Microrganismi semiotici: prime prove di vita simbolica autonoma

Serie: ATLANTE DELLE TERRE SOMMERSE


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Frammenti dall'archivio di Giorgio Traüber.

a cura di

Giorgio Traüber


Premessa

Tra il 2002 e il 2005, nel corso di una collaborazio­ne non ufficiale con il laboratorio sperimentale D.I.C.O. (Dipartimento di Informatica Cognitiva Occidentale), ebbi modo di esaminare alcune ano­malie comportamentali rilevate in ambienti digitali ad alta informatizzazione.

L’ipotesi, inizialmente accolta con scetticismo, era che determinati segni linguistici, in contesti di co­municazione accelerata, tendessero a replicarsi in modo non intenzionale, assumendo un comporta­mento parasimbolico virale.

Il fenomeno fu da me denominato Glossovirus A0: un agente semiotico a trasmissione concettuale, con proprietà mutagene e autoreplicative*.

Definizione operativa del Glossovirus A0

Il termine Glossovirus A0 indica un’entità lessicale autogenerante che:

1. nasce come sintagma decontestualizzato in ambienti testuali saturi (forum, mailing list, feed aggregati);

2. si replica spontaneamente in testi distinti, senza attribuzione consapevole o referenza comune;

3. muta forma fonologica e semantica a ogni iterazione, mantenendo una matrice identi­ficabile;

4. produce, nella comunità, una percezione di senso che precede l’elaborazione logica.

Es. tipico (2004): la locuzione “smagrìa di vuotìle” compare in 47 diversi blog italiani nell’arco di due settimane, senza alcuna relazione tra gli autori, e in assenza di fonti primarie note**.

Fattori di attivazione

L’attivazione di un Glossovirus dipende da tre condizioni:

• Densità informativa critica: ovvero il supe­ramento di una soglia quantitativa di segni per unità testuale (definita in termini di Token Saturation Index***);

• Interazione trans-retorica: passaggio indi­retto di strutture linguistiche attraverso commenti, condivisioni, plagi;

• Ambiente interattivo saturo e sregolato (chat affollate, thread caotici): spazi comuni­cativi con moderazione scarsa o assente.

Tali condizioni favoriscono la formazione di unità semiotiche autonome, simili a virus, con un ciclo vitale breve ma intenso.

Osservazioni sperimentali (2003–2006)

Durante le mie osservazioni (raccolte nel Taccuino Speculare n. 17), ho identificato almeno cinque cluster virali compatibili con il ceppo A0.

Il primo, “vàntri di colméa”, compare con inattesa frequenza in ambienti testuali non correlati: forum di grafica, diari esistenziali, perfino in alcune descrizioni di sogni. Nessuno degli autori ne chiarisce il significato, eppure la sua collocazione nei testi suggerisce un nodo concettuale oscuro, legato a una forma di pressione emotiva.

Il secondo sintagma è “flònta diraméssica”: una struttura verbale-visuale, apparsa in 42 testi nell’arco di un solo mese (giugno 2004), sempre accompagnata da stati di smarrimento percettivo o autoanalisi compulsiva. 

“Diraméssica”, pur essen­do priva di etimo, assume rapidamente funzioni aggettivali stabili.

Terzo esempio, ancora più spiazzante, è “nèsca in fridòrla”, registrata in almeno 37 post poetici spar­si su piattaforme diverse. Anche qui, si tratta di un sintagma che compare senza spiegazione né com­mento, ma che mostra coerenza collocazionale: viene usato sempre per designare eventi minimi, irrilevanti sul piano narrativo, ma carichi di una tensione formale inspiegabile.

Seguono poi “trosca di belùnide” – isolata in alcuni testi sperimentali generati da I.A. nel 2005 – e “sèmbro di cronità”, più tarda ma già virulenta nella sua struttura semantica opaca. La prima sembra designare uno squilibrio interno agli algoritmi generativi stessi, mentre la seconda appare in contesti teorici, spesso associata a un tipo specifico di ossessione linguistica.

