Lungo il cammino

Serie: Sei proiettili d'argento


Gli zoccoli del mulo alzavano schizzi di fango in ogni direzione, qualche volta la bestia sembrava quasi sul punto di perdere l’equilibrio, Tiberio ogni tanto gettava uno sguardo alla sua destra. L’oscurità, in parte, nascondeva il ripido dirupo che si trasformava in un vero e proprio burrone un centinaio di metri più in là; i locali lo chiamavano “il taglio” perché pareva quasi che un gigante armato di coltello avesse deciso di ferire la Terra con precisione chirurgica. Il freddo giungeva in faccia con la stessa potenza di un camion lanciato a tutta velocità, presto avrebbe nevicato e quel viaggio di fortuna si sarebbe trasformato in una traversata della speranza.

“Gli animali sono stanchi, tra poco dovremo trovare il modo di riposare, magari riparati dalle intemperie” disse l’uomo che si trovava più avanti nello stretto e sdrucciolevole sentiero di montagna. Il bavero del cappotto alzato impediva di scorgere qualcosa in più di un naso aquilino e gli occhi scuri pronti a scattare al minimo segnale di pericolo.

“Dove potremmo sperare di accamparci? Se non te ne fossi reso conto siamo nel bel mezzo del nulla” urlò l’altro più indietro che sembrava tutto intento a salvare la pelle propria e del mulo, il quale sbuffava come una locomotiva.

“Speriamo che dopo la maledetta svolta più avanti ci sia qualche albero al quale potremmo legare gli animali.”

“Lo sapevo: dovevo rimanermene a casa. Che idea del cazzo è stata seguirti in questa follia?”

“Ci pagano bene, mi pare che le banconote non ti abbiano mai fatto schifo più di tanto, o sbaglio?”

“Ho una famiglia da mantenere” rispose l’altro, una ruga in mezzo alla fronte oscurava il suo sguardo sbilenco.

“La verità è che il tuo lavoro ti piace maledettamente e non puoi proprio fare a meno di sentire il brivido del pericolo. La vita è fatta di chi non riesce a smettere e di chi sa quando è il momento di ritirarsi, forse io e te apparteniamo alla prima.”

La tenda vibrava velocemente, quasi fosse sul punto di staccarsi per finire dritta giù nel dirupo a pochi metri; Marco si era avvolto nel sacco a pelo e pareva un baco da seta pronto a tramutarsi in una nobile farfalla. Tiberio era seduto alla sua sinistra e sorseggiava una tazza di té allungata con un goccio di grappa, per scaldarsi un poco era la soluzione migliore.

“Stanotte il tempo ha deciso di mettere paura anche ai morti che camminano” disse mentre sorseggiava con calma l’alcool.

“Dubito che su queste montagne se ne incontrino molti, a dir la verità, anche di vivi.”

“La Jugoslavia è una terra tutt’altro che ospitale e persino i morti non sono molto contenti di sapere che il loro territorio è stato violato, soprattutto da italiani come noi.”

“Ho un freddo boia, la temperatura sta scendendo con rapidità disarmante” disse Marco tirando ancora di più il sacco a pelo che emise il rumore del tessuto pronto a cedere alla tensione.

“Prendi un po’ di grappa, di sicuro non può farti male” rispose Tiberio mentre porgeva la bottiglia con la mano tremando un poco.

“Quello non è affatto il gelo, già ne hai trangugiata troppa! Dammi qua ‘sta broda” rispose l’altro ridendo.

“Ricordi quella volta che rimanemmo bloccati in quel maledetto rifugio sui monti mentre fuori nevicava a tutta forza?”

“Come potrei dimenticarlo, credo di non aver mai sofferto come quella sera: penso di aver tirato nel camino almeno un quintale di legna!” rispose l’altro alzando la bottiglia per brindare.

“Se tutto va bene entro due giorni potremmo arrivare a Grodnja, ammesso che ci sia rimasto qualcosa dopo l’ultimo bombardamento della Resistenza.”

