Nato sbagliato
Serie: Morirò d'estate
- Episodio 1: Morirò d’estate
- Episodio 2: Bastardo
- Episodio 3: Fame d’amore
- Episodio 4: Mind to mind
- Episodio 5: Uomo fritto
- Episodio 6: Mutande nuove
- Episodio 7: Sarai felice
- Episodio 8: In gabbia
- Episodio 9: Chiamato per nome
- Episodio 10: Campo Base
- Episodio 1: Morto e risorto
- Episodio 2: Tutto questo per me?
- Episodio 3: Nuova possibilità
- Episodio 4: Amare per primo
- Episodio 5: La gallina che becca
- Episodio 6: Nato sbagliato
STAGIONE 1
STAGIONE 2
Mi sentii un po’ più leggero, come se mi fossi liberato di un peso. Ma il sollievo fu di breve durata.
Mi sciacquai la faccia, cercando di cancellare le tracce del mio gesto, ma non potevo cancellare il senso di vergogna e di colpa che mi attanagliava.
«Non è successo niente!» mi dissi, guardandomi allo specchio.
I miei occhi bruciavano, la mia pelle era gelida e pallida. Mi sentivo come un fantasma, senza sostanza né consistenza.
Cercai di nuovo di guardarmi allo specchio, di trovare un po’ di compassione per me stesso. Ma era difficile trovare qualcosa da amare in quell’immagine riflessa.
Uscii dal bagno e mi sdraiai sul letto, esausto.
Volevo solo dormire.
Mi voltai sul fianco sinistro, osservando la gallina che continuava a beccare, mentre la lancetta dei secondi scorreva.
Il silenzio sembrava avere un peso fisico, un’oppressione che faceva risonare il ticchettio delle lancette come un martello contro le pareti della stanza.
Abbracciai il cuscino come un salvagente, e invocai Morfeo, perché venisse a prendermi e mi portasse via, dentro sogni che non mi appartenevano, ma che speravo fossero migliori della realtà che stavo vivendo.
Mi addormentai con ancora il sapore acido del vomito in bocca e la sensazione di essere intrappolato in un incubo senza fine.
Erano le cinque del pomeriggio, quando mia madre bussò alla mia porta, con in mano una tazzina di caffè caldo e un biscottino al burro.
Poggiò tutto sul comodino a fianco della sveglia, con la gallina che continuava a beccare.
Con un sorriso mi invitò ad alzarmi, come se volesse scuotermi dal mio torpore.
«Grazie mamma!» dissi, poggiandomi allo schienale del letto e prendendo in mano la tazza fumante.
«Senza zucchero giusto?» esclamò lei.
Annuii con la testa e bevvi quel caffè in un sorso.
Poi mi alzai e feci per uscire dalla camera.
«Il biscotto non lo mangi?» mi esortò.
Il tono della sua voce era basso e sul suo viso lessi un’espressione di preoccupazione.
«No mamma, non mi va. Grazie!» risposi uscendo dalla stanza.
Andai in bagno, mi sciacquai il viso cercando di svegliarmi del tutto, ma il mio riflesso nello specchio mi ricordò che non ero ancora pronto ad affrontare il pomeriggio e soprattutto mio padre.
Presi il portafoglio dal comodino e tornai in cucina, dove trovai mia madre intenta a lavare la tazzina.
Il suono della tv accesa, un misto di voci e musica, proveniva dalla camera da letto dei miei genitori, dove mio padre probabilmente stava oziando come sempre.
«Per fortuna! Così non dovrò vederlo» pensai.
«Mamma, io esco, vado a far visita a Giorgio che non vedo da molto» dissi.
«Giorgio?» rispose lei con aria perplessa, come se stesse cercando di ricordare chi fosse quel Giorgio.
«Si!» risposi frettolosamente, dandole un bacio sulla guancia e dirigendomi verso l’uscita, mentre sentivo il suo sguardo su di me.
Mi voltai a salutarla di nuovo con la mano, aggiungendo: «A proposito, stasera ceno fuori con lui».
Uscii di casa e con la coda dell’occhio scorsi mia madre, che mi osservava dall’uscio.
In realtà, non esisteva nessun Giorgio e la mia era solo una scusa per poter uscire ed evitare di rivedere mio padre.
Mi diressi verso la chiesetta del paese, attratto dal suono delle campane.
Non ci entravo da anni, ma volevo evitare di vedere gente che conoscevo e riposare i piedi.
