
Nicholas
Serie: Buio al tramonto
- Episodio 1: Pesca grossa
- Episodio 2: Qualcosa che mi appartiene
- Episodio 3: Nicholas
- Episodio 4: George Robertson
- Episodio 5: Eliah Blackthorne
STAGIONE 1
Chicago – Illinois
Capitolo 1 – Nick
1
Con un click brutale che la fece sparire dallo schermo, Nicholas Robertson eliminò la cartella dalla memoria del suo PC. Venticinque mila parole erano appena finite nella pattumiera digitale, dove sarebbero rimaste per sempre. Il fatto è che quelle parole, per Nicholas, iniziavano a puzzare di rancido. Era la terza volta nel giro di un mese; scriveva decine di pagine al giorno, cavalcando l’onda dell’entusiasmo, per poi fermarsi a rileggere, e scoprire di aver creato il nulla. Afferrò il mouse con la mano destra, e lo strinse fino a sentire lo scricchiolio della plastica che cedeva.
Doveva concentrarsi di più. Se gli era riuscito una volta, allora perché non una seconda? Perché non poteva sfornare un altro romanzo in due mesi, come era successo con Stella d’inverno, ora già nelle mani dell’editore?
Posò il mouse, che per miracolo non si era frantumato sotto la sua presa. Allungò la mano sotto la scrivania ed estrasse dal mini frigo una lattina di birra. Gli era toccato acquistare quell’aggeggio, costato centocinquanta dollari, per evitare le occhiate storte dei suoi. Pretendere di essere uno scrittore era già abbastanza, in casa di Geroge Robertson, revisore contabile. Bere birra in camera da letto avrebbe significato varcare la sottile linea rossa.
Aprì la lattina, strinse i denti allo schiocco dell’alluminio che si spezzava e ingurgitò un sorso. L’aroma del malto ghiacciato e la schiuma sulle labbra gli diedero il tanto desiderato effetto distensivo. Ora andava meglio. Poggiò la lattina sulla scrivania e si guardò attorno. Quella stanza era stata la sua cameretta quando era bambino. Ora, a venticinque anni, la chiamava la mia stanza – non più cameretta– e la coperta di Mickey Mouse era stata soppiantata da una in tinta unita, ma il letto a una piazza e mezza era lo stesso. Sulla parete, sopra lo schienale del letto, sporgeva una mensola sulla quale erano ammassati alcuni libri voluminosi. Tra essi, Diritto commerciale. L’occhio gli cadde su un foglio affisso con una puntina alla bacheca di sughero; era il calendario degli esami universitari dell’anno precedente. Avvertì una sensazione di prurito nelle vene delle braccia. Era sempre così: la birra lo rilassava se doveva leggere un romanzo, ma aveva anche un effetto amplificatore sull’incazzatura.
Si alzò, e in due passi raggiunse la finestra. Appoggiò i gomiti al davanzale e contemplò in silenzio le chiome verdi e i vialetti del Millenium Park, per poi perdere la vista nel Lago Michigan, oltre il quale la costa si palesava in una sottile strisciolina tra l’azzurro dell’acqua e quello del cielo. Forse, in tutto ciò sperava di trovarci qualche indizio di cosa avrebbe dovuto fare. Non con il romanzo. Con la sua vita. Sarebbe stato bello vivere in un posto del genere, pensò portando le mani ai lati degli occhi, ed escludendo i palazzi oltre i confini del parco. Sospirò, e tornò alla scrivania.
Creò una nuova cartella. Si raddrizzò sulla sedia e bevve un altro sorso; e un altro ancora, non poteva farne a meno. Pigiò il primo tasto. Poi un altro. E in un suono che ricordava una grossa locomotiva a vapore alla partenza, l’intervallo tra un tasto e l’altro si fece sempre più stretto. Sto creando. Era riuscito a far partire quella che chiamava la sua automobile, un mezzo vanitoso, che non partiva mai prima di aver tentato qualche volta l’avviamento. Ma quando il motore era caldo, prendeva il volo.
“Nicholas, apri la porta.”
Porca puttana.
Lo schiocco impertinente delle nocche sul legno della porta e la voce imperiosa di sua madre fecero prima sbandare la sua auto creativa, poi la mandarono fuori strada.
“Nicholas, rispondimi” sbottò. “Spegni quel computer. Scriverai stasera, che diamine!”
“Cosa c’è?”
“Tuo padre ti vuole in studio. Muoviti, Miller ti aspetta con l’auto accesa.”
La carcassa della sua auto creativa, che giaceva a pochi metri dalla partenza, venne avvolta dalle fiamme, alimentate dall’alcol.
“Allora?” Un istante di silenzio. “Hai bisogno di una mano a vestirti?”
“Arrivo” disse lui, e udendo la sua stessa voce, sommessa e arrendevole, arrossì per la rabbia.
“E lavati i denti. Non hai idea dell’odore che ti lascia in bocca quella roba.”
Nick si fermò, incredulo. Afferrò la lattina – sorprendendosi trovandola vuota – e la strinse fino a provare dolore. Si alzò dalla sedia, guardandosi barcollare nello specchio. Aprì il cassettone dell’armadio e ne estrasse una camicia bianca e un paio di pantaloni blu. Indugiò contemplando la giacca, ma alla fine chiuse le ante lasciandola appesa dov’era.