“Maledetti fascisti: quando molleranno la presa?”

“Mai, l’erba cattiva non muore mai, cerca di tenerlo a mente meglio che puoi.”

Di buon mattino Tiberio aprì gli occhi, il corpo intorpidito dal gelo per qualche minuto, le dita dei piedi parevano del tutto staccate dal corpo, per un istante la paura di averle perse passò nella scatola cranica dell’uomo mentre si toglieva i calzettoni di spugna. Seppur di un pessimo colorito tendente al violaceo, la situazione pareva del tutto recuperabile con un po’ di accorgimenti. Quando era stato spedito in Russia aveva imparato a gestire al meglio i propri indumenti intimi affinché questi non si inzuppassero di sudore per poi congelarglisi addosso, prendere una polmonite in un posto come l’Unione Sovietica era tutt’altro che una buona idea. Per la prima volta dopo dodici anni quelle conoscenze tornavano utili, Tiberio ringraziò mentalmente la sua esperienza da soldato, cosa che non avrebbe mai detto possibile. Mentre si rimetteva con estrema cautela gli scarponi vide Marco muoversi nel suo caldo e comodo giaciglio, qualche secondo dopo aveva fatto ritorno nel mondo dei vivi.

“Che nottata del cazzo, forse non ci pagano abbastanza per prenderci tutti questi rischi del cazzo. Perché ti sei sfilato gli scarponi?” chiese con la voce roca e impastata dal sonno.

“I miei piedi avevano deciso di non aver bisogno delle dita per funzionare, per fortuna me ne sono reso conto prima che la situazione potesse precipitare” disse Tiberio mentre annodava i lacci della calzatura sinistra con il vecchio nodo imparato ai tempi dell’Accademia ufficiali.

“Cristo santissimo, come cazzo è possibile una cosa simile? Abbiamo dormito al caldo tutta la notte!”

“Forse non era abbastanza per le gambe, ad ogni modo non è accaduto nulla di irreparabile e noi dobbiamo muoverci in fretta se vogliamo rimanere in pari con la tabella di marcia.”

Quando i due poco dopo misero la testa fuori dalla tenda vennero accolti dal solito clima che aveva deciso di far loro compagnia: nebbia e freddo pungente, pareva quasi di essere in Inghilterra. I muli se ne stavano placidi legati ad un paio d’alberi e non parevano intenzionati a riprendere la marcia, dopo tutto quel tempo fermi.

“Quei bastardi se la passano meglio di noi poveri stronzi” disse Marco guardandoli di sbieco.

“Puoi giurarci, e non hanno nemmeno particolare voglia di fare qualcosa; stavolta cerca di tenerti il cibo nello zaino invece di darglielo, perché dopo mangiato sono ancora più stronzi. Forza, smontiamo la tenda.”

Serie: Sei proiettili d'argento


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Ciao Alessandro, oggi mi sono rituffata nel tuo mondo distopico dopo tanto tempo e con estremo piacere mi sono ritrovata subito a casa. Il titolo di questa serie mi incuriosisce, come pure la “missione” dei due protagonisti: sono contrabbandieri?

  2. Ciao Alessandro, cercando di “assaggiare” quanti più autori possibili qui su Open, mi sono tuffato in questo racconto. Devo dire che la prima impressione è ottima, mi piace molto come scrivi (e come descrivi), leggerò volentieri la serie!

  3. Ciao Alessandro, bentornato. Come inizio serie non c’è male, la combriccola mi piace. Chissà quale sarà la loro missione? Non vedo l’ora di scoprirlo. Alla prossima.

  4. Ciao Alessandro,
    sono capitato sul tuo racconto per caso e mi è piaciuto.
    Nonostante non ami i racconti di guerra e sia molto più affezionato a storie fantastiche sei riuscito a trasportarmi nel gelo della Jugoslavia.