
Lo specchio
Aspettava con ansia l’appuntamento più importante della giornata. La incontrava tutte le sere, ormai da diversi mesi. Si vedevano con il buio, quando il chiarore del giorno aveva lasciato posto all’oscurità della notte.
Quando si accendevano i lampioni, il suo cuore si colmava di gioia, scalpitava come una bambina in fila per lo zucchero filato. Il tempo che mancava a quell’irrinunciabile incontro era sempre meno. Aveva una vita normale, come una qualunque sedicenne. La mattina frequentava il liceo scientifico, perché la mamma diceva che era portata per la materie scientifiche, mentre lei amava sì la matematica, ma adorava disegnare. Non le era stato permesso di inseguire il suo sogno. Il liceo artistico è per i fannulloni, diceva sempre suo padre. E allora si era dovuta accontentare di una scuola che le piaceva a metà. Il primo anno aveva incrociato le dita delle mani e dei piedi per riuscire a continuare la scuola con le sue vecchie compagne di classe. Ma quando nell’aula magna, il primo giorno, aveva sentito tutti i nomi delle persone che conosceva tranne il suo, aveva avuto un’amara sorpresa. Le sue amiche erano tutte nella sezione D, lei ovviamente era capitata nella sezione E. Capitata, non proprio. Sua madre aveva chiesto espressamente che venisse divisa da quelle ragazze. Avere amiche vecchie nella nuova classe ti impedirà di fartene di nuove e ti distrarrà dal tuo studio, diceva sua madre. Aveva accettato anche di combattere con la sua timidezza, si era fatta nuove amiche. Di certo non erano come le sue amiche delle scuole medie, ma erano pur sempre amiche. Le vecchie amiche ormai si erano dimenticate di lei. Entravano allo stesso orario ma loro avevano la loro cerchia. I primi giorni quando le incontrava salutava loro e chiedeva come si trovassero. Dopo diverse risposte a monosillabi e saluti non ricambiati non aveva più insistito.
Il primo anno era stato duro, ma dopo il primo quadrimestre era andato tutto un po’ meglio. Si era fatta degli amici e i suoi voti erano più che buoni. Il secondo anno, scolasticamente, era andata ancora meglio. Era sicura che ormai la sua vita non potesse che migliorare. Con il passare del tempo notò che i suoi amici la tenevano in considerazione solo per farsi aiutare nello studio, o farsi passare i compiti. Se organizzavano uscite o serate fuori era sempre l’ultima a saperlo, quando ormai non aveva detto niente ai suoi genitori e quindi non aveva il permesso per andarci. Oppure lo scopriva dai social. Aveva maledetto più volte la sua iscrizione a facebook. Non era stato di certo un buon metodo per coltivare le amicizie. Scoprire, quasi, ogni sabato sera che i suoi amici non l’avevano invitata era stato spesso motivo di lacrime amare. Ma ci passava sopra, faceva finta di non sapere. Temeva che se avesse detto qualcosa l’avrebbero allontanata ancora di più fino a rimanere da sola. Così si faceva sfruttare in cambio di una falsa amicizia. I suoi genitori, severi ma non ciechi, si erano accorti della sua insofferenza, e l’estate dopo la seconda superiore le avevano dato dato fiducia e le avevano comprato il motorino. Non li aveva mai delusi e quella era la sua ricompensa. Non stava nella pelle quando glielo avevano detto. Non poteva credere che erano proprio i suoi genitori che le stavano facendo quel regalo, loro che erano stati sempre così rigidi. Si sentiva grande. Scattò una bella foto al nuovo amico a due ruote e la pubblicò su facebook. Era un chiaro messaggio per i suoi amici. Non avrebbero più avuto la scusa che era a piedi e non l’avrebbero lasciato da sola per un’altra estate. Per i mesi caldi, non fece altro che fare la tassista per le sue amiche con gli incontri con i loro fidanzatini. I loro genitori si fidavano di lei, era una brava ragazza, senza troppi grilli per la testa, e loro ne approfittavano. Il terzo anno era piombato pesante sulla sua schiena. I libri erano ancora più pesanti e in lei nasceva una nuova consapevolezza. Il suo corpo stava sbocciando e da stupida ragazzina si stava trasformando in un fiore raro. Il piattume con cui aveva combattuto fino a qualche mese prima si stava arrotondando e i suoi capelli non erano più crespi e annodati da costringerli sempre in una coda stretta. Portava ancora l’apparecchio e gli occhiali ma ben presto si sarebbe disfatta di entrambi. I due anni dal dentista erano quasi finiti e i suoi genitori le avevo acconsentito di portare le lenti a contatto. Non sarebbe più stata il ranocchio con gli occhiali. La secchiona di cui sfruttavano le capacità si stava trasformando in una bella ragazza. Le sue amiche avevano preso a evitarla, prima sfruttavano le sue capacità e il suo essere brutta e adesso la invidiavano, sopra il cervello da intellettuale si celava una bella ragazza. I ragazzi la notavano. Le facevano il filo e la preferivano a molte delle sue amiche, le aveva sentite chiamare, più volte dai ragazzi con cui chiacchierava, delle oche.