Ipotesi evolutiva

Il comportamento del Glossovirus A0 suggerisce l’esistenza di microrganismi semiotici: unità mini­me di senso, dotate di propensione evolutiva.

Analogamente a batteri privi di nucleo, questi sin­tagmi si replicano in ambienti favorevoli senza ne­cessità di intenzionalità autoriale.

Potremmo definirli parole ferali: nate dall’uomo ma capaci di sopravvivere al contesto che le ha prodotte****.

Implicazioni teoriche

Se l’ipotesi verrà confermata, dovremo rivedere totalmente il concetto di autorialità linguistica.

Un futuro glossovirus potrebbe evolvere in specie retoriche stabili, capaci di soppiantare modelli narrativi consolidati e, da lì, l’intera percezione del reale.

Già oggi, in certi ambienti letterari sperimentali (v. i siti ipersemiotici come “Verba Incerta”, am­ministrato fino al 2005), si osserva una crescente produzione di testi composti esclusivamente da lessico autogenerativo: romanzi interamente costruiti su sintagmi virali*****.

Conclusione provvisoria

Il Glossovirus A0 potrebbe rappresentare l’anello mancante tra il linguaggio umano e un sistema narrativo post-biologico, esattamente come, nei secoli passati, qualche altra forma virale deve aver costituito un ponte fra la scrittura automatica e quella conscia.

Fra il linguaggio dei sogni e quello della realtà.

Il futuro della comunicazione potrebbe riservarci parecchie sorprese: non più storie scritte per essere lette, ma parole tracciate per riprodursi.

L’avvenire della semiotica, forse, non sarà erme­neutico, ma epidemiologico******. 

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******Giorgio compose questo saggio nei primi mesi del 2006, dando il via alla decennale rivalità con colui che, nel tempo, egli stesso definì “il suo più acerrimo oppositore”, ossia il cronista teramano Valerio Ramieri, che lo accusò apertamente, su una testata nazionale, di aver “biologizzato la lingua a fini estetici” (cfr. articolo sottostante). Mio fratello, infatti, s’era intestardito nel tentativo di dimostrare che le parole agirebbero come virus silenziosi, capaci di trovare nuovi ospiti anche in assenza di pensiero. Questa teoria, in seguito, è stata da lui ripresa più volte e rimodellata su argomenti diversi, alcuni dei quali inclusi nella presente raccolta.

A parer mio, questo suo vecchio saggio rappresenta uno tra gli scritti più lucidi e, insieme, visionari mai redatti da Giulio, pur avendone segnato l’inizio del declino. — G. T.


“Il caso Traüber: sintassi come contagio?”

di V. Ramieri

da “L’Esagono Critico” – Anno XXVI, n. 3.

Giugno 2006

“Nello squinternato mondo degli intellettuali, sembra essersi fatta largo una nuova, perniciosa tendenza: quella di distorcere del tutto la realtà, confezionando saggi pseudoscientifici completamente campati per aria.

Nella “scuderia” di questi nuovi “autori”, c’è chi si diletta a infettare le menti con idee sbagliate, e chi con parole inutili.

Giorgio Traüber appartiene a entrambe le categorie.

Il suo recente ‘glossovirus’ (fantomatica entità linguistica a trasmissione simbolica), non è che l’ultimo prodotto di una deriva stilistica che confonde la metafora con la microbiologia, la retorica con la virologia.

Traüber non è un teorico, ma un parassita concettuale: prospera nell’ambiguità, predica il contagio come forma espressiva, e spaccia coincidenze poetiche per dati osservabili, biologizzando la lingua a fini estetici.

Nella migliore delle ipotesi, siamo di fronte a un caso patologico di narcisismo speculativo.

Nella peggiore… bah.

In ogni caso, si parla di un soggetto pericoloso. Soprattutto se – come temo – qualche lettore sarà tanto sprovveduto da credere alle favole che imbastisce.

