove
Serie: Il secondo bacio
- Episodio 1: La prima cosa
- Episodio 2: Lo sguardo altrove
STAGIONE 1
Ancora oggi quando mi chiedono del mio primo amore, mento.
«L’ho scordato».
Invento aneddoti, cambio discorso, ma io lo so. Un ladro impunito riposerà per sempre e in pace dentro il mio cuore.
Torno sulla tomba di Peter ogni anno. Ogni volta è come rimettere piede in un’altra vita. Il casolare abbattuto, lo sterrato scomparso sotto una colata di asfalto. Al loro posto parcheggi e villette a schiera classe A. Nemmeno i Fiorini tanto cari ad Algida esistono più. Sono passati quasi quarant’anni, al paese tutto è cambiato. Tranne Peter. Il suo volto dentro l’ovale bianco e nero della fotografia è sempre uguale a sé stesso e al mio ricordo, esattamente come ogni amore dovrebbe essere.
Lo guardo negli occhi e parlo ancora con lui. Rileggo il nome inciso nel marmo. Peter Henderson. 1920-1946. Per farlo però devo chinarmi e non sollevarmi sopra le punte come facevo allora. La bambina che sono stata ha lasciato il posto ad una donna adulta. Visti accanto, come allora, saremmo ridicoli. Lui mai cresciuto, io ho quasi il doppio dei suoi anni. Eppure quando sfioro la fotografia le gambe ancora tremano e la carne si fa gelatina. Sotto le labbra lo sento come fosse vivo.
Che cosa stupida – me lo ripeto sempre, sulla via del ritorno – pensare l’amore come un fatto di presenza, tempo passato insieme. In realtà è questione di attimi. Farfalle dentro lo stomaco quando si fanno acchiappare.
La prima cosa che ricordo di Peter è il mestolo di Algida battuto contro il coperchio della pentola ogni domenica mattina.
Per noi era prevista soltanto un’uscita la settimana. Algida sopportava poco il paese e i suoi abitanti, ci andava soltanto se costretta e sempre malvolentieri. Aspettavamo la domenica con l’impazienza del Natale, ognuno per motivi diversi. I grandi si sarebbero staccati dal gruppo per correre ad annusare la libertà, i piccoli avrebbero avuto un cono gelato e la scusa per sfuggire alle incombenze domestiche. Io l’aspettavo perché avrei visto Peter.
Dormivo sveglia già dalla sera prima. Provavo a leggere ma le parole perdevano senso, si mescolavano tra loro. Cercavo tra le pagine le inziali del suo nome, ci disegnavo intorno piccoli cuoricini a matita. Quand’era l’ora il sonno non veniva. Sudavo, poi tremavo, mi rigiravo sui fianchi senza concludere nulla, in fondo alla pancia un prurito simile a quando hai bisogno di fare pipì. Andavo e venivo dal bagno, inciampavo nei letti degli altri, svegliavo tutti.
Quando Algida alle sette meno un quarto veniva a battere il mestolo della sveglia trovava le brande vuote e noi già vestiti.
Scendevamo alla colazione senza passare dal bagno, trangugiavamo latte e biscotti svuotando le tazze e ripulendole al volo.
«Com’è che non fate così anche per la scuola?»
Algida abbandonava i suoi zoccoli per infilarsi un paio di mocassini stinti e un’enorme giacca celeste, da uomo. Un modo di vestire che nessuno ha mai capito. Le dicerie giù al paese volevano quella giacca davvero appartenuta a qualche misterioso e scomparso maschio, le più perfide insinuavano invece che il mezzo maschio fosse lei e per questo invece che fare figli suoi si prendeva quelli scartati dagli altri. Soltanto noi sapevamo la verità, cioè che Algida di quelle malelingue se ne fotteva e i vestiti li pescava dai sacchi, proprio come i nostri, per infilare i soldi risparmiati dentro un barattolo di vetro conservato in alto, sopra la libreria. Perché non si sa mai.
Ogni domenica, prima di uscire, da quel barattolo toglieva di nascosto qualche moneta poi puntava il dito mozzo al muro del corridoio. Era il segnale. Ci alzavamo sull’attenti sistemandoci lungo la parete a bocca aperta e mani lunghe, pronti per l’ispezione. Denti, orecchie, nero sotto le unghie.
«Che non si dica che vi mando in giro sporchi» borbottava, scrutandoci come si fa con la frutta guasta al supermercato.
Chi non passava il controllo veniva rispedito in bagno a lavarsi. Nell’attesa, scalpitavo. Il respiro si faceva corto, il latte bevuto da poco ribolliva dentro lo stomaco per la seconda volta. Di lì a poco avrei rivisto Peter. Che si spicciassero, tutti quanti, io dovevo correre, andare.
