Master

«Stai osando sul serio?».

Alle parole di suo padre, Daniele storse la bocca. «Sì, Master».

Facevano skateboard.

A Daniele piaceva lo skateboard, lo praticava da sempre, ma quella versione un po’ meno.

Ma la doveva praticare.

Saliva e scendeva le rampe e doveva stare attento agli spuntoni che potevano dilaniargli la carne, mentre faceva saliscendi poi si guardava intorno perché poteva sempre darsi che si aprissero delle bocche di lupo nel cemento che l’avrebbero ingoiato e l’aculeo interno l’avrebbe trafitto come un insetto. E saliva e scendeva, saliva e scendeva.

Master lo cercava e invece di fargli delle carezze amorevoli lo perseguitava.

«Lasciami in pace» gridava Daniele, ma suo padre ignorava le suppliche, semmai lo sferzava con il braccio scarnificato. Non che fosse suo, era di un caduto di un precedente uso della rampa che, ridotto in scheletro dalle intemperie, Master gliel’aveva strappato e ora lo usava come una frusta.

Molto truce e macabro.

Daniele ci aveva fatto l’abitudine.

Fortuna che aveva un buon esoscheletro che gli impediva brutte ferite, però quando suo padre lo colpiva con il braccio-frusta la carne gli urlava per il bruciore.

Lo malediceva.

«Vuoi mia moglie, figlio? Te la devi faticare» rideva.

La moglie del Master, la madre di Daniele. Non che con lei voleva fare quelle cose lì, ma le voleva bene, sentiva la nostalgia di quando gli leggeva le storie prima di dormire, al contrario suo padre la voleva violentare e basta, non faceva altro che questo.

Che pessimo padre… Ma era Master!

Continuarono a muoversi come degli ossessi e se Daniele evitava lo scontro per quel che gli era possibile, Master lo cercava con gioia, rideva con disprezzo e lo feriva.

Certo, al braccio scarnificato erano attaccati dei chiodi arrugginiti che avevano strappato brani di carne a Daniele.

Master era un pazzo.

La madre di Daniele assisteva a tutto come una statua. Si rendeva conto di quel che stava facendo suo marito a loro figlio? Daniele avrebbe voluto elemosinare la sua pietà, ma era sicuro che, se l’avesse fatto, Master l’avrebbe tormentato con ancora più cattiveria perché così scopriva che suo figlio era espugnabile alla sofferenza.

No, Daniele doveva dimostrare di essere un duro.

Daniele salì una rampa, con un movimento di caviglie girò lo skateboard e iniziò a scendere.

Master lo seguì.

Daniele si fece raggiungere perché, se non sbagliava, aveva colto uno schema.

All’ultimo momento deviò e di fronte a lui si aprì una bocca di lupo.

Master cadde dentro trafiggendosi nello spuntone. Uno schizzo di sangue, e la bocca di lupo si richiuse. Di Master rimase il braccio chiodato.

Daniele lo raccolse e per lui ci fu come un viaggio nel tempo.

Sua madre lo guardò. «Adesso io sono tua moglie e tu sei Master…».

Arrivò uno scavezzacollo con tante energie.

Sua madre terminò: «… lui è nostro figlio».

Daniele avrebbe rispettato il suo nuovo ruolo.

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Mi ha sempre impressionato vedere chi esercita la pratica sportiva che hai descritto. Per tutto il resto non ci sono parole. Follia allo stato puro. Un racconto ben scritto, come al solito, e coraggioso piu` del solito.
    Bravo Kenji.