
Manuel 2019
Mi chiamo Manuel, sono nato il 14 ottobre 2019 e non ho mai vissuto un giorno di libertà… o almeno non me lo ricordo.
Un tempo non era così, ne sono certo.
Lo so grazie a mia madre che ogni tanto, quando il dolore intorno a lei diventa tale che le costa una fatica enorme persino respirare, prende dall’armadio in fondo al corridoio un vecchio scatolone impolverato.
Al suo interno delle fotografie. Mi ritraggono da neonato fino al compimento dei miei due anni.
Non ci sono altre foto in casa.
Sono vietate.
Ma quelle mia madre le custodisce con amorevole cura.
Ed eccomi lì, paffuto e felice: sulla spiaggia dei Maronti accanto a mia zia in bikini, tra i prati del Trentino, sotto la neve a Strasburgo, in braccio a mio nonno tra le vie di Berlino, davanti ad una torta di compleanno a forma di dinosauro circondato da amici e parenti, con mio padre e mia madre a passeggio per i Fori Imperiali… e tante altre… ricordi di una vita che io non ricordo.
A volte penso che sia meglio così… forse è meglio non avere memoria che soffrire per ciò che si è perso.
Ogni tanto, quando crede di non essere vista, vedo lo sguardo di mia madre incupirsi, poi la sua mano corre veloce ad asciugare una lacrima che ancora non è mai caduta, ma che è sempre presente nei suoi occhi… in quei momenti so che sta pensando alla sua giovinezza, ai weekend romantici, ai concerti, ai parchi divertimento, ai viaggi all’estero, alle cazzate fatte con le amiche, alle serate in pizzeria.
Io non so neppure che sapore abbia la pizza. Eppure mia madre mi ha assicurato che ne andavo matto. La chiamavo “pisha” ed era l’unico modo per farmi stare buono, seduto nel carrello, quando andavamo a fare la spesa al supermercato.
Mia madre è l’universo che mi apre ai miei ricordi. È grazie a lei che so che mi piaceva andare sull’altalena e sullo scivolo, che odiavano le canzoncine per bambini e che volevo sempre ascoltare musica rock, che amavo la piscina e le campane…
Già le campane, le din don come le chiamavo io, mia madre mi racconta spesso che aveva un app sullo smartphone per farmi ascoltare il loro suono… vorrei che l’avesse ancora, mi piacerebbe ascoltarle di nuovo, sapere cosa sono… se mi chiedessero di disegnarle non saprei come fare… le campane non esistono più… da tanto tempo. E non esistono più nemmeno i crocefissi e gli angioletti che baciavo ogni sera prima di andare a letto…
Sono cambiate tante, tantissime cose.
Quando ero poco più di una ragazzino, tutti i pomeriggi quando tornavo a casa esordivo dicendo: “Mamma ora ti racconto cosa ho fatto a scuola”.
Un giorno mia madre mi ha preso per mano e mi ha portato in camera da letto. Aveva l’aria stanca e triste. Mi ha fatto sedere sul letto. Poi ha chiamato mia sorella. Lei non era stata a scuola… e non ci sarebbe mai andata. Ed ha cominciato a raccontare.
Ci ha detto che la scuola non era solo libri e compiti, la scuola era prendere in giro il professore, entrare in seconda ora perché si era impreparati, fare buca con le amiche e andare a fare un giro in centro, correre per i corridoi, spettegolare con le compagne su chi fosse il più carino della classe, fare partite miste di pallavolo o sfide femmine contro maschi… andare a scuola era vivere appieno la giovinezza, con lo sguardo rivolto ad un futuro che si credeva luminoso e che invece si era tramutato in un incubo.
Io e mia sorella ascoltavamo a bocca aperta, sconvolti.
Da quel giorno, ogni sera mia madre prese a raccontarci del “come era prima”.
All’inizio quelle storie ci sembravano solo favole… ai nostri occhi il mondo descritto da nostra madre non era poi tanto diverso dall’isola che non c’è di Peter Pan, dal paese delle meraviglie di Alice o dalla Terra di Mezzo di Tolkien… era un mondo fantastico, ma non reale.
Non so quando sono cambiate le cose, probabilmente il giorno in cui, per la prima volta, mia madre tirò fuori lo scatolone con le foto… in quel momento tutto divenne concreto, vero.
E allora la domanda mi sorse spontanea: com’era possibile che fosse successo ciò, che nessuno si fosse ribellato, che la violenza avesse cancellato tutto? Possibile che fosse stato tanto improvviso, che non si fosse potuto prevedere?
“Non impariamo mai dalla storia” mi rispose mia madre “Pensi che i galli non si fossero accorti dei romani, che gli indiani non abbiamo mai notato la violenza dei cowboy o che i polacchi non sapessero quanto odio ci fosse in Hitler? La gente ama la propria vita e nonostante le avvisaglie che tutto stava per cambiare quasi nessuno ha creduto possibile che ciò avvenisse davvero. Gli attentati sono stati il sintomo della malattia… ma il mondo era convinto di essere immune e di non aver bisogno di medicine.”
Ma il mondo si sbagliava… e quando se ne è accorto ormai era un corpo agonizzante… ma non ancora morto.
Ed è per questo che ora sono qui, a combattere, perché la mia terra possa tornare come era prima.
All’inizio eravamo in pochi, ragazzi che come me avevano sentito i racconti dei propri genitori, dei parenti e che avevano capito che il mondo in cui erano cresciuti era sbagliato. Poi si sono uniti i giovanissimi, spinti più dalla voglia di avventura che da ideali veri e propri, e alla fine si sono uniti gli adulti, i portatori di memoria… sono quelli che combattono con maggior forza, con maggior coraggio e con maggior determinazione perché sanno cosa hanno perso e vogliono riprenderselo… se non per loro almeno per i propri figli e i propri nipoti.
Eppure siamo ancora troppo pochi, una minoranza. Molta gente preferisce restare in disparte, al sicuro nel loro piccolo mondo, si è abituata al nuovo status quo o forse ha semplicemente paura.
Compiamo azioni dimostrative, cerchiamo di non essere violenti, ma a volte non abbiamo molta scelta.
La scorsa settimana ho portato il giornale a mia madre: parla di noi. Quando ha finito di leggere l’articolo mi ha guardato a lungo, con orgoglio.
Non ha detto niente, ma non ce ne è stato bisogno. So che è fiera di me.
Nel 2021, quando avevo poco più di due anni, il mio mondo è cambiato. Dei terroristi fondamentalisti hanno preso il controllo delle nostre vite e le hanno distrutte, annientate, riducendo la bellezza, la gioia e l’amore ad un ricordo.
Oggi sono qui per far sì che tali ricordi possano tornare ad essere reali.
Il mio nome di battaglia è Manuel 2019… e sono un combattente della memoria.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa
Come già avevo piacevolmente notato, sei in grado di estrapolare le paure più forti di questo nostro momento, per metterle in racconti che si fanno piccoli capolavori di sensibilità e attualità. BRAVISSIMA!