Pilot

Serie: Nemesis


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Larva

Non avevo molti ricordi dal mio risveglio, tutto era confuso nella mia mente. Ma una cosa la ricordavo: io e la pilota, le uniche due donne sulla nave, eravamo molto legate.

Mi bastò guardarla per ricordare il suo carattere forte, il suo coraggio e il ruolo fondamentale che aveva nella mia vita. Ricordai che, se non fosse stato per lei, non avrei nemmeno accettato di unirmi a quella follia: una missione assurda! Probabilmente nessuno di noi sarebbe tornato vivo sulla Terra.

Ma la cosa più assurda era che qualcuno o qualcosa cercava di metterci l’una contro l’altra: il numero tre non può sopravvivere. Lei era la numero tre, quindi doveva essere eliminata. Non riuscivo a capirne il motivo e mi faceva impazzire il solo pensiero di farle del male.

Poi però pensai all’assurdità di quelle visioni e al fatto che avrei dovuto semplicemente ignorarle. La mente gioca brutti scherzi in certe situazioni, specialmente dopo essersi svegliati da crioconservazione in una nave piena di alieni assassini. Sì, avrei ignorato i dadi, le carte e tutte quelle assurdità che continuavo a vedere: decisi che sarebbe stato meglio così e che, col tempo, forse il mio cervello sarebbe guarito.

Lei mi guardò sbarrando gli occhi e, preoccupata, mi venne incontro.

«Sicura di stare bene? Hai lo sguardo assente, vuoi sederti un attimo?»

Accettai, anche perché mi accorsi che mi stavano tremando le gambe. Ci rannicchiammo, l’una accanto all’altra, contro il muro.

A quel punto, forse perché, per la prima volta dal mio risveglio, mi concedevo un momento di riposo, oppure per l’enorme quantitativo di stress accumulato in poche ore o magari per la presenza di un’amica (ma credo sia stato per tutte queste cose insieme), scoppiai in un pianto isterico e liberatorio.

Lei rimase lì accanto a me senza dire niente.

Dopo aver singhiozzato per qualche minuto, mi voltai: riuscimmo a guardarci negli occhi seriamente per due secondi al massimo, poi il pianto si trasformò in una risata, alla quale si unì anche lei.

«Scusa, sto impazzendo.»

Con la fermezza che l’aveva sempre contraddistinta, mise una mano sulla mia spalla e disse: «Adesso basta, devi tornare in te. È fondamentale mantenere il controllo: qui si rischia la vita. Hai capito?»

Feci cenno di sì con la testa, ma a lei non bastò.

«Guardami.»

La guardai e le risposi: «Sì, ho capito».

«Bene, brava ragazza! Adesso dobbiamo proseguire.»

Ci alzammo e, dopo aver dato un’ultima occhiata al cucciolo di alieno senza vita, uscimmo in corridoio per raggiungere la cabina di pilotaggio.

Arrivate in prossimità della porta, sentimmo un rumore. Ci fermammo immediatamente, trattenendo il respiro. Guardandoci negli occhi, capimmo al volo cosa fare. Imbracciammo le armi e procedemmo lentamente, cercando di non far sentire i nostri passi.

Ecco, mi dissi, lì dentro ci sarà sicuramente la madre di quel piccolo rompipalle.

Temevo il peggio. Pensai che, se l’alieno non avesse sentito i nostri passi, avrebbe comunque avvertito il battito del mio cuore che stava per scoppiare.

La pilota mi fece cenno di aspettare ed entrò lei per prima. Furono momenti interminabili, in cui rimasi col fucile puntato, pronta a sparare. Poi, la vidi uscire, con l’arma abbassata e un’espressione quasi delusa sul viso: «Tranquilla, è solo il capitano».

Finalmente tornai a respirare senza la paura che qualcuno mi sentisse, rilassai i muscoli ed entrai anch’io.

Il capitano era, in effetti, all’interno della cabina di pilotaggio, intento a modificare la rotta della nave (almeno, era ciò che sembrava stesse facendo). Lo lasciammo in pace, evitando di disturbarlo con le nostre domande: ci fidavamo di lui.

La fiducia, che strana cosa.

Quanto ci si può davvero fidare di qualcuno? E in base a quali criteri si scelgono determinate persone, considerandole degne della nostra fiducia? Sfortunatamente, quando accaddero i fatti che sto raccontando, non mi ero ancora interrogata abbastanza su tutte queste cose e pensavo di dovermi fidare ciecamente delle persone che avevo intorno. Ingenua, vero?

Io, al contrario, ho sempre sopportato il peso di enormi sensi di colpa: non mi sono mai sentita all’altezza delle aspettative riposte in me, ho sempre creduto di non fare abbastanza e di deludere gli altri. Ho sempre cercato di dare il massimo, ma a cosa è servito?

Mi tornò in mente una frase, sentita o letta chissà dove: siate puri come colombe e astuti come serpenti. Era proprio l’abilità del serpente che avrei dovuto imparare meglio.

Serie: Nemesis


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Fantasy

Discussioni

  1. Confesso che non é facile per me cogliere sino in fondo il senso di questo fantasy molto originale che comunque mi attira e sono curiosa di saperne di piú, del gioco, dei personaggi e degli sviluppi di questa storia.

  2. Bello questo conflitto tra l’obiettivo di gioco e i sentimenti, con una semina per una possibile pazzia che immagino muoverà la trama in modi di cui sono molto curioso di sapere il seguito. Si nota ancora di più il contrasto tra un racconto “relistico” rispetto a questo, tutto basato sul gioco da tavola, in cui i personaggi non hanno un nome ma un ruolo, anche nel caso in cui ci sia un pregresso tra due dei personaggi. Mi sono letto qualcosa sul gioco da tavola, spinto dalla curiosità dopo aver letto il primo episodio di questa serie, per cui capisco e apprezzo questa riflessione finale sulla fiducia.

    1. Ciao Marco, grazie di essere passato 🙂 Ah quindi hai visto il gioco vero 😁 Le regole sono un po’ difficili, ma è un bel gioco (che anch’io sto ancora imparando).

  3. Per quello che ne sappiamo, anche la pilota potrebbe aver visto le stesse visioni e aspettare il momento giusto per eliminare Scout. Anche se non succede niente di particolare in questo episodio, si continua a percepire una certa tensione. Brava Arianna!