Nella pietra
Serie: Una città di perdenti
- Episodio 1: Compiti
- Episodio 2: Presenza
- Episodio 3: Nella pietra
- Episodio 4: Eredità – parte 1
STAGIONE 1
Una melodia ripetitiva si fece strada da dentro la borsa lasciata sul mobiletto, attutita da un contenuto fatto di agende, riviste, portamonete, chiavi; oltre al necessario per sistemare, all’occorrenza, il trucco che Mary portava leggero sul viso. Riconobbe il cicalio del telefono (sempre lo stesso motivo nonostante i dispositivi si fossero succeduti nel tempo) che le era stato consegnato il giorno in cui, sei anni prima, all’età di 54 anni ed in leggero anticipo rispetto alla media dei suoi colleghi era divenuta titolare della cattedra di Letteratura Inglese presso il dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Pittsburgh in Pennsylvania.
Ignorò deliberatamente il richiamo insistente, lasciando che l’ultimo squillo si interrompesse a metà, come una lama la cui punta si spezza sotto il tappo di un barattolo che non vuole saperne di aprirsi.
Tutti coloro che Mary aveva ritenuto di dover avvertire al Campus erano al corrente del fatto che per qualche giorno si sarebbe trovata fuori città, e che se avessero avuto necessità di discutere qualche questione con lei avrebbero dovuto farsi precedere da una email, che Mary avrebbe letto se e quando avesse trovato il tempo di farlo. Il campo in cui operava non aveva implicazioni legate a questioni di vita o di morte, dunque la chiamata e chiunque si fosse trovato all’altro capo del telefono avrebbero potuto attendere.
Lo squillo era però servito a riportare Mary al presente, persa com’era nei ricordi che ogni angolo di quel posto le rimandava. Succedeva ogni volta che chiudeva a chiave l’appartamento di Pittsburgh in cui abitava, saliva in macchina, imboccava la statale 22 in direzione est e guidava per le circa tre ore necessarie a raggiungere Looser e la casa immersa nella campagna che circondava il piccolo paese.
Si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra davanti al tavolo della sala da pranzo, aprì le ante e scostò le imposte, spalancandole e fissandole alla parete esterna con entrambi i fermi.
Un tiepido sole primaverile fece irruzione nell’abitazione, inondando ogni cosa con la sua presenza gentile e discreta, ed un soffio di vento portò un refolo di aria fresca tra le mura domestiche, spazzando via per un istante l’odore del vissuto che impregnava i muri di quella casa, che sarebbe ritornato a farsi sentire non appena le finestre sarebbero state nuovamente richiuse.
Da quella posizione poteva vedere chiaramente, oltre la stradina privata in terra battuta, l’appezzamento di terreno che tanti sentimenti aveva suscitato in sua madre Sarah, più spesso frustrazione che appagamento anche quando i raccolti erano stati dignitosi, e che in seguito alla sua morte era stato mantenuto attivo da parte di Letho più come tributo verso la moglie che per reale interesse o necessità.
Al limitare del campo resisteva ancora stoica, nonostante la vernice sbiadita da sole, pioggia e neve, quella che a memoria di Mary era sempre stata la cuccia dei cani che negli anni avevano fatto parte della famiglia Deemer. Ad ogni nuovo arrivo, quando la morte di uno lasciava il posto all’ingresso di un altro, il proposito ricorrente era sempre quello che questa volta, fosse cascato il mondo, il cane avrebbe passato le notti lì dentro. Quantomeno non appena avesse smesso di essere cucciolo, o avesse smesso di piovere, o avesse smesso di fare così caldo o così freddo o quel vento irritante che faceva scricchiolare le assi di tutte le case nei paraggi avesse smesso di soffiare; per poi finire inevitabilmente a dormire ai piedi (e più spesso sulle coperte) di un letto matrimoniale o singolo che fosse, a seconda di chi quel giorno il cane aveva riconosciuto come capobranco.
Quella casetta in miniatura, riverniciata più volte nel corso del tempo ma sempre negli stessi colori giallo e blu come venivano rappresentati nella bandiera della Pennsylvania, da tre anni a questa parte non era più stata abitata da nessun familiare a quattro zampe. Buck, l’ultimo ad andarsene alla più che rispettabile età di 15 anni per un cane della sua taglia, aveva lasciato nel cuore di Letho un solco così profondo, così irrimediabilmente incolmabile, da fargli prendere la decisione che dopo di lui non ce ne sarebbero più stati altri.
«Quando ti ritrovi ad avere 84 anni» aveva detto Letho parlando a Mary seduti sul dondolo in veranda, senza guardarla negli occhi ma rivolgendo lo sguardo alla casetta vuota, lui con una Chesterfield tra le dita e lei con una bottiglia di Miller Lite in mano, «non sei più tanto sicuro sul chi dovrebbe badare a chi. E chiunque sia ad andarsene per primo, l’altro da solo non se la caverà a lungo. No, meglio lasciare che di un cane se ne occupi una famiglia giovane, non un vecchio che vive da solo». In quell’occasione Mary avrebbe voluto controbattere con qualcosa di sensato, che rincuorasse il padre, ma non aveva trovato di meglio che sorridergli, posare il palmo sul suo dorso rugoso, sfilargli la sigaretta dalle dita e infilarsela tra le labbra per una fugace boccata, che le aveva lasciato sulla lingua un retrogusto pastoso simile al rimpianto.
