
Pacheco – 2
Serie: Amazing stories
- Episodio 1: Pacheco – 3
- Episodio 2: Prigioniero del tempo – 1
- Episodio 3: Prigioniero del tempo – 2
- Episodio 4: Prigioniero del tempo – 3
- Episodio 5: Pacheco – 1
- Episodio 6: Pacheco – 2
STAGIONE 1
Si diresse verso il piccolo cimitero a lato della chiesa. La tomba di Pacheco era in mezzo al camposanto. Non aveva nulla di particolare, nessuno portava bottiglie di scotch, o si faceva le canne, come su quella di Jim Morrison.
Pacheco era un tipetto tutto ossa e penne. Sì, proprio quelle degli indiani – era un Sioux –, che si metteva nelle occasioni più importanti, una sorta di abito da cerimonia. E così era ritratto nella foto appiccicata alla lapide. Con un fucile di traverso sul petto –quello che dovevi caricare con il calcatoio –, che si inceppava a ogni amen ed eri bell’e che spacciato. Lo aveva visto indossare anche un copricapo con le corna del bisonte. Era l’effigie di Pacheco che più albergava nell’immaginario di Sam.
Si grattò il mento con perizia.
Aveva sempre pensato che fosse schiattato a centoventi anni! Che fossero stati gli omini a fargli trangugiare un cazzo di elisir di lunga vita. Invece sembrava che ne avesse solo la metà.
Pacheco è morto! Lunga vita a Pacheco!
Comunque, arrivando a casa trovò Adele appresso al barbecue, con i pesci già puliti e pronti alla griglia. Prese il sacco del carbone e si ingegnò per accendere il fuoco.
– Sai che giorno è domani? – domandò, rientrando con i pesci in ordine sul vassoio, che emanavano un leggero sentore di affumicatura.
Adele era impegnata a condire una enorme bacinella di insalata.
– Boh, giovedì?
– Sì, è giovedì, ma quale giovedì?
La moglie portò a tavola la verdura e la posò nel centro del tavolo.
– Giovedì… 18 Aprile.
Si spartirono il pesce, assorti per un po’ dall’incombenza di togliere tutte le lische.
Nel passaggio tra pesce e verdura, come se si fosse svegliato da un lungo sonno, riprese: – Sì, il 18 aprile, ma quale 18 aprile?
Adele lasciò cadere le posate nel piatto. – Ma insomma, caro, è un 18 aprile. Uno come un altro!
Per un istante si lasciò sopraffare dal realismo di sua moglie.
– Certo, è solo un 18 di aprile. Non è il primo e non sarà di certo l’ultimo. – Anche se poteva benissimo essere l’ultimo. Non si sa mai.
Per Pacheco lo era stato. Per il Pacheco di prima che incontrasse gli omini.
Poi era cambiato.
*
– Carooo!
Si stava godendo un po’ del sole che era spuntato nel pomeriggio, pensando a come dare un senso a quel che restava del giorno di ferie, rovinato dalla pioggia.
– Carooo!
Nella sua mente si attivò il segnale di tsunami in arrivo. Ci avrebbe pensato lei a dare un senso a quel che restava di lui!
– Carooo! Ti ricordi cosa mi avevi promesso?
Che si trasformò presto nel pensiero che forse il giorno speciale era quel 17 di aprile.
– No, non ricordo, – bluffò penosamente. Sarebbe stato un pessimo giocatore di poker.
Ricordava invece perfettamente il baratto che aveva sottoscritto con Adele: lei gli avrebbe concesso di andare a pesca, se, nel pomeriggio, lui si fosse messo a sistemare il garage.
Adele si presentò con, nell’ordine: tuta bianca da pittore da indossare sopra i vestiti, ramazza di plastica verde come quella dei netturbini, rotolo di sacchi neri dimensione extralarge, mascherina per la polvere, scatola di guanti in latice–ultra resistenti–1000 paia.
Tentò di firmare un armistizio, dicendo che la sua parte del patto era andata in fumo – per meglio dire in acqua – e quindi anche l’altra metà non valeva più.
Fu irremovibile.
Lei!
Aprì la serranda come un uomo del futuro aprirebbe un deposito di scorie nucleari. O come l’archeologo che aprì il sarcofago del faraone Tutankhamon. Si aspettava di essere colpito da una maledizione, di respirare l’aria chiusa lì da millenni, così pura da ucciderlo. Era per quello che gli aveva procurato la mascherina?
Invece la roba accumulata nel garage non lo assalì.
Da una parte c’era tutta quella di Adele. Separata da uno stretto corridoio la sua, in proporzione 10 a 1. Dietro la loro roba, c’era quella dell’inquilino precedente. Un logoro telo di plastica trasparente, al quale i topi avevano prestato la loro attenzione, la preservava dalla polvere.
Rimase in ammirazione.
Cosa voleva che facesse, Adele?
La sentì arrivare dal giardino. Gli si inchiodò a fianco, le braccia conserte. – Cosa aspetti, carooo?
– Lo sai che tipo strambo era il vecchio inquilino.
– Veramente no. Trovati una scusa più convincente.
