
Occhi verdi pieni di botte nascoste
Serie: Il dolore delle parole scomposte fra noi
- Episodio 1: Occhi verdi pieni di botte nascoste
STAGIONE 1
Sto per testimoniare contro mio padre. Il sole è caldo, tipo una patatina fritta ustionante e troppo umida per essere buona. Io mica sono pronta a quello che devo dire.
Sono le sedici di pomeriggio e sono qui, siamo qui, dalle undici del mattino.
Tutti hanno avuto fretta di esserci, Lorenzo, mia madre, la sua, l’avvocato.
Tutti con un tacito, mi raccomando alle undici in tribunale.
Io che devo testimoniare l’ho scoperto solo un’ora fa.
Perché io le cose non le so mai?
Ho una camicia con le palme verdi e viola, forse troppo trasparente per un tribunale, ma almeno sono accollata.
Mi chiederanno di mio padre.
Tipo se è vero che ha picchiato mia madre, se l’ho vista menata a terra o troppo vicina con la testa ad uno spigolo di marmo.
Mi chiederanno se mio padre è un truffatore?
Dovrebbero farlo, lo è.
Io dentro questa camicia nuova, che ha pure delle perline carine sulle cuciture, pagata ben 59,99 euro solo due giorni fa, posso sembrare una brava persona.
Mi sento di esserlo?
Mi verrebbe da rispondere come la cifra di quella camicia, 60 euro per un capo del genere è poco, per altri tanto.
Oggi denunciando mio padre mi sento di dire che sono una brava persona.
Ma per tutti gli altri ieri in cui non l’ho fatto, direi che non lo sono.
E forse quello che mi ha condotto ad amare Lorenzo, o forse più che altro a volerli bene, non mi ha portato ad essere una brava persona.
Poi la domanda delle domande; può la figlia di un delinquente essere una persona onesta?
Nessun giudice lo chiederà mai, spetta a me, sul rialzo di ogni mia notte insonne, farlo.
Tengo in braccio Lucifero, nero e spettinato e ho caldo, davvero caldo, troppo, sono sola al bar e gli altri sono ad aspettare nelle aule interne.
Sono sei anni che non vedo Lorenzo e che non lo sento, se non per questo ultimo avvenimento in cui negli ultimi mesi ci siamo trovati a rimettere in scena la fine di un noi in mezzo alla fine della mia famiglia.
Lucifero cerca il cibo ed io vorrei sparire e più vorrei farlo, più la gente si ferma a guardarlo.
-Quanto ha?
C’è una donna bassa con una casacca di lino chiara, prova ad accarezzarlo, ma io mi ritraggo.
-Sedici anni, ne ha sedici.
-Ma è impossibile, tu guarda com’è carino!
La gente ha questo vizio insolito di sapere la tua vita privata meglio di te stesso.
C’è un avvocato in mocassini color cappuccino che sparge sul tavolo accanto al mio faldoni pieni di nomi e verbali, ci appoggia un tramezzino pieno di tonno, poi apre una bottiglia d’acqua troppo forte e mi volta le spalle. I nomi delle cartellette gialle invece rimangono a guardarmi, chissà a quali domande dovranno rispondere quelle persone di cui ora so nomi e indirizzi.
È un tribunale brutto e tutto di cemento grezzo, ci sono macchine parcheggiate ovunque, camion in doppia fila, passeggini fuori contesto che imboccano strade contromano grazie a madri distratte e spregiudicate.
C’è caos, troppo.
Non sono pronta a rivedere Lorenzo, non ce la faccio.
Scrivo a mia madre che sono nel panico, che Lucifero non sta bene, che non ho nemmeno il guinzaglio, che voglio andarmene, che è tutto uno sbaglio.
È così che piango composta nella mia sedia nera e scomoda di un bar di città e dall’altro lato, due tavoli più avanti, un uomo in camicia grigia comincia a guardarmi, forse devo fargli pena, rossetto bordeaux a lunga tenuta e lacrime che non trattengono nemmeno il riservo di piangere in privato.
Pago e me ne vado, con il cemento molle sotto le scarpe e i pantaloni bianchi ormai tutti neri e stropicciati sugli orli, ci sono cartelloni di festival estivi, ancora bambini, un’edicola che ormai ha già chiuso dove non posso cercare nessun giornale in cui sfogliare via la mia ansia.
Quando finalmente salgo in macchina Lucifero si abbandona al sedile di guida ed io accanto piango ancora, la pelle della macchina è una brace accesa ed io sono sudata, Lucifero fa la pipì ovunque ed io non respiro più, come se il colletto della camicia potesse porre fine alla mia vita con botticini scuri e perline luminose.
-Anna! Anna, dai andiamo.
Mia madre è alla portiera.
-Non siete ancora entrati?
-No, l’avvocato dice ci vorrà ancora un’ora, torniamo al bar. Lorenzo e sua madre ti stanno aspettando.
Nelle mani mi raccolgo i capelli sciolti come se potessi anche sollevare i miei pensieri, mia madre mi dà il suo guinzaglio, Lucifero cammina piano mentre io mi sento ancora più lenta, non sono pronta a vederlo.
Quando arrivo alla porta del bar, sua madre mi intravede per prima. Si sbraccia, vuole che la raggiunga.
Non è così bello l’ultimo ricordo che ho di lei.
Lorenzo si volta verso di me come a rallentatore.
Il mio tavolino di prima ci accoglie in quattro.
Come stai?
Frasi banali, frasi come se ognuno di noi fosse amico da sempre e quella fosse solo una gita fuori porta.
Lorenzo che fuma ancora, le sue birre strambe, i suoi vini leggeri e sua madre invece con i cicchetti nei bicchierini di carta.
Il tempo passato e il male che ci siamo fatti si mischiano come acquarelli dai bordi indefiniti.
Le scenate di Lorenzo, la sua gelosia, le bugie, le minacce, la nostra amicizia che era diventata amore e un amore che a lui non bastava mai, le sue insicurezze a corroderci, il mio essere impreparata ad un amore maturo, quindici gli anni in mezzo fra noi, i cantautori diversi passati alla radio, il vuoto senza le nostre chiacchiere.
Lui mi guarda appoggiato alla colonna del bar mentre il vento suggerisce ai miei capelli di coprirmi i sentimenti.
I suoi occhi verdi pieni di botte nascoste, il dolore delle parole scomposte fra noi.
-Non guardarmi con quegli occhi tristi.
Quando lo dice torna per un attimo l’uomo che so aver amato.
-E come posso non esserlo? Non è così che avrei voluto finisse.
Le parole nei nostri occhi sono una pausa di futuro, mentre quelle dell’avvocato che ci richiamano in aula sono il motivo del nostro presente.
Serie: Il dolore delle parole scomposte fra noi
- Episodio 1: Occhi verdi pieni di botte nascoste
La tua scrittura è così intensa che i concetti debordano dalle parole che tentano invano di racchiuderli. Complimenti.
Bello. Intenso. Molto cinematografico. Vediamo il seguito
Un dolore difficile da raccontare, ma tu hai saputo farlo molto bene. Mi è piaciuta la scelta dello stile, adatto alla giovane età della protagonista. Ottimo inizio.