Dentro il Fiorino tutti non ci stavamo, la facevamo a piedi. Avanzavamo dallo sterrato tentando una fila indiana che per l’entusiasmo non ci riusciva di mantenere. Chi con la frangia tagliata storta, chi con le calze spaiate, chi con le scarpe grandi di un altro che nella fretta non aveva trovato le sue. Sembravamo scappati dalla Londra di Dickens. Ma eravamo nella pianura padana e neppure delle migliori. Quella campagna indecisa, tra binari della metropolitana e trattori, dove lo sguardo impietoso della gente ti si mangia peggio della nebbia o delle zanzare. Troppe poche anime, troppa poca fantasia per considerare Algida e i suoi piccoli ospiti qualcosa di cui valga la pena narrare.
Ci annusavano da lontano al pari dei temporali, sulla piazza si aprivano per farci passare.
«Testa alta e petto fuori.» Algida, prima di uscire, ci aveva addestrati. «Non badate a loro. Non accettate nulla, da nessuno.»
Non l’ascoltavamo. Presi dall’euforia ci sparpagliavamo impazziti. Pigiavamo i palmi contro le vetrine dei dolci, rincorrevamo gatti, ci sporgevamo nella fontana. Allungavamo mani a chi ci offriva una pizzetta o qualche caramella.
«Non vi azzardate, niente carità.» Sprovvista di zoccoli e manico della scopa Algida ci acchiappava con il suo sguardo truce. «Se volete qualcosa, la si paga.»
Indicava il parco, oltre la piazza, un piccolo scivolo e qualche altalena. «Filate.»
Dalle tasche estraeva gli spicci tolti dal barattolo di vetro poco prima, scompariva dentro il bar dove i vecchi la salutavano storto, sghignazzando il suo nome. Tornava da noi con una borsa in plastica piena di cornetti.
«Grazie!» le saltavamo al collo. «Ma tu lo sai che ti chiami come il gelato?» mostravamo la scritta stampata sopra l’involucro, morti dalle risate.
Non si scomponeva. «Mangiate piano». Ci allungava i fazzoletti «e pulitevi i baffi.»
Lo sguardo altrove, nella stessa direzione dov’era perso anche il mio. In fronte al parco oltre al viale alberato si apriva un cancello, pesante e scuro, la vera tappa del nostro viaggio. Oltre quel cancello guardava Algida. Oltre quel cancello mi aspettava Peter.
Serie: Il secondo bacio
- Episodio 1: La prima cosa
- Episodio 2: Lo sguardo altrove
È un peccato doverlo leggere a pezzi. Tu scrivi davvero bene ma, oltre a ciò, sei autentica nei sentimenti descritti e vissuti dalla protagonista. Sono curioso di venire a sapere (se mai si saprà) che fine a fatto l’ultima falange di Algida. La nostalgia per un amore remoto- o comunque il suo ricordo- è qualcosa a cui non riesco s restare indifferente.
Grazie Angelo! Il particolare del dito è in arrivo, non dico altro sennò rovino la sorpresa. A presto.
Non vedo l’ora di proseguire. L’inizio di questo capitolo, in cui vai a trovare la tomba di Peter, è commovente.
Grazie Nicola, arriverà presto il seguito!
L’atmosfera che crei con la tua narrazione è calda e avvolgente. Algida conquista con i suoi modi, all’apparenza bruschi, ma genuini e sinceri. Piccoli gesti che manifestano la sua premura verso i bambini che ha accolto. Sono curiosa di conoscere i dettagli della storia d’amore che, mi sembra di capire, sia la spina dorsale della storia. Brava👏👏
Hai ragione Tiziana, il senso di questa storia sta nell’amore della protagonista per Peter. No ho seminato molti indizi, forse nessuno, nel prossimo episodio potrete scoprirne la vera natura. Spero di essere all’altezza e non deludervi 😊
“Eppure quando sfioro la fotografia le gambe ancora tremano e la carne si fa gelatina. Sotto le labbra lo sento come fosse vivo.”
Che romantica questa immagine❤️
Grazie per averla notata.
Amo questo racconto ❤️
Molto commovente la visita alla tomba tanti anni dopo: mi ha colpito come certe emozioni rimangano immutate. Bellissimo, davvero.
Grazie Arianna. Cambia tutto, ma l’essere stati innamorati è una di quelle cose che non cambiano mai. ❤️
Una serie di immagini incantevoli e la sensazione di essere presi per mano dai tuoi personaggi e seguirli dentro la storia. Algida è favolosa.
Bellissimo episodio Irene, mi ha conquistato più del primo.
