Panzerfaust

1944

Horst abbassò lo sguardo. «Eccellente». Schioccò le labbra.

Che avesse davanti le tracce dei cingoli di un T34 era inopinabile. I cingoli del T34 erano troppo larghi per essere paragonabili a quelli dei panzer tedeschi.

Horst ordinò: «Seguiamo il T34». Si sistemò l’MP40 a tracolla facendo attenzione a non danneggiare il Panzerfaust 60.

Gli uomini obbedirono, loro avevano uno ciascuno un StG44 oltre al Panzerfaust.

Il Panzerjagdgruppe s’insinuò nel bosco e andò alla ricerca della pattuglia corazzata nemica seguendo le tracce dei cingoli. Secondo Horst, potevano anche essere più di un T34, ma al momento non importava.

Quel giorno Horst fu fortunato. Davanti a lui si pararono quattro T34 i quali stavano facendo una sosta in una radura. I carristi erano assiepati intorno a uno dei corazzati che sembrava il motore si fosse rotto mentre alcuni di loro montavano la guardia armati di PPSh41.

Horst brandeggiò il Panzerfaust e gli altri uomini si appostarono. Uno poco distante da lui, gli altri due strisciarono sul lato opposto della radura. Horst era fiero dei membri del suo Panzerjagdgruppe, peccato non tutti nello Heer fossero così, sennò invece che combattere in Bielorussia in quel momento si sarebbero trovati in Siberia.

Il segreto era colpire i corazzati nemici sui fianchi o sul retro. Il lato davanti era sempre quello più irto di bocche da fuoco, e lì non si trattava di un duello cavalleresco, ma di distruzione di materiale bellico. Il più scorretto viveva, chi credeva di essere nel poema dei Nibelunghi moriva.

Adesso gli uomini avevano preso posizione. Horst prese la mira sul T34 in fase di riparazione con il Panzerfaust. Avrebbe colpito quello sperando di travolgere nell’esplosione gli equipaggi degli altri carri armati e così decimarli.

Sparò per primo.

La granata colpì il T34 in panne ed esplose, le fiammate divorarono vivi i carristi che corsero via urlando.

I carristi di guardia sgranarono raffiche con i PPSh41, ma senza sapere bene verso dove sparare.

Gli altri Panzerfaust colpirono come “pugni” e distrussero i corazzati dando il colpo di grazia a quello già in fiamme oltre che gli altri due.

Le guardie sovietiche gemettero in preda al panico, allora Horst strappò l’MP40 che aveva a tracolla e sparò delle raffiche. Le pallottole abbatterono i russi. Anche gli StG44 degli altri tre membri del Panzerjagdgruppe servirono a qualcosa.

Adesso, la radura era un campo di morte.

«Avanti». Alle parole di Horst, uscirono tutti allo scoperto e montarono a bordo del T34 sopravvissuto.

Horst fu il primo a entrare ma qualcuno lo aggredì. Un ragazzino dai lineamenti osseti provò a pugnalarlo con un Nagan mentre lanciava un urlo rauco, ma Horst lo prese a pugni – con le mani – e poi lo strangolò.

Ora, il Panzerjagdgruppe poteva scappare a bordo del T34.

Avviarono il motore, si diressero verso le linee tedesche, sulla torretta la bandiera del Terzo Reich.

Un piccolo successo.

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