Trovò sua madre in piedi, appoggiata al ripiano della cucina mentre leggeva l’Economist, in attesa che un toast al formaggio completasse la cottura.
“Miller ti aspetta” ripeté alzando distrattamente lo sguardo dalla rivista.
Nick attese un istante, prima di dire: “Stavo scrivendo.”
Lei alzò gli occhi al cielo e lanciò la rivista sul tavolo. Lo guardò. “Oh, andiamo, Nicholas. Tuo padre chiede di te nello studio contabile più prestigioso di Chicago, e tu ne sei scocciato perché stavi scrivendo!”
Nick sentì la propria coscienza muoversi dentro di sé. Era come un oceano; se qualcuno toccava un punto abbastanza preciso nei fondali, allora le acque si facevano torbide e mosse, e lui faticava a controllarle. Vedere dentro di sé diventava difficile. Sostenere ciò in cui credeva, impossibile.
“È il mio lavoro” replicò.
Ci fu una pausa, poi sua madre disse: “Nicholas, mi prendi in giro?”
“È il mio lavoro.”
“Allora comprati un appartamento e vattene. Se un lavoro ce l’hai, non vedo perché tu debba continuare a mantenerti con i soldi miei e di tuo padre.”
Di tuo padre. Nick cercò di immaginarsela in un atto copulativo con lui. Non provò disgusto, perché non riusciva nemmeno a concepirla, la scena di quella donna nelle mani di qualsiasi uomo. L’unica immagine che gli si formava nella mente era quella di lei nel suo migliore abito grigio, nell’aula di un tribunale. Si chiese quante volte i suoi genitori avessero scopato, dopo il suo concepimento.
Per qualche ragione si chiese se quella donna e quell’uomo fossero i suoi genitori. Non era la prima volta che si ritrovava a pensare di essere stato adottato. E il bello era che non aveva mai liquidato la questione con una frase del tipo: oh, andiamo, ma è assurdo!
Forse, sotto sotto sperava che fosse così.
Serie: Buio al tramonto
- Episodio 1: Pesca grossa
- Episodio 2: Qualcosa che mi appartiene
- Episodio 3: Nicholas
- Episodio 4: George Robertson
- Episodio 5: Eliah Blackthorne
Com’è possibile che sono arrivata in fondo al capitolo e nemmeno me ne sono accorta?
Gli ultimi paragrafi mi hanno lasciata di sasso, sia per l’alto livello stilistico che per la narrazione cruda.
“quelle parole, per Nicholas, iniziavano a puzzare di rancido. Era la terza volta nel giro di un mese; scriveva decine di pagine al giorno, cavalcando l’onda dell’entusiasmo, per poi fermarsi a rileggere, e scoprire di aver creato il nulla.”
La storia è di genere Horror e per quanto sarà spaventosa, per uno scrittore nulla è piú horror di una situazione del genere! 🙀
Ho provato un enorme fastidio quando la madre l’ha interrotto mentre scriveva (ecco perché aspetto di essere sola in casa quando scrivo😅). Bravo Nicola! Una storia coinvolgente.
Mi dispiace che tu abbia provato fastidio ahahah
Ma forse era quello l’intento 😉
Belle immagini… Il calendario degli esami dell’anno precedente, la lattina di birra che si svuota “da sola”, le mani come paraocchi per escludere ciò che non vogliamo vedere… e altre!
Ottimi pensieri… Quelli sull’atto sessuale dei suoi genitori, quelli sul “blocco”…
Ottimo, direi. Vado avanti!
Grazie Antonio!
Mi fa davvero piacere che tu abbia notato queste piccole riflessioni di Nick 🙂
Forse perché sei stato bravo a farle notare? 🙂
Naaah, esagerato ahah.
PS: grazie 🙂
“Forse, in tutto ciò sperava di trovarci qualche indizio di cosa avrebbe dovuto fare. Non con il romanzo. Con la sua vita.”
bellissimo questo parallelo tra arte e vita.
Ciao Nicola, in questo episodio si coglie molto bene l’essenza di un’intera esistenza in bilico, in conflitto tra arte e obbligo. Penso che ogniuno di noi l’abbia assaporato almeno una volta. Hai reso molto bene questo stato d’animo. Bravo
Felice di aver “esplorato” questo sentimento comune 🙂
“Scoprire di aver creato il nulla”: è qualcosa di paragonabile a una delusione amorosa, come risvegliarsi la mattina accanto a un amante che ha perso il fascino che, appena poche ore prima, ci aveva incantato. Ma per fortuna il lago Michigan è ancora lì, immenso come la fantasia. Il tuo stile di scrittura mi piace, così appassionato e intenso.
Bellissimo paragone, quello tra la crisi di creatività e la vita di coppia. Grazie, come sempre sei gentilissima 🙂
L’ho trovato ben scritto e piuttosto coinvolgente. Il preludio, con la vicenda della pesca, la misteriosa ampolla, oltre che il bizzarro suicidio del venditore ambulante, abbozzano una situazione che incuriosisce e lascia un alone sospeso con cui, ci si aspetta, il giovane scrittore debba in qualche modo confrontarsi. Grazie per la lettura, Nicola
Grazie a te per l’attenzione che stai dedicando a questa serie, Paolo 🙂