Con il tempo presero a non salutarla più e non invitarla più nelle loro uscite. Erano nella stessa classe ma si evitavano. Ogni tanto qualcuna di loro le chiedeva ancora i compiti ma aveva imparato a usare la stessa indifferenza che le riservavano quando non sentivano i suoi saluti.
Doveva bastare a se stessa. In fondo si può vivere senza amicizie. Spesso si chiudeva nella sua stanza a piangere per la solitudine che sentiva intorno a sé. Talvolta colpevolizzava i suoi genitori per non averle donato una sorella con cui condividere la vita.
Ogni mattina si alzava e si stampava un sorriso in faccia, anche se si era svegliata con il cuscino zuppo di lacrime. Aveva imparato ad amare le materie che studiava, ma la sua passione per il disegno non l’aveva mai abbandonata. Quando poggiava la matita su un foglio bianco dimenticava tutto il resto e ogni disegno prendeva vita.
Una sera si addormentò mentre stava disegnando il volto di una ragazza, immaginando che fosse una sua amica. La disegnò in ogni minimo particolare, i capelli lisci fino alle spalle, uno naso a patatina piccolo e delicato, due occhi grandi con folte ciglia, la bocca carnosa e il volto a cuore.
Era l’immagine che aveva dell’amica che aveva sempre desiderato. Una sera si addormentò sul foglio che stava disegnando, con la sua amica fatta di matita e foglio bianco.
Si svegliò di soprassalto, qualcuno la stava scuotendo dalla sedia su cui dormiva scomposta. Si stropicciò gli occhi più volte, per capire chi era che la stesse svegliando dal mondo dei sogni. Quando la vide si svegliò di colpo. Era la ragazza di cui aveva disegnato il volto. Aveva i stessi capelli lunghi, erano castano dorati, gli occhi erano grandi e neri, la bocca rosa sorridente e il viso a cuore dolce e gentile.
Forse la sua mente le stava giocando un brutto scherzo. Scosse più volte la testa per ridestarsi dal suo sogno. Ma la ragazza era ancora lì. Le stese la mano e si presentò, si chiamava Leila, la ragazza con gli occhi colore della notte.
Così era nata la loro strana amicizia, che poteva essere coltivata soltanto di notte.
Non si erano mai viste con la luce del sole. Quando calava la sera Leila si presentava nella stanza di Daniela e passavano così la serata tra chiacchiere e risate.
Finalmente Daniela si sentì di vivere di una vita piena. Eccelleva nello studio, i suoi genitori erano fieri di lei, i ragazzi la notavano e aveva la sua migliore amica Leila.
Non c’era sera che le ragazze non la passarono separate. Ogni sera era un appuntamento fisso.
Daniela viveva con l’ansia di non mancare mai al loro incontro segreto. Per mesi andarono avanti così. Una sera la mamma di Daniela stufa di sentire sua figlia sempre attaccata a parlare al telefono per ore e ore, spalancò la porta all’improvviso.
La ragazza si sorprese di quel gesto iroso. Non capì il rimprovero della mamma. Di certo non passava il tempo al cellulare a chiacchierare, la sua amica era lì davanti a lei, perché non riusciva a vederla? La mamma le tastò più volte la fronte per vedere se scottasse e fosse in presa a deliri da febbre. Non vedeva nessuno in compagnia di sua figlia. Ma si rincuorò pensando che, forse, la ragazza si era nascosta dalla vergogna. La mamma chiuse la porta dietro di se e corse dal padre, con la preoccupazione nel cuore, per raccontargli ogni cosa.
Daniela, rimasta da sola, non capiva perché sua mamma l’aveva creduta pazza.
Chiamò Leila affianco a sé e si guardò allo specchio. Vedendo il riflesso della sua amica non avrebbe messo in dubbio che fosse vicino a lei. Si posizionò davanti allo specchio con gli occhi strizzati e contò fino a tre.
Quando li riaprì, guardò prima la sua amica affianco e poi il vetro riflettente. Non vide nessuno accanto a sé. Così in preda al panico riprovò. Chiuse gli occhi e contò fino a tre. Li riaprì guardò prima Leila e poi lo specchio, ma niente. L’unica immagine che vedeva era la sua con l’espressione terrorizzata…
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Molto bella l’irruzione dell’elemento magico-onirico nel racconto: gli soffia dentro una vitalità che lo rende più interessante. Molto dettagliata la descrizione dell’animo immalinconito della protagonista, di fronte ai comportamenti adolescenziali di cui è fatta vittima: la ricchezza di accenti testimonia quanto questo sia un argomento caro all’Autrice. Brava
Grazie, mi fa davvero piacere leggere le tue parole. In effetti è un argomento che mi sta molto a cuore.
Ciao Jessica, mi sono ritrovata in molte delle sensazioni della tua protagonista. L’adolescenza non è un momento facile, soprattutto se viene affrontato in solitudine. Ti dico la verità, mi piacerebbe leggere un altro racconto con Daniela come protagonista. Sicuramente non era nelle tue intenzioni, ma questa sorta di sdoppiamento può portare a sviluppi interessanti
A dire il vero, prima di pubblicarlo ero molto indecisa se terminarlo qui o dargli un seguito. Ci sto pensando su. Grazie mille. ?
Interessante questo racconto, ho empatizzato con la protagonista…
Grazie, mi fa piacere ?