Niente
Senza avere le parole, non cerco più, non le conosco, non parlo più e non ascolto, non registro, non capisco e non sento nelle lettere di un alfabeto che da solo, così, logicamente, non dice niente.
Ho paura, nell’amore, nella vita, nella fiducia, nelle cose che il mio cuore ha deciso di credere, me le sono corrotte, devastate, distrutte e tradite, disintegrate in aspetti evanescenti della fuga dai presenti, nel fuggire dalle gole, dalle regole, dalle rose, dai fiori, dalle persone che belle e colorate io le ho calpestate, ho rotto me, ho distrutto un quadro che era già bello così com’è solo perché non l’ho fatto io, perché per esser libero invece di giocare ho deciso di morire.
Per esser libero invece di giocare ho deciso di morire.
Ho deciso di morire.
Invece di giocare.
Ho paura degli schemi, eppure sono io. Non ricordo, non gestisco, non mi sento più me stesso. Ho paura ma resisto e mi logoro nel mentre senza mente, senza niente, senza un quadro della mente, sentenze spente sulla gente che non sento, non mi sente, non mi sento non mi sento, sono niente.
Sono niente.
Sono niente e sono libero, sono libero e sono niente, sono niente sono niente, se mi sente chi mi sente? Se mi sente chi mi sente?
Senza mente chi mi sente?
Senza niente, senza niente, sono libero da niente. Sono libero dal niente.
Nel nocciolo delle parole, sono forse queste le ore di ricostruire semplicemente tutte le tappe della mia mente? Senza niente, solo poche sentinelle, sempre meno sentinelle, sempre meno gente che mi sente, non traduco più gli stati, tenebrosi, tenebrati, lìberati da questo, luce e niente dove stanno? Cosa c’è senza la pace? Chi mi chiede cosa fece nelle guerre della pace?
Ricorda il giorno in cui mi disse che le lune sono fisse, ricorda il giorno in cui mi disse che la falce è di Ulisse, il giorno in cui mi disse, mi disse il giorno in cui mi disse che non fece stelle, belle, forse, amiche delle stelle, giocolieri con le funi e le travi e i lampioni che la luce mi ricorda una foce delle nuvole, senza ordine e nell’orto del destino forse cresco al mattino di una fila di ciliegi senza musiche né prati, senza macchie nel colore ma un bordo del dolore mi abbracciava, mi diceva che la sete non è amara, è tanta ed è molta ed è brutta ed è fame ma con loro solo querce e corte le cortecce della merce che marciava senza sosta, senza fiato, senza niente di peccato, senza sosta, senza morte, senza carte per le strade della nuova religione che sotto un lampione dove il giocoliere gioca allora la luce del mondo era stata solo rubata, per far parte in quel niente di qualcosa di evanescente, finalmente!, ecco dov’era, ecco dov’era la luce e il niente, sotto un lampione con le corde e le aste a giocare con le palline, colorate senza occhi, senza attrezzi che gli sguardi vedessero al bagliore di una luce triangolare senza asse e senza fiato, senza niente di sensato, senza un quadro immacolato, senza un uscio da cui è uscito. Ecco, ecco io mi dico, ecco fatto il fatto di un glicine perduto, ecco qui il gioco andato, perduto, delle menti libere dal giogo, giocano sui fili, giocano con le parole, giocano coi fini delle persone, pareri astratti incongruenti convinti che le menti di un mondo ormai andato possa essere recuperato, convinti senza sosta delle molle di un giardino che ora è buio ma poi supino supera il guado del gorilla senza sete e senza strilla, senza emozioni poi mi parla di un fuoco mai toccato, troppo lontano e sconosciuto, ma se lo vedi poi è vero, è caldo e sincero, è tenero e rovente come un diamante del serpente.
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Riesci a far percepire l’angosciante malessere di un cervello destrutturato e tormentato da chissà quali demoni