Quando Mary aveva restituito la sigaretta al padre, Letho aveva accennato ad un gesto di rifiuto con la mano.
«Sono a posto così» aveva detto in tono compassato, «finiscila tu».
Poi si era guardato le unghie della mano, pensando che di lì a poco sarebbe stata ora di tagliarle, e quasi rivolgendosi a sé stesso aveva detto:
«Non ne abbiamo mai parlato veramente. Ho sempre avuto paura di dire la cosa sbagliata, ma forse avrei dovuto prendermi quel rischio…»
«Papà, avremo discusso di Josh un’infinità di volte. Un divorzio non è la fine del mondo. È un po’ come ripassare dal via.»
«Lo so. Ma io mi riferivo a quell’altra cosa. Tu pensi che alla lunga abbia influito sul vostro matrimonio?»
«Accidenti papà, io ho 57 anni e lui ne ha 58. Ce ne siamo fatti una ragione un mucchio di tempo fa. È stato già un miracolo che io sia rimasta incinta quando è successo. Non è mica scritto nella pietra che uno debba avere dei figli.»
«No» aveva risposto Letho, «non lo è».
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“Non è mica scritto nella pietra che uno debba avere dei figli.»«No» aveva risposto Letho, «non lo è».”
Inutile dire che questa è stata la mia parte preferita. Forse, perché è un argomento che, prima o poi, tutte le figlie affrontano con il padre.
Grazie per avermelo fatto sapere Mary!
“aveva lasciato nel cuore di Letho un solco così profondo, così irrimediabilmente incolmabile, da fargli prendere la decisione che dopo di lui non ce ne sarebbero più stati altri.”
Questo passaggio mi ha fatto venire in mente il mio babbo con Giobbe, uno dei gatti che oggi non c’è più: dopo la sua morte ha giurato che non avrebbe più preso animali, perché quando se ne vanno lasciano un dolore immenso; poi è arrivato Giambruno e se tu li vedessi sono come culo e camicia. È proprio vero che quando si ha tanto amore da dare, un cuore solo per contenerlo non basta. ❤️ Chissà se nel corso degli episodi vedremo Letho con un nuovo compagno a quattro zampe. 🪻
Che riflessione bellissima Mary, è stata il premio migliore che potessi ricevere per avere scritto quel pezzetto di storia. Grazie❤️
È stata una sorpresa questo salto temporale (una gradita sorpresa). Dunque, non posso fare altro che aspettare il prossimo episodio per conoscere meglio questa Mary cinquantasettenne!
Mi fa piacere che il salto sia stato gradito. Grazie per la lettura come sempre e alla prossima!
Ciao Roberto, mi è piaciuto tantissimo il dialogo tra Mary e Letho. Sei riuscito a creare un’intimità profonda e credibile tra padre e figlia, fatta di piccoli gesti, silenzi e parole trattenute. È una scena, delicata e intensa allo stesso tempo. In poche battute hai reso tutta la complessità del loro rapporto. Davvero bravo!
Grazie Tiziana, detto da te è proprio un bel complimento.
Ho letto tutti e tre gli episodi. Mi piace molto come scrivi. C’è ritmo, tensione, e in poche righe riesci a dare una profondità sorprendente ai personaggi.
Grazie Gianluca. Sono molto contento che la storia ti piaccia, alla fine il gradimento da parte di un lettore è il premio più ambito per chi scrivere, quindi me ne hai appena consegnato uno bello grande.
Bello il racconto e bello il rapporto tra questo padre e sua figlia. Ho apprezzato il salto temporale che rende piú attuale e molto realistica questa storia che non so ancora dove ci porterà, ma sono certa che continuerà a essere coinvolgente.
Grazie Maria Luisa, me lo auguro. Spero coinvolga chi legge come sta coinvolgendo me.
“«No» aveva risposto Letho, «non lo è»”
Questa risposta mi è piaciuta tantissimo. Detta da un padre alla figlia, equivale a un atto d’amore.
Verissimo
Che meraviglia questo salto temporale. Non so come, ma ho avuto la sensazione di essere stata con Mary e Letho per tutto il tempo, come li conoscessi da sempre. Potenza dei personaggi…
Che bel complimento mi regali, un premio per l’impegno che ci metto.
Belle ambientazioni e precise ricostruzioni e poi la carezza che procura il dialogo padre/figlia, quel gesto tanto intimo di raccogliere la sigaretta dalle dita dell’altro… delizioso.
Grazie Giuseppe, sì, a rileggerlo quel passaggio un po’ è piaciuto anche a me 😊.
Hai un ritmo di scrittura serrato avvolgente e conico.
Spero di poter leggere il seguito.
Grazie per la lettura Gabriele, alla prossima allora!
I dialoghi sono la parte che sto amando di più di questa storia. Mi incanta la saggezza di Letho, colpisce e al contempo accarezza. Sono stata contenta di scoprire che Mary lo abbia ancora accanto.
Bravissimo anche stavolta, non vedo l’ora di leggere il prossimo episodio.
Grazie Melania, sei sempre un bello sprone per la prosecuzione delle mie storie.