Non lo avevano mai conosciuto. La casa era libera da alcuni mesi, quando l’avevano acquistata. Ci abitavano da un anno o poco più. O poco meno. Quand’è che c’erano entrati? In aprile? Sam non voleva scommettere sul giorno esatto.
– Sapevi che sarebbe arrivato questo giorno!
– Speravo che il calendario se ne fosse scordato.
*
A metà pomeriggio aveva portato sul patio di casa tutta la sua roba, creando un passaggio più ampio per raggiungere l’ammasso di oggetti in fondo. A quel punto si infilò la mascherina.
– Perché non abbiamo sgomberato subito queste cose? – domandò al cavalluccio a dondolo che se ne uscì dalla prima scatola. L’animale aveva l’espressione schifata, come se fosse seccato di essere stato svegliato dal letargo. Era vecchio, un pattino era spezzato in due e cigolava a ogni ondeggiamento. Lo appoggiò appena fuori dal garage e quello continuò a ondulare per un bel po’, in un moto quasi perpetuo.
Mentre spacchettava altri oggetti, si girò di scatto, aveva sentito un nitrito? Il cavalluccio gli dava le terga, evidentemente ancora seccato per l’intrusione.
Da una scatola alta e stretta, uscì una lampada da pavimento, con un paralume di stoffa damascata e piccole nappe danzanti. Il cavo era tranciato. Non era il massimo dell’eleganza, ma sarebbe stato facile aggiustarla.
– A che punto sei, carooo?
– Ti piace? – Teneva stretta la lampada, come avrebbe tenuto la più bella della scuola, al ballo di fine anno.
Adele piegò la testa di lato. – Mmm. Sembra quella di mia nonna, quella che ho dato alle fiamme con un botto di capodanno.
– Potremmo vendere tutto quello che non ci serve al mercatino della terza domenica del mese.
– E se poi ci viene un parente del vecchio inquilino?
– Non ci avevo pensato. Ma allora che ne facciamo, di tutto ‘sto popò di roba?
– Forse avevi ragione, carooo. Non sai mai cosa possa uscire da un garage pieno.
Adesso che ho portato tutta la mia roba sul patio?
– Ormai sono arrivato fino a qua. Dò un’altra occhiata e poi chiudo la baracca.
Smosse una pila di scatole, rischiando di rimanerne sepolto. Saltò via un pelo prima che gli cadessero in testa. Però non poté evitare che si sfasciassero. Rimase seduto per terra, cercando di controllare il respiro.
C’era uno spesso tessuto giallo, lucido, sembrava plastica, ma per verificare avrebbe dovuto toccarlo. Aveva una fibbia nera, che luccicò alla luce inclinata che entrava nel garage. Si mise in ginocchio e allungò il braccio per saggiarne la consistenza. Mmm, gli ricordava qualcosa.
Un’altra scatola riportava la stessa scritta della precedente. Dovevano andare in coppia. Con la punta della chiave della serranda tagliò il nastro che la sigillava.
Infilò entrambe le mani nel pacco e capì di avere fatto centro. Era lo stesso tessuto del primo reperto giallo. La scatola calzava a pennello con il contenuto, così che si graffiò le nocche per estrarlo.
Se lo appoggiò in grembo a prese ad accarezzarlo. Era un grande cappuccio di spessa plastica gialla. Lo poggiò in seguito su una scatola chiusa, di fronte, come se si guardassero negli occhi.
Il reperto numero due aveva una finestra di plastica trasparente sul davanti. Grande e perfettamente conservata. Sul dietro aveva la forma di una folta capigliatura, proprio come la maschera di Darth Vader. Infine una bocchetta grigliata per respirare, con un paio di manopole di regolazione.
Era eccitato.
L’orlo circolare presentava due fibbie di plastica nera, che servivano per collegarlo con il busto.
Infilò il cappuccio sul paralume, come su un manichino. Afferrò il reperto numero 1 e scoprì che si trattava della parte restante del costume, in un pezzo unico, con una spessa zip sul retro. La collegò al cappuccio.
Si grattò il mento con perizia, ammirando la tuta gialla appesa al paralume.
– Hai finito?
Sam si sentì mancare la terra sotto i piedi. – Dannazione, Adele!
– Hai la coscienza sporca?
– Avrò la fedina penale sporca, se mi fai spaventare un’altra volta! Te l’avevo detto che il vecchio inquilino era un tipo bizzarro! Ho fiuto per queste cose. Non sbaglio un colpo!
Adele lo irrise per il resto della serata, per quella dichiarazione.
– Cosa danno in tv, moglie?
Adele indicò tutta la roba di Sam, ancora disposta sul patio. – E quella? Vendiamo tutto? – lo stuzzicò.
– Non pensarlo nemmeno, moglie!
Alla tv davano Ritorno al futuro 1.
– È un sacco di anni che non lo vedo! – esclamò lui.
– Mi c’hai portato a vederlo al cinema, carooo.
A un certo punto del film, Adele lo vide saltare come una ranocchia. Come un bambino un po’ deficiente.
Imboccare la porta, senza curarsi di mettere una giacca più pesante, che faceva ancora freddo la sera.
Poi lo sgommare del pick-up.
– Dove diavolo te ne stai andando! – gli gridò dietro, ma la luce dei fari era già svanita lungo la strada.
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