Grazie Melania. Come già dicevo a Cristiana, Algida è talmente favolosa che ha conquistato anche me 😊
La nostalgia e il dolore che ci accompagnano: come un’ombra, alle nostre spalle, ma che si proteggono perché unici. Non ne parliamo per non soffrire e forse anche per non renderli normali. Già so dai primi due capitoli che sarà un racconto bellissimo. Bravissima, Irene!
Ciao Concetta, hai fatto una bellissima osservazione. Di certe cose non parliamo proprio perché il tenerle segrete le rende ancora più importanti e uniche. Era proprio questo il senso che volevo arrivasse. Grazie di cuore ❤️
Altro episodio di rara bellezza. I personaggi si impongono su tutto. Mi sembra di essere lì con loro…
Grazie Antonio ❤️
“Lui mai cresciuto, io ho quasi il doppio dei suoi ann”
Non avevo mai pensato a questa cosa. Fa venire i brividi❤️
Un altro modo per dire che l’amore non segue le leggi del tempo e del mondo.
Hai fatto di Algida un personaggio splendido, uno di quelli con così tanta umanità dentro da non riuscire a nasconderla, da lasciarla scoppiare fuori. Ma ti dico che lo avevo già annusato nel primo episodio. Si fa sempre presto, troppo presto, a puntare il dito contro una donna, perché quello che c’è davvero dentro, lo sai soltanto se la guardi con altri occhi.
Ho notato una cosa particolare (che poi magari mi rispondi che sono pazza): che non c’è interazione diretta fra la protagonista e Algida; fra loro c’è sempre un filtro. O meglio, è come se Algida la conoscessimo attraverso gli occhi della bambina. Trovo che questo sia molto ben riuscito e dia un profondo valore al testo. La capacità è di chi narra che è così bravo da non far pesare mai la propria presenza al lettore, quanto piuttosto sa sciogliere le briglie e lasciar correre i veri protagonisti. Bravissima Irene 🙂
Ti confesso che Algida si è creata da sé. Figurati che doveva apparire soltanto nel primo capitolo, mi si è imposta al punto da tenerla con me. Mi si era presentata semplicemente come una vecchia acida e brontolona, poi ha sfoderato questo lato umano, il cuore tenero sotto la scorza. Credevo ce ne mostrasse soltanto un pochino, invece ha deciso di strafare e mi sta insegnando come si fa. Temo abbia letteralmente preso le redini della storia al posto mio, ormai la seguo, decide lei🤣
Per quanto riguarda l’interazione con la protagonista, no, non sei matta. Non so se sia bravura o esigenza di copione (io tendevo verso la seconda) ma avevo bisogno che gli occhi fossero quelli della bimba. La protagonista non ha mai conosciuto Algida, è stata la bambina a vivere con lei. Perciò, in un certo senso, gli occhi non possono essere i suoi. Deve per forza chiedere alla bimba che è stata di ricordare e aiutarla a narrare. Grazie per averlo notato , un abbraccio ❤️
Secondo me, è la bravura 😉
Aspettavo la pubblicazione di questo secondo episodio, che cambia tono col punto di vista di un’adulta che prevale. Continua a piacermi perché sembra tutto vero, ma, a tratti, anche pittoresco e avvincente, grazie al tuo estro creativo di autrice molto dotata nel creare immagini suggestive.
Brava Irene!
Grazie di cuore Luisa. Mi fa piacere tu abbia notato il cambio di punto di vista. Ho voluto “spostare”” la narrazione, per poi ritornare già dal prossimo episodio alla bambina, che è la vera protagonista. Alla prossima, un abbraccio.
“Che non si dica che vi mando in giro sporchi» borbottava, scrutandoci come si fa con la frutta guasta al supermercato.”
Metafore come questa, che mi piace un sacco, solo un’artista come te poteva scriverla.
👏 👏 👏
Ebbene si, confesso, qui è la pittrice che parla 🤭
Bello. Soprattutto Algida.
Grazie Rocco!
Che bellezza, mi pare di sentire i piedi che ballano un po’ più larghi nelle scarpe e la polvere terrosa che si stacca dalle suole quando cammino.
Grazie Roberto!
“Per farlo però devo chinarmi e non sollevarmi sopra le punte come facevo allora.”
👏 👏 👏
🙏
Gran bello. Si dipana il racconto con immagini in bianco e nero, o meglio: seppia. All’ inizio butti lì una bomba emotiva che arriva forte, ma poi la sospendi. Brava. Non scopri le carte e lasci il lettore ingolosito. Per lo meno, l’esca per ha funzionato alla grande. Grazie per la lettura… In attesa della prossima puntata
Ciao Paolo, mi fa piacere che l’esca abbia funzionato. Nel prossimo episodio svelerò il segreto, spero di non deludere le aspettative! Grazie mille per la lettira, a presto.