Sarebbe ora che la comunità intellettuale riconoscesse quest’uomo per ciò che davvero è: non un eretico, ma un mistificatore.”

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Discussioni

    1. Ciao Tiziana! Grazie mille per la lettura!🙏🏻 L’idea di sviluppare la storia di un virus linguistico mi ha sempre allettato. Avrei voluto fare un racconto horror a tema, poi ho scoperto che esiste un film con questa tematica (Pontypool, dicono che sia anche carino), e allora ho deciso di fare qualcosa di diverso😄

  1. Per quanto sia un racconto e quindi tutto inventato (compresi i termini scientifici), io trovo riscontro in quello che dici: è provato che parliamo per frasi fatte e ci sono poi delle mode linguistiche, tipo: parlare in corsivo, i coatti, “lo famo strano”, ecc., senza bisogno di IA.
    Io stessa, a volte, arrabbiata con le diete, ho infettato la lingua italiana con neologismi tipo “chiattura”, ovvero la maledizione del sovrappeso, e l’etimo sarebbe: “chiattezza” dal napoletano “grassezza”, più “iattura”.
    Ma forse non ho capito niente e sono uscita fuori tema.

    1. Ciao Concetta! Grazie mille per la lettura!🙏🏻 Hai capito bene: nella mente contorta di Traüber, ogni neologismo – adeguatamente amplificato dalla rete o da un acceleratore mediatico – è un potenziale organismo vivente. Chiaramente questa è solo la speculazione del protagonista, e non è importante ai fini della storia. Ogni episodio serve solo a spiegare la natura stessa della serie (che è un viaggio nella mente di Traüber). Qui voglio giocare col bisogno umano di trovare sempre un senso comune a ciò che abbiamo di fronte (chi è abituato a scrivere, poi, è ancora più influenzato da questa necessità: è inconcepibile un testo che non abbia trama e morale, che non porti da nessuna parte, che non conceda nemmeno il piacere di una forma narrativa), ma poi, se ci troviamo ad analizzare un’esistenza (quella di Giorgio Traüber), scopriamo che la vita è l’unica cosa che non ha bisogno di altro senso se non quello che ciascuno sceglie di attribuirle.🤗

  2. Ho la sensazione che ogni capitolo di questa serie possa diventare potenzialmente il prologo di un romanzo ampio e complesso oppure l’incipit di un film.
    La parte finale è la mia preferita: sembra effettivamente l’inizio di un distopico di alta qualità, di quelli che quando li finisci rimani attonito, con più domande che risposte ma comunque soddisfatto. E sbaglio o c’è anche un pizzico di autoreferenzialità? 😼

    1. Siii😊 È il modo giusto di approcciarsi a questa serie! La frammentazione, le storie potenziali che ne potrebbero scaturire, l’autoreferenzialità (Traüber parla di sé stesso con le proprie teorie, come lo scrittore scrive sempre di sé, con i propri racconti). È tutto esatto, Mary🤗

  3. Ciao Nicholas, ho latitato tra i commenti di qualche episodio, intento a decifrare le esposizioni dal carattere pseudoscientifico, al fine di trovarne i presupposti a sostegno di una storia, ma devo confessare che, verosimilmente per mia ignoranza, non ci sono riuscito: mi sono solo perso. Abbi pazienza, grazie e a presto

    1. Ciao Paolo! Lo so: finirò col farmi odiare per colpa di questa serie🤣 Ti ringrazio tanto per la lettura e per il commento sincero🙏🏻 Onde evitare di fare sentire truffato il lettore, voglio specificare che i saggi (e ciò che seguirà dal prossimo episodio) non sono utili allo svolgimento di una storia. Il mio intento è di rappresentare per accumulo e indirettamente la vita e il pensiero del protagonista, attraverso gli occhi apparentemente imparziali del fratello. Insomma: è un esperimento di patafisica fine a se stesso.