La prima cosa che notai fu una statua della Madonna identica alla Madonna in gabbia.
«Sarà scappata pure lei!» pensai, sorridendo.
Una signora mi rispose con un sorriso, come se avesse letto i miei pensieri.
Mi sedetti all’ultimo banco, dove potevo osservare il Crocifisso in tutta la sua grandezza.
Era così diverso dal Cristo Risorto, che avevo imparato a pregare.
Il suo volto sofferente era coperto da una corona di spine così realistica che mi fece percepire dolore. Il suo petto era scarno e insanguinato, e le sue mani e i suoi piedi erano inchiodati alla Croce.
Rimasi a guardare quel Crocifisso non so per quanto tempo, perso nei miei pensieri.
Mi sentii piccolo e fragile davanti a quella immagine di sofferenza.
Poi, quando mi accorsi che dalle grandi finestre della chiesa non entrava più il sole, decisi di uscire.
Passeggiai per il paesino, sperando di non incontrare nessuno, fino a quando non fui certo che era abbastanza tardi da poter fingere una cena fuori.
Quando rientrai, trovai mia madre ad aspettarmi, non mi disse nulla, mi sorrise e mi accarezzò il viso. I suoi occhi erano velati di tristezza, ma il suo sorriso era ancora lì.
«A che ora parti domani?» mi chiese.
«Alle sette mamma!» risposi.
Mi baciò sulla guancia e poi si diresse verso la sua camera.
Mi vergognai profondamente per non essere riuscito, ancora una volta, a stare con lei e a parlarle sinceramente.
Andai in bagno, mi lavai i denti, indossai il mio pigiama giallo e mi coricai.
La mattina dopo, mi svegliai prima che la sveglia suonasse.
Mi vestii velocemente e mi diressi in cucina. Mia madre era già lì, col suo biscotto e il caffè già pronto da darmi.
«Questa volta il biscotto lo mangi!» mi disse.
Sorrisi e lo mangiai svogliatamente, alternando ad ogni morso un sorso di caffè.
Poi presi il mio zaino e la salutai con un abbraccio.
Mentre mi dirigevo verso l’uscita, mi sentii chiamare: «Aspetta, hai dimenticato questa!» mi disse mia madre, porgendomi la sveglia con la gallina che becca.
Mi scappò una risata, poi la abbracciai ancora una volta, prima di uscire di casa.
Mentre mi incamminavo verso la fermata dell’autobus, pensai che non potevo continuare a vivere così e che dovevo dare una svolta alla mia esistenza, ma non avevo idea di come fare.
«Sono nato sbagliato!» pensai salendo sull’autobus, che finalmente mi avrebbe portato nella mia isola, che mi faceva sentire “giusto” o per lo meno vivo.
Il motore dell’autobus rombò e si avviò, e io mi sentii un po’ sollevato al pensiero di lasciare tutto alle spalle.
Era un sentimento strano, quello che provavo per quell’isola, come se fosse l’unico posto al mondo dove potevo essere me stesso senza paura di essere giudicato.
Serie: Morirò d'estate
- Episodio 1: Morto e risorto
- Episodio 2: Tutto questo per me?
- Episodio 3: Nuova possibilità
- Episodio 4: Amare per primo
- Episodio 5: La gallina che becca
- Episodio 6: Nato sbagliato
“Era un sentimento strano, quello che provavo per quell’isola, come se fosse l’unico posto al mondo dove potevo essere me stesso senza paura di essere giudicato.”
Una frase che lascia ben sperare. Ho la sensazione che ci sarâ una svolta e spero tanto in un cambiamento positivo: la sorte di questo ragazzo, dopo sedici episodi coinvolgenti, mi sta tanto a cuore.
La considerazione finale, quel “sono nato sbagliato”, mi ha stretto il cuore. Capita a molti di pensarlo, prima o poi, eppure non dovrebbe pensarlo nessuno, perchè nessuno si merita un pensiero simile. Purtroppo i genitori del protagonista non lo stanno aiutando per niente, anzi. L’immagine dell’isola come luogo di pace mi è piaciuta molto.
È vero, nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato, ma spesso capita.
I genitori del “mio” protagonista possono essere considerati tossico, ma volendo anche intossicati dal disamore e dall’indifferenza.
Grazie @Dea per l’attenzione che mi riservi sempre. 🙏🏻
Ottimo! Una bella lettura
Grazie @kenjialbani 🙏🏻